"Attacco!
L’è el gran dì. Ma chi capisen no che semm dree anda a muriì"
canta con ironia amara il fantaccino della Prima Guerra Mondiale. Ed
è difficile non condividere questo senso di fallimento morale e
intellettuale mentre sentiamo le notizie di centinaia di aerei e navi
che si muovono nel Golfo Persico. Come nella triste canzone popolare c’è
chi suona la tromba. E che lo facciano Bush e (parte de) il suo
governo non stupisce nessuno. Ma perché tutti gli speakers(esses)
delle radio di stato devono assumere quel tono marzial-trionfale
quando raccontano delle navi che partono e degli aerei che volano
verso il Golfo Persico?
Avrei una preghiera personale, ma dal profondo del cuore, per queste
ottime persone. Sentitevi le registrazioni dei vostri predecessori
durante la seconda guerra mondiale e, qualsiasi cosa vi abbiano
insegnato, non usate quel tono, non fate le stentoree voci di guerra,
chi le ha sentite annunciare avanzate che non c’erano e rotte che
venivano chiamate "ripiegamenti tattici" si è sentito
tradito da voi e vi odiava. La guerra è favorita anche da un clima di
guerra. Il parapaa, parapaa, parapaa, tenetelo in serbo per il
campionato di calcio, il Giro d’Italia o la notte degli Oscar. Della
guerra si può parlare con voce umana anche quando il mestiere obbliga
a dire cose false.
E purtroppo di cose false ne cominciamo già a vedere, a bizzeffe,
come quelle scene del carro armato con l’Afghano in turbante sopra,
che in una inquadratura muove qualche metro da sinistra a destra del
campo e in quella successiva torna indietro degli stessi metri.
Inquadratura ripetuta ossessivamente a ogni notiziario (Rete 4 del 26
Settembre). Il cronista può anche essere obbligato a questi trucchi
puerili per produrre un certo footage, ma non c’è bisogno di
aggiungerci un’adesione emotiva. E invece i mezzi di comunicazione
di massa si sono buttati sul clima e sulle immagini militaresche con
una foga, un’avidità e un’adesione emotiva che lasciano
sconcertati e fanno temere il peggio in caso di vere ostilità. Le
voci del dissenso come quella dello studente americano intervistato da
Radio Popolare la sera del 23 Settembre notano con grande inquietudine
soprattutto questa grande mobilitazione dei mezzi di comunicazione che
fa veramente paura perché lascia il comune cittadino totalmente
indifeso.
La
Grande Armata Navale sta per attaccare un paese che non ha neppure un
metro di costa., con una densità di popolazione di 26 abitanti per
kmq e che per parte del tempo è avvolto da una sabbia così sottile
che i visitatori si ammalano. Ho un ricordo personale del grande
sociologo tedesco René Koenig che per anni, dopo una permanenza in
Afghanistan, ha avuto seri problemi di respirazione. Paradossalmente
la densità abitativa dell’Afghanistan non è molto diversa da
quella americana (27.5 ab/kmq) ma è un dato ingannevole perché negli
USA il 75% della popolazione è urbana e la percentuale di addetti è
all’agricoltura è del 2.% mentre in Afghanistan la popolazione
urbana è del 19.2%. La speranza di vita alla nascita nell’Afghanistan
è di 44 anni per gli uomini e 45 per le donne, in USA è di 73.0 per
gli uomini e 79,7 per le donne. Che cosa potranno fare in un paese
così le forze armate più potenti del mondo, con elicotteri i cui
filtri già in Iran hanno dato prova di non reggere troppo bene a
condizioni estreme è un mistero. Non lo dico io, lo spiega con buona
conoscenza di causa il generale russo che ha perso la guerra in quel
paese. "We will bomb them back into the Stone age", è una
frase che se ricordo bene viene dalla guerra del Vietnam (con i
risultati per gli USA che abbiamo visto, 50.000 giovani americani
morti in dieci anni di guerra persa). Ma come dice lo scrittore
afghano Tamim Ansary, è "già stato fatto". Nell’età
della pietra il paese è stato gettato da anni di guerre, dalla
distribuzione di dieci milioni di mine uomo (l’Afghanistan è il
paese più minato del mondo) e dai bombardamenti degli stessi talebani.
