C'è stato un immenso movimento di truppe ed
un uso estremo della retorica militare, fino a giungere a commenti
sulla possibilità di porre termine a governi ecc. Eppure a molta
gente sembra che ci sia ancora un contenimento eccessivo... cosa è
successo?
Dal primo giorno dopo l'attacco,
l'amministrazione Bush è stata messa in guardia dai leaders della
NATO, da esperti di quella regione e presumibilmente dai suoi stessi
servizi segreti (per non parlare di tanti come te e me) che se
reagisse attaccando massicciamente e uccidendo molti innocenti,
esaudirebbe le preghiere più fervide di bin Laden. Cadrebbero in una
"trappola diabolica", come ha detto il ministro degli esteri
francese. Ciò sarebbe vero - e forse ancora di più - se gli
riuscisse di uccidere bin Laden senza aver fornito delle prove
credibili del suo coinvolgimento nei crimini dell'11 settembre. Bin
Laden diventerebbe in questo modo un martire anche tra la maggioranza
dei musulmani che li condannano, come lo stesso bin Laden ha fatto,
per ciò che può valere, negando qualunque coinvolgimento in essi o
anche solo di esserne a conoscenza, e condannando "l'uccisione di
donne, bambini ed altri essere umani innocenti" come un
"atto che l'Islam proibisce recisamente... anche nel corso di una
battaglia" (BBC, 29 settembre). La sua voce continuerà a
risuonare su decine di migliaia di cassette che già circolano nel
mondo musulmano ed in molte interviste, anche di questi giorni. Un
attacco che uccida afgani innocenti - non i Talebani ma le loro
vittime terrorizzate - sarebbe virtualmente un appello ad arruolarsi
per la causa dell'organizzazione di bin Laden e di altri
"laureati" di organizzazioni terroristiche costituite dalla
CIA e dai suoi compagni venti anni fa per combattere la Guerra Santa
contro l'Unione Sovietica (…) Comunque, "contenimento" mi
sembra una parola opinabile. Il 16 settembre, il New York Times ha
scritto che "Washington ha anche richiesto [al Pakistan]
l'interruzione delle forniture di carburante,... e la soppressione dei
convogli di autocarri che riforniscono la popolazione civile dell'Afganistan
della maggior parte del cibo ed altro". Stupefacentemente, questo
annuncio non ha suscitato alcuna reazione percepibile in Occidente (…)
Il 27 settembre, lo stesso corrispondente del NYT riferì che
ufficiali pakistani "hanno dichiarato oggi che non si lasceranno
smuovere dalla decisione di sigillare i 2000 chilometri di confine con
l'Afganistan, una mossa richiesta dall'amministrazione Bush perché,
dicono gli ufficiali, volevano essere sicuri che nessuno degli uomini
di bin Laden potesse nascondersi nella marea immensa dei
rifugiati" (John Burns, Islamabad). Secondo i giornali principali
del mondo, dunque, Washington ha chiesto che il Pakistan macelli
numeri ingenti di afgani, milioni di loro già sul punto di morire per
fame, tagliando il limitato sostentamento che li teneva in vita. Quasi
tutte le missioni si sono ritirate o sono state espulse sotto la
minaccia di bombardamenti. Numeri elevatissimi di miserabili si sono
dati alla fuga oltre il confine per il terrore, dopo la minaccia di
Washington di bombardare i brandelli di esistenza che ancora resistono
in quel paese (…) Quando i rifugiati raggiungono le frontiere
sigillate, sono intrappolati, destinati a morire in silenzio. Solo un
rivolo può fuggire attraverso gli incerti passi di montagna. Non
possiamo sapere quanti sono già morti e pochi sembrano
interessarsene. Escludendo gli enti di soccorso non ho visto fare
tentativi di una stima. Entro poche settimane un inverno duro
arriverà. Ci sono alcuni reporter ed aiutanti nei campi di rifugiati
oltre il confine. Ciò che descrivono è abbastanza orribile, ma essi
sanno, e noi con loro, che quelli sono i fortunati, i pochi che sono
stati in grado di fuggire e che esprimono la loro speranza che
"finanche i crudeli Americani possano provare pietà per il
nostro paese in rovina", e commuoversi per questo selvaggio
genocidio silenzioso (Boston Globe, 27 settembre). Forse la
descrizione più appropriata è stata data dalla meravigliosa e
coraggiosa scrittrice ed attivista indiana Arundhati Roy, facendo
riferimento all'Operazione Giustizia Infinita proclamata
dall'amministrazione Bush: "Guardate la giustizia infinita del
nuovo secolo. Civili che stanno morendo di fame mentre aspettano di
essere uccisi" (Guardian, 29 settembre).
