Eventi
mondiali ne abbiamo avuti, dalla morte di Diana ai campionati di calcio. Eventi violenti e
reali anche, dalle guerre ai genocidi. Mai però avevamo avuto un evento di portata
mondiale, cioè non solo di diffusione mondiale sul piano simbolico, ma capace di mettere
a repentaglio la globalizzazione stessa. Con gli attentati di New York e del World Trade
Center siamo alle prese con l'evento assoluto, l'evento puro che concentra in sé tutti
quelli mai accaduti. Tutto il gioco della storia e del potere ne sono stati sconvolti,
come pure le condizioni dell'analisi.
Tutti i discorsi e i commenti tradiscono una gigantesca
abreazione all'evento stesso e al fascino che emana. La condanna morale e l'alleanza sacra
contro il terrorismo sono commisurate alla gioia prodigiosa di veder distruggere questa
superpotenza mondiale o, meglio ancora, vederla in qualche modo autodistruggersi,
suicidarsi in bellezza. Perché è stata proprio lei, con la sua insopportabile potenza, a
fomentare tutta questa violenza infusa nel mondo e l'immaginazione terrorista che (senza
saperlo) si annida in tutti noi. Il fatto che noi abbiamo sognato questo evento, che tutto
il mondo senza eccezione labbia sognato - perché nessuno non può non sognare la
distruzione di qualsiasi potenza diventata egemonica fino a questo punto - è
inaccettabile per la coscienza morale dell'Occidente.
Ma è comunque un dato di fatto, che si
misura per lappunto con la violenza patetica di tutti i discorsi che cercano di
cancellarlo \[...\] Senza questa complicità profonda, l'evento non avrebbe avuto tanta
risonanza. Nella loro strategia simbolica i terroristi sanno sicuramente di poter contare
su questa complicità inconfessabile. Tutto ciò va oltre l'odio verso la potenza mondiale
dominante che provano i diseredati e gli sfruttati, coloro che sono capitati nella parte
sbagliata dell'ordine mondiale. Questo desiderio maligno cova nel cuore anche di coloro
che condividono i benefici. L'allergia a ogni ordine definitivo, a ogni potenza definitiva
è fortunatamente universale, e le due torri del World Trade Center incarnavano alla
perfezione, nella loro immagine gemellare, questo ordine definitivo.
Non c'è bisogno di una pulsione di morte o di
distruzione né di un effetto perverso. Capita logicamente ma inesorabilmente che la
crescita della potenza esacerbi la volontà di distruggerla. La potenza diventa complice
della sua stessa distruzione. Quando le due torri sono precipitate si è avuta
l'impressione che volessero rispondere suicidandosi al suicidio dei piloti kamikaze.
\[...\] In un certo senso è stata la fragilità interna all'intero sistema a dare
manforte all'azione iniziale. Più un sistema si addensa a livello mondiale diventando una
sola rete, più diventa vulnerabile in un unico punto. Quando lo scenario è monopolizzato
da una potenza mondiale e assistiamo alla formidabile condensazione di tutte le funzioni
nel macchinario tecnocratico e nel pensiero unico, non rimane altra via che un mutamento
terroristico della situazione.
E stato il sistema stesso a creare le
condizioni oggettive di questa ritorsione brutale. Nel prendere per sé tutte le carte del
mazzo, ha costretto l'Altro a cambiare le regole del gioco. E le nuove regole sono feroci
perché feroce è la posta in gioco. A un sistema messo con le spalle al muro dal suo
stesso eccesso di potere i terroristi rispondono con un atto definitivo dove lo scambio
non è possibile. Il terrorismo è l'atto che restituisce una singolarità irriducibile al
cuore di un sistema di scambi generalizzato. Tutte le singolarità (le specie, gli
individui, le culture) che hanno pagato con la propria vita l'installazione di una
circolazione mondiale orchestrata da una sola potenza oggi si vendicano attraverso questa
mutazione terroristica della situazione.
Terrore contro terrore: dietro non c'è nessuna
ideologia. Siamo ben oltre l'ideologia e la politica. Nessuna ideologia, nessuna causa,
nemmeno quella islamica, può rendere conto dell'energia che alimenta il terrore e non
punta più a trasformare il mondo bensì (come le eresie di altri tempi) a radicalizzarlo
attraverso il sacrificio, mentre il sistema cercava di farlo con la forza. Il terrorismo,
come i virus, è ovunque. C'è una perfusione mondiale del terrorismo, che agisce come se
fosse l'ombra del sistema di dominio e appare pronto a risvegliarsi come un doppio agente.
Non c'è più nessuna linea di demarcazione che consenta di accerchiarlo, esso è nel
cuore stesso della cultura che lo combatte. La frattura visibile, l'odio che sul piano
mondiale contrappone gli sfruttati e i sottosviluppati al mondo occidentale, raggiunge in
segreto la frattura interna del sistema dominante. Il quale può far fronte a qualsiasi
antagonismo visibile ma è del tutto impotente verso questa struttura virale, questa forma
di regressione quasi automatica della propria potenza.
