Dopo
il crollo delle due torri di Manhattan l'Occidente ha improvvisamente
riscoperto i suoi valori. Li ha riconosciuti nella libertà e nella
democrazia, che ha faticosamente guadagnato nel corso della sua storia
e, compatto, si sta disponendo a combattere il terrorismo islamico, il
fondamentalismo e il fanatismo, individuati come minaccia per il
futuro della propria civiltà. Così ridisegnato il quadro, si sa chi
è il nemico e presumibilmente quali sono le cose da fare, che sono
poi quelle che si sono sempre fatte quando il nemico è stato
individuato. Questa logica è vecchia quanto il mondo, ma forse oggi
non è più utilizzabile, se vale l'ipotesi che forse il
"nemico" non è l'espressione di una cultura altra che si
contrappone all'Occidente, ma può essere generato dalla cultura e
dalla pratica stessa dell'Occidente, i cui valori sono sì la libertà
e la democrazia, ma solo come "derivati" di altri valori ben
più fondanti che sono la ricchezza economica e la potenza tecnica.
Colpendo i simboli della
ricchezza economica e dell'apparato tecnico-militare, i terroristi
hanno messo in evidenza quali sono i veri fondamenti dei nostri
valori, incrinati i quali, inevitabilmente si ridurranno anche per noi
gli spazi di libertà, i margini di sicurezza e speriamo non anche gli
spazi di democrazia. A questo punto dobbiamo incominciare a pensare
non tanto a come individuare il nemico che, fuori dall'Occidente, ci
minaccia, quanto a quel nesso che rende la nostra libertà e la nostra
democrazia "dipendenti" dal benessere economico, la cui
crescita, che sembra debba essere senza limiti, non importa a spese di
chi, genera inevitabilmente il nemico. E come si fa a combattere un
nemico generato dalle stesse pratiche economiche che sono a fondamento
della nostra libertà e della nostra democrazia, ossia dei valori in
cui l'Occidente si riconosce? Qui il circolo vizioso si fa stringente,
ma anche tragico, perché là dove il nemico è generato da noi, la
contrapposizione amico/nemico, su cui finora ha marciato la storia, è
azzerata, e riprendere questo schema nella lotta al terrorismo vuol
dire non aver capito che le pratiche economiche, che consentono a noi
libertà e democrazia, sono le stesse che altrove generano, quando non
la fame, la malattia e la morte, senz'altro schiavitù e ribellione.
Qui l'Occidente deve cominciare a pensare. A pensare se davvero può
reggere un sistema dove 800 milioni di occidentali dispongono dell'83
per cento del reddito mondiale.
Si obietterà che non c'è
alcuna relazione causale tra la povertà nel mondo e il gesto
terroristico, perché chi non ha neppure i soldi per mangiare non ha
la possibilità di compiere atti che richiedono molto denaro, assiduo
addestramento e una notevole competenza tecnica. Certo non c'è nessun
rapporto causale. Ma solo perché la storia, a differenza dei congegni
meccanici, non ha mai proceduto per cause ed effetti, ma per speranze
di vita e margini di futuro. Ora quando Usa e Urss si spartivano
l'influenza sui popoli della terra, per questi popoli c'era un margine
di speranza da giocare sfruttando la conflittualità tra americani e
sovietici. Ora che l'Unione Sovietica non c'è più, a tutti i popoli
che non appartengono al primo mondo non resta altro futuro se non
quello di subire le condizioni poste dal primo mondo, che è
"primo" solo, perché e fintanto che persegue la sua
"crescita" economica senza porsi alcun limite. Qui i margini
di futuro si fanno esigui e togliere il futuro a una quantità immane
di umanità che abita l'America Latina, l'Africa e l'Asia senza
prevedere una risposta disperata - e tragica per tutti - come può
essere quella dei popoli senza speranza, è davvero da ingenui o da
supponenti. I popoli senza futuro, se non quello previsto per loro
dalla logica economica del primo mondo, non hanno la possibilità di
scatenare una guerra al primo mondo. E allora, se non scelgono la via
della rassegnazione, frange e movimenti possono purtroppo pensare
all'arma esecrabile del terrorismo come ad una via per rivendicare un
senso alla loro esistenza, non potendo mettere in campo una forza
militare e al tempo stesso trovando insignificante e indegna una vita
decisa da altri.
