La linea d'ombra di Kabul
Raffaele Ibba

           La presa di Kabul e di Kandahar non risolve affatto la guerra in Afghanistan né, per il momento, il problema del terrorismo. La documentazione delle città "liberate" dai Talebani, dai burka e dalle barbe, secondo una iconografia ricorrente delle masse in strada e che accomuna l'immaginario di molte "liberazioni", non toglie incertezza al futuro della guerra: il fatto è che la guerra voluta da Bush junior non può essere soddisfatta da nessuna vittoria militare ottenuta sul campo. Questa opinione è stata espressa molto prima che la caduta di Kabul fosse prevedibile a così breve scadenza.

      Nel "Clarin" del 22 ottobre Juan Gabriel Tokatlian, in un articolo intitolato
Los peligros de esta guerra global contra el terrorismo (www.clarin.com) concretizza due punti di analisi molto importanti. Il primo è che "desaparece la perspectiva de un proximo 'dia despues de la guerra' en el que los vencedores proclaman la victoria e se disponen a estructurar un nuevo orden". Il secondo principio è ancora più importante perché è stato accompagnato da numerose analisi militari e politiche tese a giustificarlo. Si tratta del fatto che "se borra la distinciòn entre guerra y paz" per cui stiamo entrando in un periodo di pace calda, in luogo della guerra fredda che ha accompagnato la nostra storia recente per cinquant'anni.
La conseguenza prevedibile è un freno reale della democrazia in favore di quello "scontro di civiltà" così lugubremente annunciato. Lo stesso tema che è esposto in un articolo in "El Pais" (www.elpais.es) del 22 ottobre di Andrés Ortega
Definir victoria dove l'essenza del ragionamento è espressa nella conclusione "pero mala cosa serìa que, para ganar 'la guerra contro al terrorismo global', en nombre de nuestras libertades y formas de vida, acabamaros nosotros mismos con esas libertades. Esa serìa una victoria del terrorismo. Al cabo, la victoria debe llevar a un mundo más seguro y más libre. No lo será si no es más justo y tolerante. Pero eso ya no es ganar la guerra. Es construir la paz".
Sempre nel "El Pais" del 22 ottobre si paventano altri tirmori, relativamente ai significati dell'accordo di Shangai tra Usa, Russia e Cina che formalizzano scambi tra atrocità differenti in aree diverse del pianeta e diminuzione degli armamenti nucleari.

       Ma un mese fa la situazione appariva per certi aspetti più incognita di quanto non lo sia oggi. Il 22 ottobre "Le Monde" pubblicava un editoriale
Sauver les Afganes (www.lemonde.fr) dove il problema veniva giustamente denunciato nei termini di una liberazione dell'universo afgano dagli elementi di opressione e soprattutto di annullamento delle donne che hanno caratterizzato il governo del talebani, ma non solo: "Pour que la campagne actuelle ne soit pas seulement une coalition cynique d'intérêts, il faudra rappeler aux futures autorités de ce pays détruit leurs obligations envers l'autre 'moitié du monde". "Liberation" del 26 ottobre (www.liberation.fr) in un editoriale intitolato Imperatif humanitaire di Gerard Dupuy, chiarisce come le responsabilità della gravissima situazione umanitaria dell'Afganistan stiano in una politica indifferente ai problemi delle popolazioni e come tuttavia oggi sia una questione direttamente politica quella di portare aiuto, non militare, a quei popoli tormentati da anni di guerre.
Qual è il reale dominio militare e politico di questa guerra e quali sono i suoi confini e limiti? Su "El Pais" (www.elpais.es) del 23 ottobre Rosa Townsend indaga a Washington sulle informazioni circa i rilevanti acquisti di armi fatti dalla rete di Bin Laden proprio negli Usa (
Al Qaeda comprò en EE UU armas de gran capacidad) dove, accanto all'assoluta libertà di acquistare armi da guerra negli Stati Uniti emerge la preoccupante incertezza degli organismi di sicurezza americani circa il numero di terroristi che sarebbero negli States e le loro attività più o meno dormienti, incertezza che indubbiamente produce un grande impatto emotivo sulla popolazione statunitense, come evidenzia "Le Monde" del 25 ottobre (www.lemonde.fr) in un articolo del corrispondente in Usa, intitolato Le catalogue sinistre des grandes peures américaines. È un catalogo generico basato sulle paure più diffuse anche in ciascuno di noi (come le malattie epidemiche o la bomba atomica), ma singolarmente ignorante della reale diffusione delle armi in Usa, così facilmente acquisibili da chiunque, come denunciava dall'articolo di "Liberation". L'apparato militare industriale, però, non si ferma né davanti ai pericoli reali né davanti a quelli immaginari: "El Pais" del 27 ottobre riporta la notizia del maggior contratto militare della storia vinto dalla Lockheed. L'articolo di Miguel González da Madrid annuncia che la compagnia statunitense ha vinto il contratto per la costruzione di un aereo da combattimento nell'ambito del programma JFS (Joint Strike Fighter) per un totale di circa 200.000 milioni di dollari. La guerra non ferma la preparazione della guerra, anzi.
Allo stesso modo la scelta delle armi nello scontro di questa guerra risulta decisivo, in quanto la sproporzione di potenza tra Usa e Afghanistan è evidentemente enorme, tenuto conto anche del fatto che l'Afghanistan viene da vent'anni di guerra ininterrotta. Così ragiona "Le Monde" in un editoriale del 27 ottobre intitolato appunto
Le choix des armes
(www.lemonde.fr) dove il vero bilancio ad allora delle operazioni di guerra seganva un altissimo costo umanitario.

