La presa di Kabul e di Kandahar non
risolve affatto la guerra in Afghanistan né, per il momento, il
problema del terrorismo. La documentazione delle città
"liberate" dai Talebani, dai burka e dalle barbe, secondo
una iconografia ricorrente delle masse in strada e che accomuna
l'immaginario di molte "liberazioni", non toglie incertezza
al futuro della guerra: il fatto è che la guerra voluta da Bush
junior non può essere soddisfatta da nessuna vittoria militare
ottenuta sul campo. Questa opinione è stata espressa molto prima che
la caduta di Kabul fosse prevedibile a così breve scadenza.
Nel "Clarin" del 22 ottobre
Juan Gabriel Tokatlian, in un articolo intitolato Los
peligros de esta guerra global contra el terrorismo
(www.clarin.com) concretizza due punti di analisi molto importanti. Il
primo è che "desaparece la perspectiva de un proximo 'dia
despues de la guerra' en el que los vencedores proclaman la victoria e
se disponen a estructurar un nuevo orden". Il secondo
principio è ancora più importante perché è stato accompagnato da
numerose analisi militari e politiche tese a giustificarlo. Si tratta
del fatto che "se borra la distinciòn entre guerra y paz"
per cui stiamo entrando in un periodo di pace calda, in luogo della
guerra fredda che ha accompagnato la nostra storia recente per
cinquant'anni.
La conseguenza prevedibile è un freno reale della democrazia in
favore di quello "scontro di civiltà" così lugubremente
annunciato. Lo stesso tema che è esposto in un articolo in "El
Pais" (www.elpais.es) del 22 ottobre di Andrés Ortega Definir
victoria dove l'essenza del ragionamento
è espressa nella conclusione "pero mala cosa serìa que, para
ganar 'la guerra contro al terrorismo global', en nombre de nuestras
libertades y formas de vida, acabamaros nosotros mismos con esas
libertades. Esa serìa una victoria del terrorismo. Al cabo, la
victoria debe llevar a un mundo más seguro y más libre. No lo será
si no es más justo y tolerante. Pero eso ya no es ganar la guerra. Es
construir la paz".
Sempre nel "El Pais" del 22 ottobre si paventano altri
tirmori, relativamente ai significati dell'accordo di Shangai tra Usa,
Russia e Cina che formalizzano scambi tra atrocità differenti in aree
diverse del pianeta e diminuzione degli armamenti nucleari.
Ma un mese fa la situazione
appariva per certi aspetti più incognita di quanto non lo sia oggi.
Il 22 ottobre "Le Monde" pubblicava un editoriale Sauver
les Afganes (www.lemonde.fr) dove il
problema veniva giustamente denunciato nei termini di una liberazione
dell'universo afgano dagli elementi di opressione e soprattutto di
annullamento delle donne che hanno caratterizzato il governo del
talebani, ma non solo: "Pour que la campagne actuelle ne soit
pas seulement une coalition cynique d'intérêts, il faudra rappeler
aux futures autorités de ce pays détruit leurs obligations envers l'autre
'moitié du monde". "Liberation" del 26 ottobre
(www.liberation.fr) in un editoriale intitolato Imperatif
humanitaire di Gerard Dupuy, chiarisce
come le responsabilità della gravissima situazione umanitaria dell'Afganistan
stiano in una politica indifferente ai problemi delle popolazioni e
come tuttavia oggi sia una questione direttamente politica quella di
portare aiuto, non militare, a quei popoli tormentati da anni di
guerre.
Qual è il reale dominio militare e politico di questa guerra e quali
sono i suoi confini e limiti? Su "El Pais" (www.elpais.es)
del 23 ottobre Rosa Townsend indaga a Washington sulle informazioni
circa i rilevanti acquisti di armi fatti dalla rete di Bin Laden
proprio negli Usa (Al Qaeda comprò en EE
UU armas de gran capacidad) dove,
accanto all'assoluta libertà di acquistare armi da guerra negli Stati
Uniti emerge la preoccupante incertezza degli organismi di sicurezza
americani circa il numero di terroristi che sarebbero negli States e
le loro attività più o meno dormienti, incertezza che
indubbiamente produce un grande impatto emotivo sulla popolazione
statunitense, come evidenzia "Le Monde" del 25 ottobre
(www.lemonde.fr) in un articolo del corrispondente in Usa, intitolato Le
catalogue sinistre des grandes peures américaines.