Le Nazioni Unite hanno indicato che la
minaccia di morte per fame in Afganistan è enorme. Le critiche
internazionali per questa ragione sono cresciute e ora gli USA e la
Gran Bretagna parlano di fornire aiuti alimentari per scacciare la
fame. Stanno accogliendo le posizioni del dissenso nei fatti o solo in
apparenza? Quale è la loro motivazione? Quale sarà la scala e
l'impatto dei loro sforzi?
L'ONU stima che circa 7-8 milioni di persone
corrono il rischio imminente di morire di fame. Il NY Times riferisce
in un piccolo pezzo (25 settembre) che circa sei milioni di afgani
dipendono dagli aiuti alimentari dell'ONU, così come 3.5 milioni nei
campi per rifugiati al di là del confine, molti dei quali sono
scappati giusto prima che quest'ultimo fosse sigillato. L'articolo
riportava che del cibo viene inviato ai campi oltre confine. Se la
gente a Washington e le redazioni hanno anche una sola cellula grigia
funzionante, si renderanno conto che devono presentarsi come umanitari
che cercano di prevenire la tragedia crudele che ha fatto
immediatamente seguito alla minaccia di bombardamenti e di attacco
militare e alla chiusura dei confini che loro stessi avevano imposto.
"Gli esperti spronano gli Stati Uniti a migliorare la loro
immagine incrementando gli aiuti ai rifugiati afgani, così come
aiutando nella ricostruzione economica" (Christian Science
Monitor, 28 settembre). Anche senza specialisti di pubbliche
relazioni, i funzionari dell'amministrazione devono capire che devono
spedire del cibo ai rifugiati che ce l'hanno fatta a superare il
confine, e per lo meno parlare di lanci aerei di cibo per la gente che
sta morendo di fame all'interno: allo scopo di "salvare le
vite" ma anche di "aiutare lo sforzo per individuare i
gruppi terroristici all'interno dell'Afganistan" (Boston Globe,
27 settembre, citazione di un ufficiale del Pentagono che descrive
questa cosa come "conquistare i cuori e le menti della
gente"). I redattori del NY Times hanno ripreso lo stesso tema il
giorno seguente, 12 giorni dopo che il giornale aveva riportato che
l'operazione omicida stava per essere realizzata". Circa
l'entità dell'aiuto, uno può solo sperare che sia enorme, o la
tragedia umana può diventare immensa in poche settimane. Ma dovremmo
anche tenere a mente che non c'è stato nulla che impedisse massicci
lanci di aiuti alimentari sin dall'inizio e che non possiamo nemmeno
provare ad indovinare quanti siano già morti, o moriranno presto. Se
il governo è ragionevole, ci sarà almeno una parvenza dei
"massicci lanci aerei" che gli ufficiali menzionano.
Le istituzioni legali internazionali
approverebbero probabilmente tentativi di arrestare e processa bin
Laden ed altri, supponendo che la colpevolezza possa essere
dimostrata, comprendendo l'uso della forza. Perché gli USA evitano
questa possibilità? È solo il desiderio di non legittimare un
approccio che potrebbe essere usato, allo stesso modo, contro i nostri
atti di terrorismo, o ci sono altri elementi in gioco?
Gran parte del mondo ha chiesto agli USA di
fornire qualche evidenza del collegamento tra bin Laden ed il crimine,
e se tale evidenza potesse essere fornita, non sarebbe difficile
radunare un sostegno amplissimo ad un'azione internazionale, sotto
l'egida dell'ONU, per arrestarlo e processare lui ed i suoi
collaboratori. Ma non è comunque una cosa semplice. Anche se bin
Laden e la sua organizzazione fossero coinvolti nei crimini dell'11
settembre, potrebbe essere molto difficile fornirne prove credibili.