       Questa è una guerra che presenta una enorme sproporzione tra i combattenti e dove l'avversario dichiarato occupa un'area che non coincide con il paese in cui si combatte. È quello che il "Guardian" del 31 ottobre chiama "l'imperialismo liberale"(www.guardian.co.uk) in un articolo di Tania Branigan intitolato Us 'must increase its role overseas' dove riporta le opinioni di Blair e di altri circa la necessità che gli Usa incrementino il loro ruolo mondiale nei termini di una esportazione dei loro valori civili e culturali ai paesi del mondo che ancora sfuggono a quei valori.

Una svolta autoritaria delle democrazie occidentali?
La preoccupazione che emerge sempre più è quella di un evento che porta ad una svolta autoritaria nelle democrazie occidentali. "El Pais" del 29 ottobre parla di Deriva autoritaria (www.elpais.es) in un articolo di Andrés Ortega, scritto a margine di un convegno organizzato a Madrid per la Conferencia sobre Transición y Consolidación Democráticas organizzata dalla FRIDE (Fundación para las Relaciones Internacionales y el Diálogo Exterior de España) e dalla Fondazione Gorbaciov del Nordamerica. Nel ragionamento riportato di Ronald Inglehart, dell'Università del Michigan, si afferma una svolta autoritaria in molti paesi democratici e semidemocratici come il Venezuela e la Russia. La ricerca dello studioso americano afferma l'esistenza di settori di opinione pubblica nei paesi democratici ampiamente disposti a considerare soluzioni politiche di tipo autoritario, come quelle di un dirigente politico che ignori il parlamento o le elezioni.
Le politiche svolte dopo l'11 settembre, comprese le numerose riduzioni delle libertà civili in nome della sicurezza, favoriscono le possibilità di un suicidio della democrazia, uno dei fatti provati dalla storia. Che di questo si tratti e di politiche in cui l'ignoranza delle questioni in campo si congiunge con la volontà più o meno palese "semplificare" i limiti e la faticadella democrazia l'aveva già detto qualche giorno prima Edward W. Said in un bell'intervento su "Le Monde" (www.lemonde.fr) intitolato
Le choc de l'ignorance. Il centro del ragionamento di Said, tutto centrato su di una dura ed attenta polemica con il Samuel Hutington dello scontro di civiltà, è nella ripresa di un autore che oggi appare di una brutale e illuminante attualità. Il brano merita d'essere citato per esteso: "C'est Joseph Conrad, avec une puissance qu'aucun de ses lecteurs de la fin du XIXe siècle n'aurait pu imaginer, qui comprit que les distinctions entre le Londres civilisé et 'le c¿ur des ténèbres' se dissipaient brutalement dans des situations extrêmes, que les sommets atteints par la civilisation européenne pouvaient instantanément replonger vers les pratiques les plus barbares, sans préavis ni transition. Et c'est encore Conrad qui, dans L'Agent secret (1907), décrivit le penchant du terrorisme pour les abstractions telles que 'la science pure' (et par extension pour l'islam et l'Occident), ainsi que l'ultime dégradation morale du terroriste." Kabul come il nostro cuore di tenebra.
In
Estados Unidos ante el fascismo interior "La Vanguardia " (www.vanguardia.com) del 29 ottobre la diffusione delle lettere all'antrace viene ricondotta ad elementi interni agli Usa dell'estrema destra, ipotesi che certi settori dell' FBI confermerebbero. Il corrispettivo della crescita di incontrollabili fenomeni di terrorismo è dato dal rafforzamento europeo delle misure antiterrorismo descritto con molta precisione da "Le Monde" del 30 ottobre (www.lemonde.fr) in un articolo intitolato Le renforcement des législations sur la sécurité publique à l'ordre du jour dans la plupart des pays européens: le misure proposte suscitano dubbi sostanziali circa i rischi un deragliamento dalle tradizionali norme democratiche.
Una serie di questioni che " El Pais" del 2 novembre rafforza con una corrispondenza da Miami di Rosa Townsend intitolata
EE UU pone en marcha durìsimas restricciones al turismo y la inmigracion (www.elpais.es) dove sono denunciate le severe restrizioni alla immigrazione, connaturata alla nazione statunitense e misura sostanzialmente inutile contro il terrorismo. Il 10 novembre "Le Temps" di Ginevra in un articolo di Francois Modoux (L'Allemagne écorne les libertés civiques pour se premunir du danger terroriste in www.letemps.ch) mette in luce la grave alternativa sicurezza/ libertà. La conferma viene dalla scelta degli Usa, che può essere letta nel "Manifesto" del 15 novembre di assegnare a tribunali marziali i processi per il terrorismo, compromettendo da una parte la pubblicità e l'informazione circa gli imputati quanto il rispetto dei loro diritti (www.ilmanifesto.it Legge marziale mondiale); su questo problema e sullo stesso giornale Domenico Gallo (Quel tribunale molto speciale
) circa la sostanziale chiusura di ogni diritto democratico che questa decisione implica.