Una
"guerra" che sembra quel racconto di fantascienza in cui
militari e scienziati (leggi guerrafondai e pacifisti) litigano sui
mezzi con i quali far fronte alla minaccia di un blob energofilo, che
vive cioè succhiando energia dall’ambiente. Gli scienziati riescono
a convincere i militari che un bombardamento sarebbe controproducente
perché il blob assorbirebbe l’energia delle bombe e se ne
nutrirebbe ingrandendosi. Allora i militari hanno il colpo di
genio:"nuke it!"- bombardalo con l’atomica. Senza sentire
ragioni, caricano il blob su un razzo a testata nucleare e lo
spediscono nello spazio interplanetario in un punto abbastanza lontano
dalla Terra per far detonare la bomba H al sicuro. Dopo l’esplosione
i militari esultano, il blob è stato spedito nel vuoto in minuscoli
frammenti. Ma gli scienziati, che continuano a tenere l’occhio al
telescopio si accorgono ben presto che i milioni di frammenti del blob
si dirigono rapidi verso il sole succhiandone l’energia immensa e
ingrandendosi a vista d’occhio. Mentre i massmedia suonavano le
fanfare e il Presidente americano cercava di rinsaldare la propria
opinione pubblica promettendo "we will smoke them out" come
si fa con gli insetti nocivi o con le puzzole, si è prodotto un
movimento piuttosto ampio di moderazione e di ripensamento, che
naturalmente è stato subito bollato dai crociati come il generale
Janne come buonismo, viltà o connivenza con il terrorismo. Ma è
esattamente il contrario, chiunque abbia un minimo di discernimento
capisce, o dovrebbe capire, che "alzare il livello dello
scontro", come si diceva una volta, fa parte della strategia
evidente di chi ha organizzato il massacro dell’11 settembre. Ma i
contorni della strategia e la natura degli attori sono ancora del
tutto oscuri, nonostante i fiumi di inchiostro e di immagini prodotti
in queste poche settimane.
Il presidente
del Consiglio però non ha dubbi, è uno scontro di civiltà e noi
siamo superiori. Mi ricorda un flemmatico amico che risalendo da una
immersione piuttosto impegnativa ragionava così con lo squalo che gli
stava davanti: "Io sono superiore a lui perché ho letto
Platone". Il Cavaliere, Platone forse non lo ha letto, ma ha
consiglieri che hanno idee precise sullo scontro tra il nostro mondo e
quello dell’Islam e soprattutto legge Guzzanti che per salvare il
padrone (("io poi ho sofferto come una bestia in Senato vedendo
Silvio Berlusconi costretto se non a chiedere scusa…")
rispolvera acrobaticamente la distinzione spenglerian-weberiana tra
"Kultur e Zivilisation". Non c’è da sorprendersi di quel
che Berlusconi ha detto, e per una volta tanto, l’ho sentito dal
vivo. Intanto non è la prima volta, né sarà l’ultima, che un uomo
politico italiano fa la figura del cugino sciocco degli americani. È
nella natura della nostra posizione nei confronti degli Usa, di
"best friend" combinata con la particolare foga di
affollarsi nei primi posti del filoamericanismo che contraddistingue
molti politici e intellettuali nostrani. Di suo Berlusconi ci ha solo
aggiunto la sua sincerità, che è quella di una classe media che non
legge molto, che probabilmente crede che Il crisantemo e la spada sia
un film storico, Ruth Benedict un autore di gialli e Clifford Geertz
un suonatore di jazz, ha vaghe ma ben radicate nozioni del mondo,
basate su salde convinzioni che la Fallaci sia la più grande
letterata contemporanea (convinzione totalmente condivisa dalla
stessa) che Di Bella sia lo scopritore del Dna, Sgarbi maestro di
eleganza, e Muccioli l’autore di Paideia. Nulla da stupirsi,
Berlusconi la pensa così, esattamente come i leghisti che seguono
Telepadania sono perfettamente convinti di quel che gli racconta l’avv.
Taormina, che ne è parimenti fermanente convinto, che gli albanesi
sono feroci per un fatto genetico. Mussolini peraltro era
perfettamente convinto che gli americani hanno la maturità
intellettuale di un quattordicenne e non credo che abbia mai cambiato
idea. Le fortezze volanti, le navi Liberty, le portaerei e i mezzi da
sbarco? Un accidente della storia. Il dibattito sul relativismo
culturale tra Marshall Shalins e Gananath Obeysekeyre? Pirlate. E via
dicendo e soprattutto peggiorando con la tecnica tutta italiota di
dire e poi smentire. Ma Geddafi, che è intelligente, rifiuta la
modesta ritrattazione di Berlusconi dicendo giustamente che Berlusconi
era sincero e che esprimeva ciò che pensa la "gente".
