In
italiano si potrebbe tradurre con Boomerang. In inglese si
chiama Blowback (letteralmente "contraccolpo",
"che ti scoppia contro"), un termine coniato dalla Central
Intelligence Agency (Cia) per uso interno e che poi ha preso a
circolare tra gli esperti di politica internazionale, e che indica le
involontarie conseguenze di politiche tenute segrete ai cittadini
americani. "Quelle che la stampa riporta come perfide azioni di 'terroristi',
o di 'narcotrafficanti' o di 'stati criminali', spesso si rivelano
essere solo blowbacks di precedenti azioni americane"
scrive Chalmers Johnson nel lilbro che s'intitola appunto Blowback.
Il costo e le conseguenze dell'impero americano. Un libro
notevolissimo, non solo per quel che scrive, ma per chi lo scrive e
perché è stato pubblicato un anno fa. Già allora, nell'elencare i
boomerang della politica americana, Johnson ricordava non solo
l'esplosione nel 1988 del volo Pan Am su Lockerbie, Scozia (blowback
del bombardamento su Tripoli nel 1986 che aveva ucciso una figlia
di Gheddafi), non solo l'epidemia di droga che ha colpito i ghetti
urbani statunitensi negli anni '80, blowback delle operazioni
in Centroamerica della Cia che usava il traffico di droga per
finanziare le guerriglie contras, ma anche e soprattutto Osama
bin Laden, addestrato, finanziato e armato dalla Cia prima che si
rivelasse un boomerang letale. Si capisce perché dall'11 settembre Blowback
è considerato un libro profetico, e perché da allora si vende come
noccioline: "Per definizione il terrorismo colpisce gli innocenti
per attirare l'attenzione sulle colpe di chi è invulnerabile. Gli
innocenti del XXI secolo dovranno mietere i disastrosi boomerang delle
avventure imperialiste Usa degli ultimi decenni. Anche se molti
americani sono ignari di quanto è stato ed è fatto a nome loro,
dovranno però pagarne un prezzo carissimo - individualmente e
collettivamente - per gli incessanti sforzi della loro nazione di
dominare la scena globale". Ad accrescere la credibilità del
libro c'è il fatto che è scritto non dal solito
radical-terzomondista, ma da un convinto anticomunista, che negli anni
'60 fu un acceso fautore della guerra in Vietnam, come confessa nella
prefazione: "In quegli anni ero irritato dalla protesta degli
studenti che mi sembrava tanto auto-indulgente quanto santarellina...
In realtà loro stavano capendo molto meglio di me le motivazioni
profonde di un Robert McNamara, di un Walt Rostow. Coglievano un
elemento essenziale della natura del ruolo imperiale dell'America nel
mondo che a me sfuggiva".
Il primo messaggio
importante che Johnson comunica ai suoi concittadini è appunto che
gli Usa sono un potere imperiale, una nozione di cui gli americani
sono ignari: sanno di essere la nazione più potente della terra, ma
non pensano di essere un impero: "Noi americani siamo
profondamente convinti che il nostro ruolo nel mondo è virtuoso - che
le nostre azioni sono invariabilmente per il bene altrui quanto per il
nostro. Anche quando i nostri atti finiscono in disastri, presumiamo
che le motivazioni fossero onorevoli".
Non per nulla il libro comincia con la strage della funivia del Cermis,
l'assoluzione dei piloti, il rifiuto di risarcire le famiglie:
"Tipica di un popolo imperiale la memoria corta sui propri più
spiacevoli atti imperiali, ma per chi li subisce la memoria può
essere molto più lunga". Il Cermis non è un caso isolato: gli
impuniti stupri di ragazzine giapponesi da parte di marines Usa a
Okinawa; il peschereccio giapponese affondato da un sottomarino
atomico in emersione... Ma questi episodi sono riportati in sordina
dai media Usa: "Ci esimiamo dall'essere coscienti di come
possiamo apparire al resto del mondo. La maggior parte degli americani
non è conscia di come Washington esercita la sua egemonia globale,
visto che tanta parte di queste attività si svolge in segreto o sotto
diciture consolanti. Tanto per cominicare, molti trovano difficile da
credere che il nostro posto nel mondo abbia qualcosa a che vedere con
un impero. Ma solo se riusciamo a vedere il nostro paese come qualcosa
che insieme trae profitto ed è intrappolato dalle strutture di un
impero in costruzione, riuciremo a spiegarci molti elementi del resto
del mondo che altrimenti ci lasciano perplessi".
