I radicali dell'Islamismo
di Massimo Campanini
Docente all'università di Milano e autore del volume "Islam e politica", edizione il Mulino

Il manifesto 11 ottobre 2001
I fratelli musulmani nascono nel '28 in Egitto, e il movimento islamista si fa più movimentista. I primi atti terroristi avvengono durante la II guerra mondiale. Repressi duramente, riemergono. E si rafforzano dopo la sconfitta nella guerra dei "Sei giorni", nel '67. La questione nazionale palestinese ne è una forte componente

 

  Radicalismo o fondamentalismo? Il primo equivoco da risolvere è terminologico. Quando si definiscono i gruppi musulmani radicali come fondamentalisti o integralisti, si compie un indebito trasferimento nell'Islam di categorie mutuate dal cristianesimo, soprattutto protestante. Certo, il radicalismo islamico invoca un ritorno ai fondamenti della religione, ovvero al Libro - il Corano - e alle tradizioni del comportamento del Profeta Maometto - la sunna. Tuttavia, è abbastanza improprio considerare i radicali come fondamentalisti in quanto, come è stato da molti notato, anche se teoricamente spesso contrari alla modernità, essi ne sono figli e la loro prospettiva di riforma è rivolta al moderno. Si consideri il problema dello stato: l'idea stessa della fondazione dello stato islamico è un'innovazione rispetto alla dottrina politica islamica classica, in cui pure il sistema del califfato, soprattutto dei primi quattro "ben guidati" successori di Maometto (e basti citare al proposito il grande filosofo della politica Ibn Khaldun, morto nel 1406) rappresentava l'ideale politico da realizzare sulla terra.
Di fatto, l'ideologia politica radicale si incentra su un certo numero di idee forti che ne qualificano peculiarmente la ideologia. La prima è che l'Islam è "religione e stato", ossia che è possibile una identificazione o almeno una stretta collaborazione tra politica e religione, le cui dimensioni non sono separate ma interagenti. Molti studiosi occidentali dell'Islam considerano questa espressione infondata, in quanto lungo la millenaria storia delle società islamiche, il potere politico avrebbe sempre, o per lo più, prevaricato la religione; ma, e questo è quanto più importa, non è condivisa nemmeno da tutti i musulmani, a partire dal primo avvocato della separazione tra sfera religiosa e sfera politica nell'Islam, il giurista egiziano Ali abd ar-Raziq (1925).
In ogni caso, la locuzione non significa propriamente che l'Islam sia una teocrazia, in quanto nell'Islam manca un clero e una istituzione centrale docente come la Chiesa cattolica. Implica però che la sovranità appartenga a Dio: il termine arabo è hakimiyyah, ed è un termine centrale nel lessico politico radicale. Dio è il sovrano legislatore e nessuna autorità umana può pretendere di modificare le leggi di Dio né sostituirsi a lui in questa attività essenziale per l'umana convivenza civile. Se la società islamica e lo stato islamico sono istituzioni dove vige la legge di Dio, è evidente che tutto il resto sia oscurità e barbarie, ovvero "ignoranza" (jahiliyyah). E' questa la situazione del mondo occidentale, ovviamente, sordo alla verità, ma anche di gran parte del mondo musulmano stesso in cui il secolarismo e l'edonismo hanno prevaricato l'autentico messaggio etico dell'Islam provocando, nei fatti, una rottura con la religione. Contro lo stato di ignoranza, di inconsapevolezza e di apostasia è lecito il combattimento o meglio lo "sforzo" sulla via di Dio (jihad): secondo una celebre espressione del Profeta, prima con la mano, quindi con la lingua e infine col cuore, a dimostrazione del fatto che la testimonianza di fede non è esclusivamente, o almeno non solo, violenta. Questi princìpi basilari dell'islamismo radicale sono stati codificati dai due principali teorici del movimento, il pakistano Abu'l-Ala al-Mawdudi e l'egiziano Sayyid Qutb. In effetti, il Pakistan e l'Egitto hanno rappresentato i due poli e le due fonti dell'islamismo radicale. E' opportuno però sottolineare come, anche se le dottrine di Mawdudi e Qutb sono state elaborate soprattutto negli anni Cinquanta e Sessanta del XX secolo, tuttavia l'islamismo radicale è emerso, nella sua variante estremista e pronta al rovesciamento rivoluzionario della situazione politica vigente, soltanto durante e dopo gli anni Settanta. A buon diritto si può considerare - e il ragionamento è valido soprattutto per il mondo arabo e il Vicino Oriente - come data discriminante la guerra del Sei Giorni del 1967 e la disastrosa disfatta dell'Egitto contro Israele. La sconfitta del laicismo di Nasser, del socialismo e del panarabismo di cui Nasser era il portavoce, hanno provocato una grave crisi di identità ideologica nel mondo arabo. Da un lato, filosofi marxisti come Jalal al-Azm hanno imputato all'Islam l'arretratezza dei paesi arabi. Dall'altro, predicatori islamisti come lo sceicco Kishk hanno visto nella crisi dell'arabismo laico la rivi
ncita di Dio.