Se non capiamo la natura di questo terrorismo, non riusciremo a
sconfiggerlo. Si potrà spianare l’Afghanistan, ma quelle che i mass
media chiamano "le volpi del Desert storm" rischiano di fare
la fine del coyote di quei cartoons che vi fanno vedere in aereo. Il
coyote usa tutti gli strumenti del bricolage meccanico americano (Acme
steel nails, Acme TNT, Acme hunting pellets e tutti gli innumerevoli
prodotti che si trovano da Home Depot o da Kmart) per incastrare il
velocissimo road runner. E ogni volta va a finire che il razzo gli
scoppia in mano o il masso gli cade sulla testa. Se potessi
obbligherei tutti i generali americani, compreso il texano Bush che ne
è il capo in testa, a rivedersi il cartoon del coyote prima di dare l’ordine
di attacco. Tra l’altro il cartoon è ambientato in un contesto
desertico e polveroso non molto diverso dai paesaggi afghani che ci
regala la televisione. Operazione Aquila Nobile, non meno di dieci
anni. Ma in dieci anni si fa un piano Marshall per l’Afghanistan e
per tutta l’area mediorientale in grado di portare questi paesi
fuori dalla disperazione e dare un impulso all’economia di tutto il
mondo. Vi ricordate le proposte di guerra alla fame di Ernesto Rossi e
di Paolo Sylos Labini? non erano poi tanto irrealistiche.
Il problema però non si può risolvere così facilmente. Che sia
"guerra" come piace ai militari o "atto criminale"
come piace alle assicurazioni, quello che è avvenuto è un atto di
guerra, tanto più pericoloso perché non è stato dichiarato da un
attore convenzionale. Ed è anche perpetrato con mezzi non
convenzionali, anche se abbondantemente previsti dall’immaginario
scenico. Quello straodinario abitante di Harlem con il cappelletto
rosso che intervistato dal corrispondente newyorkese di Santoro
racconta che mentre il primo degli aerei entrava in una delle Twin
Towers lui se ne stava davanti alla televisione a farsi una canna e la
prima cosa che ha pensato è stata: "Dio, questa roba deve essere
davvero buona".
E per capire la
natura di questo terrorismo dobbiamo entrare nella psicologia della
disperazione. Che non è islamica o afghana o orientale, ma appartiene
al mondo del martirio e dell’eroismo. I difensori di Alamo o i
giovani tenentini che andavano all’assalto sul Grappa erano dei
suicidi o no?
Il terrorismo va combattuto, ma non è detto che il bombardamento dell’Afghanistan
sia il modo migliore per combatterlo. E se non servisse a nulla o
peggio fosse proprio una delle conseguenze intese dai terroristi?
Certo l’Fbi, la Cia e tutti gli altri servizi avranno montagne di
informazioni che noi non abbiamo, ma finora non hanno dimostrato di
essere molto "guzzi" o "sharp" e tutto sommato al
di là delle informazioni specifiche occorre poi tenere presente
principi generali . E anche chi è convinto che non si tratti di un
confronto tra l’Islam e la cultura occidentale (spero davvero che
non lo si proponga perché rischiamo anche di perderlo) e chi è
convintissimo che le diseguaglianze del mondo costituiscano il terreno
di cultura del terrorismo, esistono tempi e modo diversi nell’intervento.
Se brucia la casa potrò ben pensare che nelle costruzioni si debbano
usare accorgimenti finora tralasciati, ma intanto bisognerà pure che
spenga subito le fiamme.
Anche se siamo ben
lontani, ma veramente lontani, dall’avere un quadro chiaro, ci sono
alcuni punti sui quali vale la pena di fissare l’attenzione,
intanto, come è buona norma, andandosi a rileggere le dichiarazioni
dei principali interessati che ci erano sfuggite nel mare magnum delle
informazioni stampate e raccontate
a) Ha ragione Bin Laden (non perché egli sia buono o giusto, ma
perché si tratta di un dato di fatto incontrovertibile) quando dice
– un paio di anni fa, se non sbaglio - che le compagnie petrolifere
hanno portato a casa miliardi di miliardi di dollari. Ma altrettanti
soldi sono rimasti nelle mani delle élites arabe, e Bin Laden
appartiene a queste. La quantità di denari accumulata nelle mani di
alcune porzioni di queste élites è inimmaginabile, come dimostra la
vicenda del Sultano del Brunei. E le operazioni di alta finanza che
hanno preceduto e accompagnato l’11 settembre puntano nella
direzione di gruppi che non sono solo poveri studenti del Corano
armati di Kalashnikov.