Non c'è quindi uno scontro fra civiltà
o religioni. Siamo di gran lunga oltre l'Islam e l'America, sui quali si tenta di
focalizzare il conflitto per alimentare l'illusione di uno scontro visibile e di una
soluzione di forza. L'antagonismo fondamentale ci mostra attraverso lo spettro
dell'America (che è forse l'epicentro ma non l'unica incarnazione della globalizzazione)
e quello dell'Islam (che a sua volta non è l'incarnazione del terrorismo), la
globalizzazione trionfante alle prese con se stessa. In questo senso possiamo parlare di
guerra mondiale, ma non di terza bensì di quarta e unica vera guerra mondiale, perché la
posta in gioco è proprio la globalizzazione \[...\] Ogni volta siamo andati più lontano
sulla strada verso un ordine mondiale unico. Oggi quest'ordine è virtualmente giunto alla
fine e si trova alle prese con le forze antagoniste presenti in ciascuna delle convulsioni
che agitano il pianeta. Scontro talmente inafferrabile che ogni tanto occorre preservare
l'idea di guerra attraverso delle messe in scena spettacolari come quelle del Golfo o,
oggi, dell'Afghanistan.
Ma la quarta guerra mondiale è
altrove. Essa è una minaccia per qualsiasi ordine mondiale, qualsiasi dominazione
egemonica. Se l'Islam dominasse il mondo, il terrorismo si rivolterebbe contro I'islam. Il
mondo oppone resistenza alla mondializzazione. Il terrorismo è immorale. La sfida
simbolica del World Trade Center è immorale e risponde a una globalizzazione che a sua
volta è immorale. Allora diventiamo pure noi immorali e per arrivare a capire qualcosa,
andiamo a guardare aldilà del Bene e del Male. Visto che per una volta siamo di fronte a
un evento che sfida non soltanto la morale ma anche ogni forma di interpretazione,
proviamo a ragionare con l'intelligenza del Male. Il punto cruciale è proprio qui, nel
totale controsenso con cui la filosofia dei Lumi affronta il rapporto fra il Bene e il
Male. Noi crediamo ingenuamente che il progresso del Bene, la sua crescita in ogni campo
(le scienze, la tecnica, la democrazia, i diritti dell'uomo) corrisponda a una sconfitta
del Male. Nessuno sembra aver capito che il Bene e il Male crescono di pari passo e con lo
stesso ritmo. Il trionfo dell'uno non implica la scomparsa dell'altro, anzi. Consideriamo
un po' metafisicamente che il Male sia una sorta di sbavatura accidentale. Ma questa è
unillusione. Il Bene non riduce il Male né succede il contrario: l'uno e l'altro
sono irriducibili e il rapporto che li unisce è inestricabile. In fondo il Bene non può
sconfiggere il Male se non rinunciando a essere il Bene, perché appropriandosi del
monopolio mondiale della potenza esso provoca un ritorno di fiamma dalla violenza
proporzionale.
Nell'universo tradizionale il Bene e il
Male si mantenevano in bilico in un rapporto dialettico che assicurava alla meno peggio la
tensione e il riequilibrio dell'universo morale, un po' come il faccia a faccia tra le due
potenze durante la guerra fredda assicurava l'equilibrio del terrore. Nessuna supremazia
dell'uno sull'altro. Questo equilibrio si è rotto a partire dal momento in cui avvenne
l'estrapolazione totale del Bene, l'egemonia del positivo su qualsiasi forma di
negatività, ivi compresi l'esclusione della morte e di ogni forma potenzialmente avversa
e il trionfo dei valori del Bene su tutta la linea.
E quando l'equilibrio si è rotto, è
stato come se il Male riguadagnasse unautonomia invisibile e cominciasse a crescere
a un ritmo esponenziale. Con le dovute proporzioni, è quello che avvenne nell'ordine
politico dopo la scomparsa del comunismo e il trionfo mondiale della potenza liberale. Fu
allora che un nemico fantomatico si diffuse in tutto il pianeta infiltrandosi ovunque come
un virus e penetrando in ogni interstizio della potenza: l'Islam. Ma l'Islam non è che il
fronte mobile di cristallizzazione di un antagonismo che è ovunque, anche dentro a
ciascuno di noi. Terrore contro terrore, quindi. Ma terrore asimmetrico. Proprio questa
asimmetria lascia completamente disarmata l'iperpotenza mondiale, la quale, alle prese con
se stessa, non può che sprofondare nella sua logica di rapporti di forza e si dimostra
incapace di giocare sul terreno della sfida simbolica e della morte perché, avendole da
tempo allontanate dalla propria cultura, non è più in grado di riconoscerle.