Comincia così la parabola di radicalizzazione dell'Islamismo e il problema palestinese ne costituisce una variabile non secondaria. Una prima avvisaglia si era avuta peraltro già nel XVIII secolo e poi agli inizi del XX, quando il movimento puritano e rigorista dei Wahhabiti aveva prima aiutato il sorgere dell'emirato saudita in Arabia e poi fornito il retroterra ideologico alla monarchia di Abd al-Aziz Ibn Saud. Nell'Ottocento, però, e nei primi decenni del Novecento, il modernismo musulmano si era confrontato con l'Occidente soprattutto sul piano della cultura. I salafisti, come l'egiziano Muhammad Abduh o il siriano Rashid Rida o l'algerino Ben Badis, erano convinti della sostanziale razionalità del Corano e impegnati in un'opera di diffusione dell'educazione e dei valori spirituali dell'Islam - e non alieni da una prospettiva nazionalistica contro il predominante imperialismo.
Non si sottolineerà mai abbastanza come la presenza coloniale nei paesi arabi, e musulmani in genere, sia da considerarsi come una causa remota decisiva del sorgere dell'islamismo, radicale e no. Molti islamisti hanno giudicato (e tuttora taluni giudicano) gli Occidentali come nuovi crociati, venuti a combattere l'Islam nelle sue terre (e basti ricordare la reazione dell'opinione pubblica araba alla presenza degli Americani in Arabia Saudita durante e dopo la Guerra del Golfo). Del resto, la reazione salafista, come poi la stessa reazione islamista radicale sono innescate dal confronto non sempre pacifico, anzi il più delle volte contraddittorio, della mentalità araba e musulmana con la modernità, scientista e tecnologica, di cui l'Occidente è il rappresentante per eccellenza. I salafisti hanno rivendicato all'Islam la paternità del razionalismo, anche scientifico; ma gli islamisti radicali hanno assunto frequentemente un atteggiamento di rifiuto nei confronti della modernità, anche se, come si è detto, qualche volta ne sono stati araldi per quanto riguarda certe scelte politiche o ideologiche.
E' con la nascita in Egitto dei Fratelli Musulmani (nel 1928) che il movimento islamista acquista una caratteristica più movimentista, impegnandosi attivamente nel sociale, lottando contro il colonialismo in nome del ritorno a una visione politica e onnicomprensiva dell'Islam autentico. La solidarietà sociale e l'educazione, come per la salafiyyah, sono pilastri che ispirano l'azione dei Fratelli Musulmani, che agli inizi è del tutto aliena da ogni manifestazione violenta. Durante la seconda guerra mondiale o subito dopo, si sviluppa però un apparato segreto dell'organizzazione che presto sfugge al controllo del fondatore, Hasan al-Banna, e che effettua isolati atti terroristici. I Fratelli Musulmani sono poi spietatamente repressi sotto Nasser (Qutb venne impiccato nel 1966), ma riemergono negli anni Settanta sotto Sadat, che si appoggia su di loro per combattere la sinistra interna. Dai Fratelli Musulmani sono germinate, si può dire, quasi tutte le organizzazioni radicali del Vicino Oriente arabo: quelle egiziane, ovviamente, come "al-Jihad", responsabile dell'assassinio di Sadat nel 1981 o "Takfir wa Hijrah" ("dichiarazione di miscredenza ed emigrazione", due atti che avevano qualificato l'azione del Profeta Maometto contro i pagani della Mecca). Tuttavia, in certo modo figli dei Fratelli Musulmani sono anche i gruppi radicali tunisini (come il Movimento della Tendenza Islamica di Rashid Ghannushi) o algerini come il Fis (poi scavalcato, "a destra", dall'ala militarista e terroristica del Gia, i "gruppi islamici armati").
In Egitto o in altri paesi arabi, le organizzazioni radicali sono sempre rimaste marginali rispetto allo stato e sostanzialmente represse. Uno studio recente ha evidenziato come nella maggior parte dei paesi arabi (Siria, Egitto, Iraq, Libia, Tunisia), le organizzazioni radicali siano andate incontro a una esclusione totale dal contatto col potere, o almeno a una emarginazione che tende a delegittimarle di fronte all'opinione pubblica. In Egitto, per esempio, i Fratelli Musulmani sono ufficialmente fuorilegge, anche se sono attualmente su posizioni moderate e favorevoli alla dialettica parlamentare. In Pakistan, la "Jamaat-i Islami", fondata da Mawdudi, è invece profondamente radicata nella società ed è stata in taluni momenti integrata nelle strutture istituzionali del paese, per esempio all'epoca della dittatura del generale Zia ul-Haqq. E' in certo senso vero che la rete di scuole e di istituzioni che fanno capo alla "Jamaat-i Islami" ha favorito il sorgere del movimento dei Talebani. Altri tre paesi in cui è in opera una integrazione dell'Islam con le strutture politiche sono l'Arabia saudita, ovviamente, ma anche l'Iran e il Sudan.
L'esperienza iraniana ha origini in parte diverse rispetto all'esperienza dei gruppi radicali arabi. Anche qui, si può dire che Khomeini abbia combattuto, con la rivoluzione contro lo scià, la modernità e l'occidentalizzazione. Tuttavia, la dottrina politica di Khomeini si incentra su un concetto del tutto peculiare al mondo sciita, quello di "vicariato dei giureconsulti". Secondo questa dottrina, che ha remote origini nel pensiero politico sciita medievale, gli ulema, i dottori della Legge, hanno il diritto di intervenire nella legislazione in attesa del ritorno dell'imam nascosto, il Mahdi atteso, una sorta di messia che tornerà alla fine dei tempi a riportare la giustizia sulla terra. L'islamismo radicale sunnita e l'islamismo sciita presentano dunque alcune differenze di base, anche se in entrambi si può dire che operi la prospettiva di una lettura eminentemente politica della religione.