Radicalismo
o fondamentalismo? Il primo equivoco da risolvere è terminologico.
Quando si definiscono i gruppi musulmani radicali come fondamentalisti
o integralisti, si compie un indebito trasferimento nell'Islam di
categorie mutuate dal cristianesimo, soprattutto protestante. Certo,
il radicalismo islamico invoca un ritorno ai fondamenti della
religione, ovvero al Libro - il Corano - e alle tradizioni del
comportamento del Profeta Maometto - la sunna. Tuttavia, è abbastanza
improprio considerare i radicali come fondamentalisti in quanto, come
è stato da molti notato, anche se teoricamente spesso contrari alla
modernità, essi ne sono figli e la loro prospettiva di riforma è
rivolta al moderno. Si consideri il problema dello stato: l'idea
stessa della fondazione dello stato islamico è un'innovazione
rispetto alla dottrina politica islamica classica, in cui pure il
sistema del califfato, soprattutto dei primi quattro "ben
guidati" successori di Maometto (e basti citare al proposito il
grande filosofo della politica Ibn Khaldun, morto nel 1406)
rappresentava l'ideale politico da realizzare sulla terra.
Di fatto, l'ideologia politica radicale si incentra su un certo numero
di idee forti che ne qualificano peculiarmente la ideologia. La prima
è che l'Islam è "religione e stato", ossia che è
possibile una identificazione o almeno una stretta collaborazione tra
politica e religione, le cui dimensioni non sono separate ma
interagenti. Molti studiosi occidentali dell'Islam considerano questa
espressione infondata, in quanto lungo la millenaria storia delle
società islamiche, il potere politico avrebbe sempre, o per lo più,
prevaricato la religione; ma, e questo è quanto più importa, non è
condivisa nemmeno da tutti i musulmani, a partire dal primo avvocato
della separazione tra sfera religiosa e sfera politica nell'Islam, il
giurista egiziano Ali abd ar-Raziq (1925).
In ogni caso, la locuzione non significa propriamente che l'Islam sia
una teocrazia, in quanto nell'Islam manca un clero e una istituzione
centrale docente come la Chiesa cattolica. Implica però che la
sovranità appartenga a Dio: il termine arabo è hakimiyyah, ed
è un termine centrale nel lessico politico radicale. Dio è il
sovrano legislatore e nessuna autorità umana può pretendere di
modificare le leggi di Dio né sostituirsi a lui in questa attività
essenziale per l'umana convivenza civile. Se la società islamica e lo
stato islamico sono istituzioni dove vige la legge di Dio, è evidente
che tutto il resto sia oscurità e barbarie, ovvero
"ignoranza" (jahiliyyah). E' questa la situazione del
mondo occidentale, ovviamente, sordo alla verità, ma anche di gran
parte del mondo musulmano stesso in cui il secolarismo e l'edonismo
hanno prevaricato l'autentico messaggio etico dell'Islam provocando,
nei fatti, una rottura con la religione. Contro lo stato di ignoranza,
di inconsapevolezza e di apostasia è lecito il combattimento o meglio
lo "sforzo" sulla via di Dio (jihad): secondo una
celebre espressione del Profeta, prima con la mano, quindi con la
lingua e infine col cuore, a dimostrazione del fatto che la
testimonianza di fede non è esclusivamente, o almeno non solo,
violenta. Questi princìpi basilari dell'islamismo radicale sono stati
codificati dai due principali teorici del movimento, il pakistano Abu'l-Ala
al-Mawdudi e l'egiziano Sayyid Qutb. In effetti, il Pakistan e
l'Egitto hanno rappresentato i due poli e le due fonti dell'islamismo
radicale. E' opportuno però sottolineare come, anche se le dottrine
di Mawdudi e Qutb sono state elaborate soprattutto negli anni
Cinquanta e Sessanta del XX secolo, tuttavia l'islamismo radicale è
emerso, nella sua variante estremista e pronta al rovesciamento
rivoluzionario della situazione politica vigente, soltanto durante e
dopo gli anni Settanta. A buon diritto si può considerare - e il
ragionamento è valido soprattutto per il mondo arabo e il Vicino
Oriente - come data discriminante la guerra del Sei Giorni del 1967 e
la disastrosa disfatta dell'Egitto contro Israele. La sconfitta del
laicismo di Nasser, del socialismo e del panarabismo di cui Nasser era
il portavoce, hanno provocato una grave crisi di identità ideologica
nel mondo arabo. Da un lato, filosofi marxisti come Jalal al-Azm hanno
imputato all'Islam l'arretratezza dei paesi arabi. Dall'altro,
predicatori islamisti come lo sceicco Kishk hanno visto nella crisi
dell'arabismo laico la rivi
ncita di Dio.
Comincia così la parabola di radicalizzazione dell'Islamismo e il
problema palestinese ne costituisce una variabile non secondaria. Una
prima avvisaglia si era avuta peraltro già nel XVIII secolo e poi
agli inizi del XX, quando il movimento puritano e rigorista dei
Wahhabiti aveva prima aiutato il sorgere dell'emirato saudita in
Arabia e poi fornito il retroterra ideologico alla monarchia di Abd
al-Aziz Ibn Saud. Nell'Ottocento, però, e nei primi decenni del
Novecento, il modernismo musulmano si era confrontato con l'Occidente
soprattutto sul piano della cultura. I salafisti, come l'egiziano
Muhammad Abduh o il siriano Rashid Rida o l'algerino Ben Badis, erano
convinti della sostanziale razionalità del Corano e impegnati in
un'opera di diffusione dell'educazione e dei valori spirituali
dell'Islam - e non alieni da una prospettiva nazionalistica contro il
predominante imperialismo.