Proviamo a indagare il
progetto omicida dei kamikaze. I kamikaze sanno che devono morire,
sanno che non vedranno il futuro che con il loro gesto sperano di
inaugurare, e allora se vanno volontariamente contro la morte è
perché considerano che la loro vita è una non vita, è già una
morte. Attenzione allo schema semplicistico secondo cui sono fanatici
a cui si è fatto credere un paradiso che non c'è, perché se questo
può essere in parte vero per il giovane palestinese che si fa saltare
in aria in territorio israeliano, è molto improbabile per piloti
addestrati con un'alta competenza tecnica come la si trova solo da noi
in Occidente. La violenza può essere "elegante" come quella
occidentale che si esprime con la sua ferrea logica economica e,
quando è il caso con le bombe intelligenti che sbagliano di frequente
i loro bersagli, o può essere "rozza" e
"proditoria" come quella terroristica che fa vittime
innocenti ma non meno innocenti dei bambini che da dieci anni
continuano a morire in massa in Iraq per effetto dell'embargo
occidentale. Ma la differenza tra "eleganza" e
rozzezza" è una vera differenza? O non è più giusto
considerare che quando si regolano i rapporti con il resto del mondo
meno fortunato di noi, e in parte per causa nostra, in termini di
"violenza" (sia pure "elegante" come può essere
un rigido condizionamento economico o una guerra a viso aperto, e per
una causa che, a partire dagli interessi che la promuovono, viene
percepita dagli occidentali come "giusta"), possiamo davvero
pensare che la risposta non sia altrettanto violenta con i mezzi che i
poveri hanno a disposizione?
La globalizzazione attuata
solo a partire dagli interessi economici dell'Occidente rischia di
generare il terrorismo, e il nostro secolo sarà il secolo del
terrorismo se non introdurremo nel processo di globalizzazione, oltre
a quello economico, altri criteri quali l'emancipazione dei popoli, il
loro acculturamento, l'acqua, il cibo e le medicine per la loro sete,
la loro fame, le loro malattie e, insomma, un po' di futuro per chi
non ne vede alle condizioni poste da noi occidentali. Perché chi è
senza futuro è capace di suicidarsi non per depressione come noi
occidentali, ma per un progetto, - esecrabile e omicida - che neppure
vedrà realizzato. Questa differenza antropologica così radicale va
tenuta in massimo conto, perché ci dice che gli uomini e le culture
non sono tutti uguali, e l'uniformità antropologica, a cui tende il
processo di globalizzazione, semmai dovesse essere un valore
funzionale alla tecnica e all'economia dell'Occidente, non è cosa che
si realizza dall'oggi al domani. Anzi io spero che non si realizzi
mai.
Dopo la tragedia di Manhattan
il Senato americano ha intonato il canto "Dio salvi
l'America". Ma il Dio che gli americani invocavano a loro
protezione è lo stesso Dio che i musulmani invocano. E allora se sono
tutti figli dello stesso Dio, non è certo la religione o il fanatismo
che la religione può innescare a contrapporre così tragicamente
l'uno all'altro. Ci deve essere qualche altra ragione, non religiosa,
non fanatica, non folle, quindi "razionale" alla base di
questa contrapposizione. E allora tocca a noi occidentali, che abbiamo
fatto della conquista della razionalità la nostra prerogativa, andare
a cercare la "ragione", e magari prendere in considerazione
l'ipotesi se non sia proprio la nostra "pratica economica",
che a noi garantisce i valori di libertà e democrazia a generare i
nostri "nemici", innescando così quel circolo vizioso che
annulla per la prima volta nella storia l'antica logica amico/nemico,
perché, per la prima volta nella storia il nemico non è fuori di
noi, di fronte a noi, altro da noi, ma nasce come effetto delle
condizioni di vita che siamo stati in grado di garantire solo per noi.