Come la CIA sa molto bene, avendo nutrito e controllato da vicino
queste organizzazioni per venti anni, esse sono diffuse,
decentralizzate, non gerarchiche, probabilmente con pochissimi flussi
informatici o direzione diretta. E per quello che sappiamo, la gran
parte degli esecutori può essersi suicidata nella loro missione
orrenda. Ci sono altri problemi sullo sfondo. Per citare ancora Roy,
"la risposta dei Talebani alle richieste di estradizione di bin
Laden da parte degli USA è stata insolitamente ragionevole: producete
le prove e ve lo daremo. La risposta del presidente Bush è che
la richiesta non è negoziabile". Roy aggiunge inoltre una delle
molte ragioni per cui questo quadro è inaccettabile per Washington:
"Mentre si parla dell'estradizione dei capi, può l'India
inserire a margine la richiesta di estradizione dagli USA per Warren
Anderson? Era il capo della Union Carbide, responsabile della perdita
di gas di Bhopal che uccise 16 mila persone nel 1984. Abbiamo raccolto
le prove necessarie. È tutto nella richiesta. Possiamo averlo, per
favore?" Questi confronti suscitano la collera estrema delle
frange estreme dell'opinione occidentale, alcuni di loro li chiamano
"la sinistra": Ma per gli occidentali che hanno conservato
la loro integrità morale e mentale e per un gran numero tra le
vittime di sempre, sono piuttosto significativi. I leader di governo
presumibilmente lo capiscono. Ed il singolo esempio che Roy cita è
solo l'inizio, chiaramente, ed uno degli esempi minori, non solo per
la scala dell'atrocità, ma perché non fu espressamente un crimine di
stato. Supponiamo che l'Iran dovesse richiedere l'estradizione di alti
ufficiali delle amministrazioni Carter e Reagan, rifiutandosi di
presentare un'ampia evidenza dei crimini che costoro avevano messo in
pratica - e questa sicuramente esiste. O supponiamo che il Nicaragua
dovesse richiedere l'estradizione dell'ambasciatore USA all'ONU,
recentemente incaricato di condurre la "guerra contro il
terrore", un uomo la cui storia include il servizio come
"proconsole" (come si indicava il più delle volte) nel
dominio feudale virtuale dell'Honduras, dove di sicuro era al corrente
delle atrocità dei terroristi che egli stava appoggiando, e che
sovrintendeva anche la guerra terroristica per la quale gli USA erano
stati condannati dalla Corte Mondiale e dal Consiglio di Sicurezza (in
una risoluzione contro la quale gli USA esercitarono il diritto di
veto). O molti altri. Si sognerebbero mai gli USA di rispondere a
queste richieste presentate senza prove, o anche se ampie prove
fossero presentate? Queste porte è meglio lasciarle chiuse, così
come è meglio mantenere il silenzio sulla nomina di una figura leader
nella gestione di operazioni condannate in quanto terroristiche dai
più alti organismi internazionali per condurre una "guerra al
terrorismo". Pure Johnathan Swift rimarrebbe senza parole. Questa
può essere la ragione per cui gli esperti in pubblicità
dell'amministrazione hanno preferito l'utilmente ambiguo termine
"guerra" al più esplicito "crimine",
"crimine contro l'umanità come Robert Fisk, Mary Robinson ed
altri l'hanno accuratamente descritto. Ci sono procedure ben definite
per occuparsi di crimini, per quanto possano essere orrendi.
Richiedono la prova e l'aderenza al principio secondo cui "coloro
che sono colpevoli di questi atti" siano "giudicati
responsabili una volta che l'evidenza sia stata prodotta, ma non
altri" (Giovanni Paolo II, NYT 24 settembre). Non, per esempio,
il numero sconosciuto di miserabili che stanno morendo di fame nel
terrore all'interno dei confini sigillati, benché anche in questo
caso stiamo parlando di crimini contro l'umanità.
Se i Talebani cadessero e bin Laden o qualcuno
ritenuto responsabile fosse catturato o ucciso, cosa succederebbe in
seguito? Cosa succederà all'Afganistan? Cosa succederà più in
generale nelle altre regioni?