E Bin Laden ?
"Le Figaro" del 31 ottobre (www.lefigaro.fr) in
Trois ans de liaisons secrètes entre Kaboul et Washington riprende un intervento del "Washington Post " in cui è affermata l'esistenza di negoziati segreti per la consegna di Bin Laden. La questione è stata ripresa con ben altro spessore da " Le Monde" del 12 novembre, come da altri giornali tra cui "la Repubblica", a proposito della pubblicazione di un libro di due francesi, Jean Charles Brisard e Guillaume Dasquié, La Vérité interdite. Il caso, che può essere letto con la consueta cura in "Le Monde" (www.lemonde.fr Quand Washington négociait avec les Talibans) ricostruisce le origini della politica americana verso il problema Afghanistan come dettate da solidi interessi petroliferi e circostanze che denunciano un conflitto di forze economiche sul controllo dell'area afgana, degne di superare in emergenza qualunque problema di terrorismo.

I significati del conflitto
In una intervista di Antoine Robitaille a "Le Devoir" di Montreal (www.ledevoir.com
L'entrevue: Le désarroi d'un intellectuel) Alain Touraine, maestro europeo della ricerca sociologica, analizza con spietata franchezza la situazione che si è venuta a creare dopo l'11 settembre e dopo la guerra. L'immagine è quella di un immenso Titanic dove contemporaneamente si balla, si muore di fame e ci sono molte persone che vogliono comandare la nave. Certo le ricerche fatte e le analisi costruite in anni di comprensione sociologica non sono perduti, però "Un train à grande vitesse est passé à travers ça, et c'est le train de la guerre, qui n'a pas supprimé les marchandises, certes, mais les a répandues un peu partout" e questo treno ha fatto mancare la definizione "de la tension, du conflit, du politique, de la mobilité" in relazione al mondo che esiste attorno all'Occidente, l'unico argomento che finora ci ha interessato. Tutto è espressione di un mondo che si è concluso e di modificazioni sostanziali di cui solo ora ci siamo resi conto. Vale la pena riportare la conclusione dell'intervista: "En somme, le bal n'est pas près de reprendre sur le pont du bateau. Les années de l'après-guerre froide, 'période de connerie absolue où l'on vivait dans l'illusion de la domination économique totale', parenthèse 'désastreuse', prisonnière de la 'pensée unique' où l'on répétait 'que tout était inévitable, où la politique a procédé à son auto-écroulement', dit Touraine, ces 'belles' années sont bel et bien terminées." Ma la solitudine del sociologo francese nel suo sottileare le novità del periodo, non appiattite nella guerra contro il male o contro un terrorismo dai confini ambigui ed incerti, è solo nel terreno dei politici e degli intellettuali che con essi sono schierati.