Fin qui questa potenza integratrice è
ampiamente riuscita ad assorbire e riassorbire ogni crisi e ogni negatività, creando una
situazione profondamente disperante non soltanto per i dannati della Terra ma anche per i
ricchi e i privilegiati che vivono nel comfort radicale. L'evento fondamentale è che i
terroristi abbiano smesso di suicidarsi da perdenti, che abbiano messo in gioco la propria
morte in maniera offensiva ed efficace secondo unintuizione strategica che è
semplicemente quella dell'immensa fragilità dell'avversario, un sistema giunto alla
quasi-perfezione e proprio per questo vulnerabile alla minima scintilla.
I terroristi sono riusciti a fare della
propria morte un'arma assoluta contro un sistema che vive sull'esclusione della morte e il
cui ideale è avere "zero morti". Ogni sistema con "zero morti" è a
somma zero. E nessun mezzo di dissuasione o di distruzione può fare nulla contro un
nemico deciso ad adoperare la propria morte come arma controffensiva. Tutto si gioca
quindi sulla morte, non tanto per l'irruzione brutale della morte in diretta e in tempo
reale ma per l'irruzione di un avvenimento assoluto e senza appello: la morte simbolica e
sacrificale, diventata ben più che reale. Ecco lo spirito del terrorismo \[...\]. La
tattica del modello terroristico è quella di provocare nel sistema un eccesso di realtà
in grado di schiacciare il sistema stesso.
Tutto il ridicolo della situazione
e la violenza mobilitata dal potere si ritorcono contro il sistema perché gli atti
terroristici sono al tempo stesso lo specchio esorbitante della violenza del sistema e il
modello dell'unica violenza simbolica che il sistema non può esercitare: quella della
propria morte. Ecco perché tutta la potenza visibile vale niente contro la morte infima
ma simbolica di un pugno di individui. Dobbiamo arrenderci all'evidenza che è nato un
terrorismo nuovo, una nuova forma di azione che sta al gioco e s'impossessa delle regole
per meglio sbaragliarle. Questi terroristi non si limitano a non giocare ad armi pari e a
mettere in gioco la propria morte, alla quale non c'è risposta possibile. Essi si sono
appropriati di tutte le armi della potenza dominante: i soldi, la speculazione
finanziaria, le tecnologie informatiche ed aeronautiche, la dimensione spettacolare e le
reti mediatiche. Hanno assimilato tutto della modernità e della mondialità senza
rinunciare all'obiettivo di distruggere il sistema. Sono arrivati al punto di mascherarsi
nella banalità della vita quotidiana americana per fare il doppio gioco \[...\]. La
differenza radicale sta nel fatto che oltre che di armi del sistema i terroristi
dispongono di unarma fatale: la propria morte. Se si accontentassero di combattere
il sistema con le sue armi verrebbero immediatamente eliminati.
Se non affrontassero il sistema con la
loro morte sparirebbero rapidamente in un sacrificio inutile, che è ciò che i terroristi
(compresi gli attentatori suicidi palestinesi) hanno quasi sempre fatto e li ha portati
alla sconfitta. Tutto cambia dal momento in cui essi coniugano tutti i mezzi moderni
disponibili con questarma altamente simbolica, che moltiplica all'infinito il
potenziale di distruzione. E questa moltiplicazione di fattori che a noi sembrano
inconciliabili a dare loro una tale superiorità. La strategia del nessun morto, della
guerra "pulita", tecnologica, passa precisamente attraverso questa
trasfigurazione della potenza "reale" in potenza simbolica. \[...\] I terroristi
non hanno sottoscritto un contratto di lavoro ma un patto e un obbligo sacrificale esente
da ogni forma di defezione o corruzione. Il miracolo consiste nell'essersi adattati alla
rete mondiale, al protocollo tecnico senza perdere nulla di questa complicità fra la vita
e la morte.
Il risultato ottenuto dai terroristi
nell'attentato di Manhattan potrebbe illustrare abbastanza bene la teoria del caos: lo
choc iniziale provoca delle conseguenze incalcolabili, mentre lo spiegamento gigantesco
degli americani ("tempesta nel deserto") non ottiene che effetti ridicoli, come
un uragano che finisce per mettere in moto le ali di una farfalla. Il terrorismo suicida
era un terrorismo dei poveri. Questo è un terrorismo da ricchi. Il fatto ci fa molta
paura: loro sono diventati ricchi (hanno a disposizione ogni mezzo) senza aver smesso di
volerci distruggere. Secondo il nostro punto di vista, barano: nel gioco non vale mettere
in gioco la propria morte. Ma loro non se ne curano e le nuove regole del gioco non ci
appartengono più.\[...\]
Non esiste soluzione alcuna a
questa situazione estrema. Soprattutto non lo è la guerra, la quale ci restituisce un
déjà-vu di forze militari, informazioni fantasma, discorsi furbi e patetici,
dispiegamenti tecnologici e ubriacature varie. Come la guerra del Golfo, un
non-avvenimento, una guerra che veramente non si farà mai. La guerra come prolungamento
dell'assenza di politica per altri mezzi.