Il piano di un'amministrazione intelligente
sarebbe perseguire il programma di genocidio silenzioso in corso,
combinandolo con gesti umanitari per suscitare l'applauso del solito
coro che ha il compito di cantare le lodi dei nobili leaders dediti a
"principi e valori" e in grado di condurre il mondo verso
una "Nuova era" liberata dalla disumanità (…) Un attacco
USA non potrebbe essere comparato alla fallita invasione da parte
sovietica negli anni '80. I sovietici fronteggiavano un esercito
cospicuo di forse 100 mila uomini o più, organizzati, addestrati e
pesantemente armati dalla CIA e i suoi compagni. Gli USA si trovano di
fronte un'accozzaglia di persone in un paese che è stato già
virtualmente distrutto da 20 anni di orrore, per la qual cosa portiamo
una responsabilità non leggera. Le forze dei Talebani, così come
sono, potrebbero cedere rapidamente fatta eccezione per un nucleo
ristretto. E ci si aspetterebbe che la popolazione sopravvissuta dia
il benvenuto ad una forza di invasori se appena non fosse associata
troppo strettamente alle bande assassine che hanno ridotto il paese a
brandelli prima della presa del potere dei Talebani. A questo punto,
la maggior parte della gente darebbe probabilmente il benvenuto
finanche a Gengis Khan. Cosa accadrà dopo? Gli espatriati afgani e,
apparentemente, alcuni elementi che non fanno parte dei circoli più
interni dei Talebani hanno invocato un'iniziativa dell'ONU per
insediare un qualche governo di transizione, in un processo che
potrebbe aver successo nel tentativo di ricostruire qualcosa di
accettabile a partire da questi rottami, se solo fosse predisposto un
sostanzioso aiuto alla ricostruzione, convogliato attraverso
istituzioni indipendenti come l'ONU o ONG credibili. Tutto questo
dovrebbe essere la responsabilità minima da parte di coloro che hanno
trasformato questo paese povero in una terra di terrore, disperazione,
cadaveri e vittime mutilate. Potrebbe succedere, ma non senza degli
sforzi sostanziosi delle popolazioni dei paesi ricchi e potenti. Al
momento, un qualunque corso di questo genere è stato escluso
dall'amministrazione Bush, che ha annunciato che non si impegnerà nel
"costruire la nazione" (…) Ma il rifiuto attuale di
considerare questo processo non è scolpito nella pietra. Cosa
accadrà in altre regioni dipende da fattori interni, dalle politiche
di agenti stranieri (soprattutto gli USA tra questi, per ragioni
ovvie) e dalla maniera in cui le cose procedono in Afganistan.
Difficilmente si può essere fiduciosi, ma per molti dei possibili
andamenti è possibili fare delle valutazioni ragionevoli sugli esiti,
e ci sono tantissime possibilità, troppe per cercare di passarle in
rassegna in brevi commenti.
Quale credi sia il ruolo e la priorità degli
attivisti sociali preoccupati per la giustizia in questo momento?
Dovremmo tenere a freno la nostra critica, come alcuni sostengono, o
è ora il momento, al contrario, di sforzi rinnovati e più ampi, non
solo perche si tratta di una crisi su cui possiamo tentare di avere un
impatto positivo, ma anche perché larghi settori dell'opinione
pubblica sono di fatto più recettivi del solito alla discussione ed
alla esplorazione, anche se altri settori sono ostili in maniera
intransigente?
Dipende da ciò che questi attivisti sociali
stanno cercando di ottenere. Se l'obiettivo è di innescare una
spirale di violenza ed aumentare la probabilità di ulteriori
atrocità come quella dell'11 Settembre - e, rincresciosamente devo
dire anche di peggiori, che sono già ben familiari al mondo - allora
dovrebbero senz'altro trattenersi dalle analisi e dalle critiche,
rifiutarsi di pensare, e ridurre il loro coinvolgimento nelle
serissime questioni in cui si sono impegnati. Lo stesso consiglio è
giustificato se vogliono aiutare gli elementi più reazionari e
retrogradi del sistema di potere politico-economico a realizzare i
loro piani, che saranno di gran danno per la popolazione generale qui
e in gran parte del mondo, e potranno finanche mettere in pericolo la
sopravvivenza. Se, al contrario, l'obiettivo degli attivisti sociali
è di ridurre la probabilità di ulteriori atrocità e di far avanzare
le speranze di pace, per i diritti umani e la democrazia, allora
dovrebbero seguire l'andamento contrario. Dovrebbero intensificare i
loro sforzi di indagare sui fattori che stanno sullo sfondo di questi
ed altri crimini e dedicarsi con ancora maggior energia alle giuste
cause cui sisono già interamente dedicati. Le opportunità esistono
sicuramente. Lo shock per questi crimini orrendi ha già aperto anche
settori elitari ad una riflessione di un genere che sarebbe stato
difficile da immaginare solo poco tempo fa, e per l'opinione pubblica
in generale ciò è ancora più vero. Chiaramente ci sono quelli che
richiedono l'obbedienza silenziosa. Questo ci aspettiamo dall'estrema
destra, ma chiunque con un po' di familiarità con la storia se lo
aspetterà altresì da parte di taluni intellettuali di sinistra,
forse addirittura in una forma più accesa. Ma è importante non
lasciarsi intimidire dallo sbraitare isterico e dalle bugie e tenersi
il più vicini possibile al corso della verità e dell'onestà e alla
preoccupazione per le conseguenze di ciò che si fa, o non si riesce a
fare (…)