Non si sottolineerà mai abbastanza come la presenza coloniale nei
paesi arabi, e musulmani in genere, sia da considerarsi come una causa
remota decisiva del sorgere dell'islamismo, radicale e no. Molti
islamisti hanno giudicato (e tuttora taluni giudicano) gli Occidentali
come nuovi crociati, venuti a combattere l'Islam nelle sue terre (e
basti ricordare la reazione dell'opinione pubblica araba alla presenza
degli Americani in Arabia Saudita durante e dopo la Guerra del Golfo).
Del resto, la reazione salafista, come poi la stessa reazione
islamista radicale sono innescate dal confronto non sempre pacifico,
anzi il più delle volte contraddittorio, della mentalità araba e
musulmana con la modernità, scientista e tecnologica, di cui
l'Occidente è il rappresentante per eccellenza. I salafisti hanno
rivendicato all'Islam la paternità del razionalismo, anche
scientifico; ma gli islamisti radicali hanno assunto frequentemente un
atteggiamento di rifiuto nei confronti della modernità, anche se,
come si è detto, qualche volta ne sono stati araldi per quanto
riguarda certe scelte politiche o ideologiche.
E' con la nascita in Egitto dei Fratelli Musulmani (nel 1928) che il
movimento islamista acquista una caratteristica più movimentista,
impegnandosi attivamente nel sociale, lottando contro il colonialismo
in nome del ritorno a una visione politica e onnicomprensiva
dell'Islam autentico. La solidarietà sociale e l'educazione, come per
la salafiyyah, sono pilastri che ispirano l'azione dei Fratelli
Musulmani, che agli inizi è del tutto aliena da ogni manifestazione
violenta. Durante la seconda guerra mondiale o subito dopo, si
sviluppa però un apparato segreto dell'organizzazione che presto
sfugge al controllo del fondatore, Hasan al-Banna, e che effettua
isolati atti terroristici. I Fratelli Musulmani sono poi spietatamente
repressi sotto Nasser (Qutb venne impiccato nel 1966), ma riemergono
negli anni Settanta sotto Sadat, che si appoggia su di loro per
combattere la sinistra interna. Dai Fratelli Musulmani sono germinate,
si può dire, quasi tutte le organizzazioni radicali del Vicino
Oriente arabo: quelle egiziane, ovviamente, come "al-Jihad",
responsabile dell'assassinio di Sadat nel 1981 o "Takfir wa
Hijrah" ("dichiarazione di miscredenza ed emigrazione",
due atti che avevano qualificato l'azione del Profeta Maometto contro
i pagani della Mecca). Tuttavia, in certo modo figli dei Fratelli
Musulmani sono anche i gruppi radicali tunisini (come il Movimento
della Tendenza Islamica di Rashid Ghannushi) o algerini come il Fis
(poi scavalcato, "a destra", dall'ala militarista e
terroristica del Gia, i "gruppi islamici armati").
In Egitto o in altri paesi arabi, le organizzazioni radicali sono
sempre rimaste marginali rispetto allo stato e sostanzialmente
represse. Uno studio recente ha evidenziato come nella maggior parte
dei paesi arabi (Siria, Egitto, Iraq, Libia, Tunisia), le
organizzazioni radicali siano andate incontro a una esclusione totale
dal contatto col potere, o almeno a una emarginazione che tende a
delegittimarle di fronte all'opinione pubblica. In Egitto, per
esempio, i Fratelli Musulmani sono ufficialmente fuorilegge, anche se
sono attualmente su posizioni moderate e favorevoli alla dialettica
parlamentare. In Pakistan, la "Jamaat-i Islami", fondata da
Mawdudi, è invece profondamente radicata nella società ed è stata
in taluni momenti integrata nelle strutture istituzionali del paese,
per esempio all'epoca della dittatura del generale Zia ul-Haqq. E' in
certo senso vero che la rete di scuole e di istituzioni che fanno capo
alla "Jamaat-i Islami" ha favorito il sorgere del movimento
dei Talebani. Altri tre paesi in cui è in opera una integrazione
dell'Islam con le strutture politiche sono l'Arabia saudita,
ovviamente, ma anche l'Iran e il Sudan.
L'esperienza iraniana ha origini in parte diverse rispetto
all'esperienza dei gruppi radicali arabi. Anche qui, si può dire che
Khomeini abbia combattuto, con la rivoluzione contro lo scià, la
modernità e l'occidentalizzazione. Tuttavia, la dottrina politica di
Khomeini si incentra su un concetto del tutto peculiare al mondo
sciita, quello di "vicariato dei giureconsulti". Secondo
questa dottrina, che ha remote origini nel pensiero politico sciita
medievale, gli ulema, i dottori della Legge, hanno il diritto
di intervenire nella legislazione in attesa del ritorno dell'imam
nascosto, il Mahdi atteso, una sorta di messia che tornerà alla fine
dei tempi a riportare la giustizia sulla terra. L'islamismo radicale
sunnita e l'islamismo sciita presentano dunque alcune differenze di
base, anche se in entrambi si può dire che operi la prospettiva di
una lettura eminentemente politica della religione.
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