È un catalogo generico basato sulle paure più diffuse anche in
ciascuno di noi (come le malattie epidemiche o la bomba atomica), ma
singolarmente ignorante della reale diffusione delle armi in Usa,
così facilmente acquisibili da chiunque, come denunciava
dall'articolo di "Liberation". L'apparato militare
industriale, però, non si ferma né davanti ai pericoli reali né
davanti a quelli immaginari: "El Pais" del 27 ottobre
riporta la notizia del maggior contratto militare della storia vinto
dalla Lockheed. L'articolo di Miguel González da Madrid annuncia che
la compagnia statunitense ha vinto il contratto per la costruzione di
un aereo da combattimento nell'ambito del programma JFS (Joint Strike
Fighter) per un totale di circa 200.000 milioni di dollari. La guerra
non ferma la preparazione della guerra, anzi.
Allo stesso modo la scelta delle armi nello scontro di questa guerra
risulta decisivo, in quanto la sproporzione di potenza tra Usa e
Afghanistan è evidentemente enorme, tenuto conto anche del fatto che
l'Afghanistan viene da vent'anni di guerra ininterrotta. Così ragiona
"Le Monde" in un editoriale del 27 ottobre intitolato
appunto Le choix des armes
(www.lemonde.fr) dove il vero bilancio ad allora delle operazioni di
guerra seganva un altissimo costo umanitario.
Questa è una guerra che presenta
una enorme sproporzione tra i combattenti e dove l'avversario
dichiarato occupa un'area che non coincide con il paese in cui si
combatte. È quello che il "Guardian" del 31 ottobre chiama
"l'imperialismo liberale"(www.guardian.co.uk) in un articolo
di Tania Branigan intitolato Us 'must increase its role overseas'
dove riporta le opinioni di Blair e di altri circa la necessità che
gli Usa incrementino il loro ruolo mondiale nei termini di una
esportazione dei loro valori civili e culturali ai paesi del mondo che
ancora sfuggono a quei valori.
Una svolta autoritaria delle democrazie
occidentali?
La preoccupazione che emerge sempre più è quella di un evento che
porta ad una svolta autoritaria nelle democrazie occidentali. "El
Pais" del 29 ottobre parla di Deriva autoritaria
(www.elpais.es) in un articolo di Andrés Ortega, scritto a margine di
un convegno organizzato a Madrid per la Conferencia sobre Transición
y Consolidación Democráticas organizzata dalla FRIDE (Fundación
para las Relaciones Internacionales y el Diálogo Exterior de España)
e dalla Fondazione Gorbaciov del Nordamerica. Nel ragionamento
riportato di Ronald Inglehart, dell'Università del Michigan, si
afferma una svolta autoritaria in molti paesi democratici e
semidemocratici come il Venezuela e la Russia. La ricerca dello
studioso americano afferma l'esistenza di settori di opinione pubblica
nei paesi democratici ampiamente disposti a considerare soluzioni
politiche di tipo autoritario, come quelle di un dirigente politico
che ignori il parlamento o le elezioni.
Le politiche svolte dopo l'11 settembre, comprese le numerose
riduzioni delle libertà civili in nome della sicurezza, favoriscono
le possibilità di un suicidio della democrazia, uno dei fatti
provati dalla storia. Che di questo si tratti e di politiche in cui
l'ignoranza delle questioni in campo si congiunge con la volontà più
o meno palese "semplificare" i limiti e la faticadella
democrazia l'aveva già detto qualche giorno prima Edward W. Said in
un bell'intervento su "Le Monde" (www.lemonde.fr) intitolato
Le choc de l'ignorance.
Il centro del ragionamento di Said, tutto centrato su di una dura ed
attenta polemica con il Samuel Hutington dello scontro di civiltà,
è nella ripresa di un autore che oggi appare di una brutale e
illuminante attualità. Il brano merita d'essere citato per esteso: "C'est
Joseph Conrad, avec une puissance qu'aucun de ses lecteurs de la fin
du XIXe siècle n'aurait pu imaginer, qui comprit que les distinctions
entre le Londres civilisé et 'le c¿ur des ténèbres' se dissipaient
brutalement dans des situations extrêmes, que les sommets atteints
par la civilisation européenne pouvaient instantanément replonger
vers les pratiques les plus barbares, sans préavis ni transition. Et
c'est encore Conrad qui, dans L'Agent secret (1907), décrivit
le penchant du terrorisme pour les abstractions telles que 'la
science pure' (et par extension pour l'islam et l'Occident), ainsi
que l'ultime dégradation morale du terroriste." Kabul come
il nostro cuore di tenebra.