        Il 20 ottobre il "Guardian" propone un articolo ironico e aspro dello scrittore John O'Farrell intitolato
Shop for victory (www.guardian.co.uk) in cui si mette in luce la contradditorietà dei messaggi di solidarietà verso questa guerra che i governi occidentali hanno lanciato ai loro concittadini: si deve risparmiare o spendere per sostenere una economia che deve essere forte per assolvere i compiti di dominio che si è data? Nel numero di ottobre del mensile "Mani Tese" (www.manitese.it) in una rubrica intitolata Visto dall'Afganistan è apparsa una lettera dell'HAWCA (Humanitarian Assistance of Women and Children of Afganistan) che denuncia l'indifferenza dei contendenti per la popolazione afgana; nella stessa rivista di novembre l'editoriale di Sabina Siniscalchi (Dalla parte delle vittime) ritorna sugli stessi argomenti denunciando anche le precedenti complicità fra gli Usa e il governo dei Talebani. Sulla "Repubblica" del 29 ottobre Bernardo Valli, in Ma questa guerra non è una guerra santa (www.repubblica.it) considera come i messaggi lanciati dall'Occidente siano stati tali da indurre l'insieme del mondo musulmano, nelle sue differenti tendenze, a radicalizzazioni e a processi di ulteriore repressione delle minoranze, questione questa che invece andrebbe messa al centro delle politiche internazionali. "Le Monde" del 30 ottobre Bertrand Poirot-Delpech, dell'Académie Francaise, in un ironico articolo (Et pendant ce temps-là) a proposito della Francia - ma il nostro paese non sembra godere di una migliore situazione -, mette in luce la vanità delle discussioni a fronte dei problemi in campo: allo stesso modo che i Dottori di Bisanzio continuavano a discutere del sesso degli angeli intorno all'arrivo dei turchi a Costantinopoli e Luigi XVI non segnalava nulla di rilevante nel suo diario il 14 Luglio 1789. Sempre su "Le Monde" Abolhassan Bani Sadr parla (Duplicicité de l'Occident) della doppia politica dell'Occidente che sostiene regimi estremisti e sanguinari oin funzione dei propri interessi. "La Stampa" del 16 novembre pubblica (www.lastampa.it La disfatta terrorista) un intervento del vicepresidente degli Usa, Dick Cheney, in cui viene esaltato l'intervento americano come assolutamente corrretto ed indirizzato a difendere la civiltà contro il terrorismo; al tempo stesso nello stesso discorso egli rassicura sulla capacità del governo Usa di rilanciare l'economia. Un aspetto della conquista di Kabul che è esattamente opposto a quello esaminato da "Le Monde" subito dopo la presa di Mazar i Sharif, la vittoria che ha aperto all'Alleanza del Nord la strada per Kabul. Il giornale francese del 13 novembre, in un articolo dell'inviato speciale a Islamabad intitolato L'Alliance du Nord, collection de seigneur de la guerre et de commandants (www.lemonde.fr) mette in luce l'anarchia e le diversità individuali e strategiche tra i diversi comandanti militari forse uniti nella guerra, ma certamente molto divisi sulla pace. Sulla "Repubblica" del 16 novembre Lucio Caracciolo (www.repubblica.it I miti distrutti dalla guerra in Afghanistan) prova a ragionare sulle implicazioni di questa guerra apparentemente finita e sulla eventuale cattura di Bin Laden o sulla sua morte, individuando certamente uno spazio di intervento solo occidentale in una situazione estremamente complessa ed articolata.
Ma forse vale la pena concludere questa rassegna citando l'intervento di Hans Magnus Enzensberger
Monologo di un uomo confuso
(www.repubblica.it): la contrapposizione di noi contro gli altri si rovescia nel suo contrario e infine nella impossibilità di essere se stessi, descrivendo la situazione in cui siamo con una verità quasi più essenziale di molti degli interventi che abbiamo letto.