Come fare scuola e, in particolare, fare
storia quando è in atto la guerra dichiarata tra il mondo occidentale e il terrorismo
islamico? Quale progetto di educazione prevedere? Per molti anni era impegno di tutti
svolgere programmi, e in qualche caso significative sperimentazioni, sulleducazione
ai diritti e alla pace. Oggi le posizioni pacifiste sono prese di mira da quasi tutti gli
opinionisti che contano, oltre che dai politici, come posizioni negative, controproducenti
ai fini della civiltà e, come già in qualche recente occasione, sembra che lunica
strada per estendere larea dei diritti a popoli che ancora non ce lhanno sia
lo strumento guerra. Si bombarda da parte degli stati alleati e si provvede, se e come si
può, ai profughi, alla marea nomade di popolazioni perseguitate dalla guerra nel loro
paese, già prima dellarrivo delle bombe dal cielo. E accaduto così in
Kossovo, accade ora in Afghanistan.
E come dare
strumenti ai ragazzi per capire le ragioni di questa guerra, le cause più o meno dirette
dellattacco terroristico al cuore dellOccidente, come capire in quale
situazione viviamo dopo l11 settembre, data di inizio della guerra?
Ma prima di tutto,
quale metodologia critica possono seguire gli insegnanti per affrontare a scuola il tema
della guerra, senza cadere in retoriche e ritualità militariste, che pure si affermano
nelle scuole americane, dove, insieme al giuramento alla bandiera statunitense, i bambini
vengono sollecitati a versare un dollaro per il proprio coetaneo afghano? E giusto
partire da affermazioni di schieramento, più o meno semplificate per le esigenze di
guerra, o dobbiamo piuttosto affrontare lo scenario mondiale in cui questa guerra si
inserisce: le conseguenze del colonialismo, i grandi interessi economici e le ragioni del
mercato globale, di cui è parte integrante anche il mondo arabo, i conflitti
mediorientali, le differenze tra società opulente e società povere, il ruolo politico
del fondamentalismo religioso e gli impulsi distruttivi del terrorismo?
E tutto questo per
capire il contesto in cui si svolgono gli avvenimenti e le risposte necessarie con i
valori simbolici e politici che sono in discussione.
Forse è il caso di
studiare i documenti della conferenza sul razzismo a Durban (Sud Africa), dove vi erano
già gli elementi del grave contrasto, fatto esplodere dal terrorismo di Bin Laden; forse
è il caso di studiare i contenuti religiosi dellIslam (come di altre religioni) e
anche delle interpretazioni dogmatiche e intolleranti verso gli "infedeli" e
capire il ruolo che certo fanatismo religioso svolge a livello politico, culturale e
sociale.
Forse è il caso di
conoscere meglio la storia e il presente degli stati arabi, spesso monarchie e regimi
dittatoriali senza democrazia. Forse è il caso di approfondire gli squilibri economici e
le condizioni di vita delle popolazioni sotto la soglia della povertà e quindi esclusi
dallistruzione e dai diritti fondamentali delle società civili.
E il caso cioè di
fare un progetto di insegnamento della storia contemporanea, che, per necessità di
conoscenza e di comprensione del presente affronti i temi della mondialità. Oggi il luogo
di osservazione è la guerra, che si sta estendendo oltre lAfghanistan e sta
producendo conflitti civili allinterno dei paesi musulmani, irrigidendo le posizioni
contrapposte. E il mercato delle armi ne trae vantaggi enormi.
Ma non va sottovalutato
il versante interno alla nostra società: ciò che nei cittadini e nei governi ha prodotto
la distruzione delle torri gemelle, che cosa il pericolo del terrorismo mondiale e la
guerra hanno cambiato e stanno cambiando nella nostra cultura e nel nostro modo di
percepire la civiltà, la pace e i diritti.
Con la tragedia delle
torri gemelle e le seimila persone sepolte ci si è resi angosciosamente conto della
vulnerabilità e della fragilità tecnologica del nostro sistema e questo deve condurre
non allintolleranza tra civiltà, ma a una riflessione attenta e critica sui
rapporti internazionali e sui principi su cui si basa il nostro modo di vivere e quelli di
altri popoli. Per molte generazioni, nate dopo la seconda guerra mondiale e sotto
lincubo di una possibile guerra atomica distruttiva dellumanità, la cultura
della pace è stata fondamentale, costitutiva della propria concezione del mondo e del
vivere civile. Le ragazze e i ragazzi di oggi, sotto la spinta emotiva degli avvenimenti
possono nuovamente ritenere, come è già accaduto in tempi passati, la guerra una
necessità e un evento da considerare come parte integrante dei rapporti tra stati.
Sarebbe anche interessante ripercorrere il filo conduttore del pacifismo nella storia
italiana a partire dalla questione interventismo-neutralismo nella prima guerra mondiale.
Il pacifismo,
dalla guerra del Golfo al Kossovo fino a quella contro il terrorismo, ha perso terreno. In
dieci anni abbiamo vissuto tre terribili guerre, ma si è trattato, solitamente, di guerre
lontane, seguite sugli schermi televisivi, fatte da soldati professionisti, che non
toccavano direttamente le nostre vite. Quelle guerre sono state chiamate con nomi diversi,
soltanto Bush junior ha pronunciato di nuova la parola "guerra" del bene contro
il male del terrorismo, usando terminologie fortemente simboliche.
L11
settembre lattacco terroristico ha colpito la popolazione di New York e dal 7
ottobre la guerra è piovuta sugli abitanti di Kabul, mentre il pericolo batteriologico
può estendersi e distruggere la nostra tranquillità. E si sa che nelle guerre più
recenti, quelle più altamente tecnologiche, il 90% delle vittime sono civili.
Ha ancora senso
oggi fare educazione alla pace, allintegrazione interetnica, alla società
multiculturale? Tutto è sicuramente più difficile e contrastato, ma la scuola è luogo
formativo in cui dovrebbe essere possibile confrontarsi e dialogare, esprimere dubbi e
approfondire i problemi, per acquisire strumenti al fine di capire il presente, per
costruire conoscenze e quindi avere indicazioni razionali, in cui anche lemotività,
che è parte così importante degli avvenimenti che stiamo vivendo, possa essere collocata
e interpretata.
La scuola non è la
piazza né il parlamento, è un luogo di studio e di conoscenza e deve saper trasmettere
il meglio del patrimonio culturale e della memoria della nazione.
E allora è forse
proprio adesso che bisogna intensificare linsegnamento del rifiuto della violenza,
del rispetto della diversità, della convivenza civile, della cultura della pace e dei
diritti, anche se in controtendenza. La responsabilità prioritaria della scuola, nel
momento attuale, viene dunque ad essere quella di educare i singoli individui di culture e
religioni diverse a convivere. E spesso questi individui, nelle nostre scuole, sono già
studenti della stessa classe. |