Johnson comincia
subito col dire pane a pane, e cioè che gli Stati uniti occupano
militarmente il mondo. In particolare sotto occupazione militare
americana sono Gran Bretagna, Germania, Spagna, Italia, Turchia,
l'Arabia Saudita, Filippine, Giappone, Corea del Sud. "Dieci anni
dopo la fine della guerra fredda, centinaia di migliaia di soldati
americani, dotati dell'armamento più avanzato del modo, incluse armi
atomiche, sono stanziati in più di 61 basi in 19 paesi, se si usa la
definizione più restrittiva data dal Dipartimento della difesa per
definire una 'grande installazione'; ma se s'include ogni istallazione
che ospiti rappresentanti delle Forze armate Usa, allora il numero
sale a 800 basi. Naturalmente, non ci sono basi italiane negli Stati
uniti. Il solo pensiero sarebbe ridicolo. Né, se per questo, ci sono
basi tedesche, indonesiane, russe, greche o giapponesi di stanza sul
suolo italiano. Per di più, l'Italia è uno stretto alleato degli Usa
e non c'è nessuna nazione che sia una verosimile minaccia per le sue
rive. Tutto ciò è quasi troppo ovvio da constatare. Semplicemente
non è materia di discussione, e ancor meno di dibattito nella terra
dell'ultimo potere imperiale. Probabilmente questo modo di pensare è
una seconda natura per ogni impero. Può darsi che i romani non
trovassero strano avere truppe in Gallia, né gli inglesi in
Sudafrica. Ma ciò che rimane taciuto, è pur sempre reale, e non è
perché è rimosso da ogni discussione interna che manca di
conseguenze". Johnson definisce quello Usa come un impero
informale: infatti esso non è l'estensione del dominio legale di
uno stato su un altro: "Gli imperi più moderni sono di solito
celati da qualche concetto ideologico e giuridico - commonwealth,
alleanza, mondo libero, occidente, blocco comunista - che maschera le
relazioni concrete fra i suoi membri". La natura del progetto
imperiale americano era nascosta dalla guerra fredda, ma è stata
disvelata dal crollo dell'Urss, quando gli Stati uniti hanno
continuato a occupare militarmente paesi che non dovevano più
fronteggiare la "minaccia comunista". Una delle
caratteristiche di questo progetto imperiale è di piegare tutti gli
altri paesi al proprio sistema sociale, alla propria organizzazione
economica, alla bibbia del libero mercato. Così facendo, gli Usa
somministrano al mondo di oggi la stessa prescrizione che Stalin
formulava in una conversazione con Tito nel 1945 e riportata da
Milovan Djilas: "Questa guerra è diversa dalle altre. Chiunque
occupa un territorio deve imporre il proprio sistema sociale. E ognuno
imporrà il suo sistema sociale finché il suo esercito avrà il
potere di farlo. Non può essere altrimenti". Tutto il libro
sviluppa le analogie tra le politiche dell'Urss durante la guerra
fredda e l'attuale progetto imperiale americano: e i blowbacks
che gli Usa dovranno fronteggiare somigliano a quelli che hanno
portato al crollo l'Unione sovietica.
Johnson interpreta la crisi
asiatica degli anni '90 come il tentativo da parte degli Usa di
piegare il modello capitalista giapponese al capitalismo americano
(notevole in questo libro profetico è che la teoria del blowback
sia formulata non da un mediorientalista o da un arabista, ma da uno
specialista di Cina e Giappone). In questo decennio gli Stati uniti
hanno cercato d'imporre al mondo il loro modello sociale, facendo
precipitare nella miseria i paesi che non vi si uniformavano:
"dalla fine della Guerra fredda, per perseguire la propria
politica estera gli Stati uniti hanno smesso quasi del tutto di
affidarsi alla diplomazia, all'aiuto economico, alla legge
internazionale, alle istituzioni internazionali e si sono affidati
sempre di più al pugno sul tavolo, alla forza militare e alla
manipolazione finanziaria". Nel 1998 Madelain Albright,
segretaria di stato, diceva: "Se dobbiamo usare la forza è
perché noi siamo l'America. Siamo la nazione indispensabile. Noi ci
ergiamo alti. Noi vediamo più lontano nel futuro". Il progetto
di quest'impero informale è di ridurre il mondo a immagine e
somiglianza degli Usa.
In questo senso, Johnson estende il significato di blowback a
tutti i costi che deve subire la nazione americana nel suo
trasformarsi in impero: "Blowback è un abbreviazione per
dire una nazione miete ciò che ha seminato, anche se non capisce cosa
ha seminato. Con la loro ricchezza e il loro potere, gli Usa saranno
il primo e principale oggetto di tutte le più prevedibili forme di blowback,
in particolare attachi terroristi, anche su territorio Usa. Ma
la vera minaccia è il blowback nel suo senso più lato - il
costo tangibile di un impero - perché gli imperi sono imprese
carissime. La deindustrializzazione degli Usa è un'involontaria
conseguenza negativa della politica americana. Un altro esempio di blowback
è la crescita del militarismo in una società che una volta era
democratica. E' l'impero che fa problema. Più i progetti sono
imperialisti e più provocano blowbacks".
A conclusione, riporto la curiosa critica che questo conservatore
americano muove a Marx e Lenin che "sbagliavano sulla natura
dell'imperialismo. Non è la contraddizione del capitalismo che porta
all'imperialismo, ma è l'imperialismo che nutre alcune delle più
importanti contraddizioni del capialismo. Quando queste contraddizioni
maturano, creano devastanti crisi economiche".
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