In Estados Unidos ante el fascismo
interior "La Vanguardia "
(www.vanguardia.com) del 29 ottobre la diffusione delle lettere
all'antrace viene ricondotta ad elementi interni agli Usa dell'estrema
destra, ipotesi che certi settori dell' FBI confermerebbero. Il
corrispettivo della crescita di incontrollabili fenomeni di terrorismo
è dato dal rafforzamento europeo delle misure antiterrorismo
descritto con molta precisione da "Le Monde" del 30 ottobre
(www.lemonde.fr) in un articolo intitolato Le
renforcement des législations sur la sécurité publique à l'ordre
du jour dans la plupart des pays européens:
le misure proposte suscitano dubbi sostanziali circa i rischi un
deragliamento dalle tradizionali norme democratiche.
Una serie di questioni che " El Pais" del 2 novembre
rafforza con una corrispondenza da Miami di Rosa Townsend intitolata EE
UU pone en marcha durìsimas restricciones al turismo y la inmigracion
(www.elpais.es) dove sono denunciate le severe restrizioni alla
immigrazione, connaturata alla nazione statunitense e misura
sostanzialmente inutile contro il terrorismo. Il 10 novembre "Le
Temps" di Ginevra in un articolo di Francois Modoux (L'Allemagne
écorne les libertés civiques pour se premunir du danger terroriste
in www.letemps.ch) mette in luce la grave alternativa sicurezza/
libertà. La conferma viene dalla scelta degli Usa, che può essere
letta nel "Manifesto" del 15 novembre di assegnare a
tribunali marziali i processi per il terrorismo, compromettendo da una
parte la pubblicità e l'informazione circa gli imputati quanto il
rispetto dei loro diritti (www.ilmanifesto.it Legge
marziale mondiale); su questo problema e
sullo stesso giornale Domenico Gallo (Quel
tribunale molto speciale)
circa la sostanziale chiusura di ogni diritto democratico che questa
decisione implica.
E Bin Laden ?
"Le Figaro" del 31 ottobre (www.lefigaro.fr) in Trois
ans de liaisons secrètes entre Kaboul et Washington
riprende un intervento del "Washington Post " in cui è
affermata l'esistenza di negoziati segreti per la consegna di Bin
Laden. La questione è stata ripresa con ben altro spessore da "
Le Monde" del 12 novembre, come da altri giornali tra cui
"la Repubblica", a proposito della pubblicazione di un libro
di due francesi, Jean Charles Brisard e Guillaume Dasquié, La
Vérité interdite. Il caso, che può essere letto con la consueta
cura in "Le Monde" (www.lemonde.fr Quand
Washington négociait avec les Talibans)
ricostruisce le origini della politica americana verso il problema
Afghanistan come dettate da solidi interessi petroliferi e circostanze
che denunciano un conflitto di forze economiche sul controllo
dell'area afgana, degne di superare in emergenza qualunque problema di
terrorismo.
I significati del conflitto
In una intervista di Antoine Robitaille a "Le Devoir" di
Montreal (www.ledevoir.com L'entrevue:
Le désarroi d'un intellectuel) Alain
Touraine, maestro europeo della ricerca sociologica, analizza con
spietata franchezza la situazione che si è venuta a creare dopo l'11
settembre e dopo la guerra. L'immagine è quella di un immenso Titanic
dove contemporaneamente si balla, si muore di fame e ci sono molte
persone che vogliono comandare la nave. Certo le ricerche fatte e le
analisi costruite in anni di comprensione sociologica non sono
perduti, però "Un train à grande vitesse est passé à
travers ça, et c'est le train de la guerre, qui n'a pas supprimé les
marchandises, certes, mais les a répandues un peu partout" e
questo treno ha fatto mancare la definizione "de la tension,
du conflit, du politique, de la mobilité" in relazione al
mondo che esiste attorno all'Occidente, l'unico argomento che finora
ci ha interessato. Tutto è espressione di un mondo che si è concluso
e di modificazioni sostanziali di cui solo ora ci siamo resi conto.
Vale la pena riportare la conclusione dell'intervista: "En
somme, le bal n'est pas près de reprendre sur le pont du bateau. Les
années de l'après-guerre froide, 'période de connerie absolue où
l'on vivait dans l'illusion de la domination économique totale',
parenthèse 'désastreuse', prisonnière de la 'pensée unique' où
l'on répétait 'que tout était inévitable, où la politique a
procédé à son auto-écroulement', dit Touraine, ces 'belles'
années sont bel et bien terminées." Ma la solitudine del
sociologo francese nel suo sottileare le novità del periodo, non
appiattite nella guerra contro il male o contro un terrorismo dai
confini ambigui ed incerti, è solo nel terreno dei politici e degli
intellettuali che con essi sono schierati.
Il 20 ottobre il "Guardian"
propone un articolo ironico e aspro dello scrittore John O'Farrell
intitolato Shop for victory
(www.guardian.co.uk) in cui si mette in luce la contradditorietà dei
messaggi di solidarietà verso questa guerra che i governi occidentali
hanno lanciato ai loro concittadini: si deve risparmiare o spendere
per sostenere una economia che deve essere forte per assolvere i
compiti di dominio che si è data? Nel numero di ottobre del mensile
"Mani Tese" (www.manitese.it) in una rubrica intitolata Visto
dall'Afganistan è apparsa una lettera dell'HAWCA (Humanitarian
Assistance of Women and Children of Afganistan) che denuncia
l'indifferenza dei contendenti per la popolazione afgana; nella stessa
rivista di novembre l'editoriale di Sabina Siniscalchi (Dalla
parte delle vittime) ritorna sugli
stessi argomenti denunciando anche le precedenti complicità fra gli
Usa e il governo dei Talebani. Sulla "Repubblica" del 29
ottobre Bernardo Valli, in Ma questa
guerra non è una guerra santa
(www.repubblica.it) considera come i messaggi lanciati dall'Occidente
siano stati tali da indurre l'insieme del mondo musulmano, nelle sue
differenti tendenze, a radicalizzazioni e a processi di ulteriore
repressione delle minoranze, questione questa che invece andrebbe
messa al centro delle politiche internazionali. "Le Monde"
del 30 ottobre Bertrand Poirot-Delpech, dell'Académie Francaise, in
un ironico articolo (Et pendant ce
temps-là) a proposito della Francia -
ma il nostro paese non sembra godere di una migliore situazione -,
mette in luce la vanità delle discussioni a fronte dei problemi in
campo: allo stesso modo che i Dottori di Bisanzio continuavano a
discutere del sesso degli angeli intorno all'arrivo dei turchi a
Costantinopoli e Luigi XVI non segnalava nulla di rilevante nel suo
diario il 14 Luglio 1789. Sempre su "Le Monde" Abolhassan
Bani Sadr parla (Duplicicité de l'Occident)
della doppia politica dell'Occidente che sostiene regimi estremisti e
sanguinari oin funzione dei propri interessi. "La Stampa"
del 16 novembre pubblica (www.lastampa.it La
disfatta terrorista) un intervento del
vicepresidente degli Usa, Dick Cheney, in cui viene esaltato
l'intervento americano come assolutamente corrretto ed indirizzato a
difendere la civiltà contro il terrorismo; al tempo stesso nello
stesso discorso egli rassicura sulla capacità del governo Usa di
rilanciare l'economia. Un aspetto della conquista di Kabul che è
esattamente opposto a quello esaminato da "Le Monde" subito
dopo la presa di Mazar i Sharif, la vittoria che ha aperto
all'Alleanza del Nord la strada per Kabul. Il giornale francese del 13
novembre, in un articolo dell'inviato speciale a Islamabad intitolato L'Alliance
du Nord, collection de seigneur de la guerre et de commandants
(www.lemonde.fr) mette in luce l'anarchia e le diversità individuali
e strategiche tra i diversi comandanti militari forse uniti nella
guerra, ma certamente molto divisi sulla pace. Sulla
"Repubblica" del 16 novembre Lucio Caracciolo
(www.repubblica.it I miti distrutti dalla
guerra in Afghanistan) prova a ragionare
sulle implicazioni di questa guerra apparentemente finita e sulla
eventuale cattura di Bin Laden o sulla sua morte, individuando
certamente uno spazio di intervento solo occidentale in una situazione
estremamente complessa ed articolata.
Ma forse vale la pena concludere questa rassegna citando l'intervento
di Hans Magnus Enzensberger Monologo di un
uomo confuso
(www.repubblica.it): la contrapposizione di noi contro gli altri si
rovescia nel suo contrario e infine nella impossibilità di essere se
stessi, descrivendo la situazione in cui siamo con una verità quasi
più essenziale di molti degli interventi che abbiamo letto. |