b) Non è invece inimmaginabile, anche se al di fuori del mondo
romanzato pochi ci hanno finora veramente pensato, che una parte di
questo denaro sia in mano a porzioni di queste élites che invece di
dilapidarli in scarpe e mogli come il sultano del Brunei, vogliano
usarlo per operazioni di potenza, cioè per fare politica.
c) La politica oggi la fanno anche le multinazionali e il petrolio è
multinazionale per eccellenza. Per non perdere di vista l’inquietante
ma ineliminabile legame tra l’immaginario e il reale, basterà
ricordare che due dei polpettoni dell’estate 2001, quello di Tom
Clancy e quello di Le Carrè, pur assai diversi per trama e qualità,
hanno in comune il vilain principale, una grande
multinazionale. Il romanzo di Tom Clancy è particolarmente
interessante perché l’eroe (diciamo l’Anti-smersh) è una forza
speciale segreta nominalmente internazionale – ma in realtà del
tutto gestita dagli Yankees – non diversa da quella che si sta
organizzando oggi. Anticipo le scrollate di spalle alla citazione di
testi non paludati, ma per capire quel che sta avvenendo occorre anche
quella che Jim Clark deviniva un certo grado di "nuttiness".
Cioè liberarci della categorie convenzionali.
d) Ci sono focolai spinti di un fondamentalismo, che rimane ancora
largamente inspiegato per ferocia e capacità di sopravvivenza, in
paesi da cui dipendiamo energeticamente come l’Algeria. Ci sono
persistenze inspiegabili come quella di Saddam Hussein. Sfido chiunque
a dare una spiegazione plausibile del perché Saddam sia ancora lì e
che ci facciano i caccia che ogni tanto bombardano militari e
popolazione civile con azioni che le vittime non distinguono, per
ferocia e apparente futilità da quelli alle Twin towers.
e) Anche le multinazionali hanno bisogno di basi statali. Il che non
significa che la guerra venga da uno stato. È noto che le grandi
organizzazioni criminali competono con gli stati per controllare il
territorio e hanno bisogno dei famosi "santuari", cioè dei
retrobottega in cui organizzare le retrovie. E la scelta dell’Afghanistan
come santuario è eccellente. Ma con tutta probabilità, dal punto di
vista strettamente militare, mentre Sas e Seals sono infiltrati nel
Panshir le squadre per il secondo colpo (o il terzo) sono già sul
luogo di possibili attacchi.
f) L’attacco dell’11 settembre si è proposto di dare una lezione,
non soltanto con il sangue, ma anche con l’eleganza di una prova
filosofica ben riuscita. E oltre che con l’orrore tutti sono stati
colpiti e atterriti anche dalla incredibile lucidità dell’ideazione
e dall’efficienza nella realizzazione. È stata posta una sfida
morale. Perché il suicidio pone una sfida morale portata all’estremo.
Dire così non significa ovviamente né condividere le motivazioni dei
suicidi o dei loro mandanti né lodarli. Ma chi pensa che si possa
vincere questa guerra limitandosi a ripetere "l’orrore, l’orrore"
si sbaglia. I dirottatori, sono stati chiamati "vili e
codardi", termini usati soprattutto dalla stampa di destra anche
per definire i suicidi dell’Intifada. Ma sono termini sbagliati che
servono solo a confondere le nostre idee e ad accecarci. Come si può
definire vile chi sacrifica la propria vita per una causa? Possiamo
chiamarlo fanatico o criminale (anche se in questo contesto il termine
andrebbe ridefinito) ma non vile. Queste persone sono degli eroi per
milioni e milioni di persone, e trascurare questo fatto, per dar aria
alla nostra indignazione, fa un pessimo servizio a noi, e non sposta
di un micron l’ammirazione degli altri. Mi ha molto colpito un
passaggio del discorso del Presidente della Camera nel quale l’On.
Casini esprime il suo stupore per chi sacrifica il bene supremo dell’istinto
di conservazione per ragioni ideologiche. Ma un cattolico dovrebbe ben
sapere che questo è possibile. L’idea di testimoniare con la
propria vita per una idea l’hanno inventata i cristiani con i
martiri (testimoni) e questi atti figurano così prepotentemente nel
catechismo che mi ricordiobenissimo che c’è stato un periodo della
mia infanzia in cui il mio eroe era Tarcisio e aspiravo a morire come
lui. Non ci vuol molto a comprendere come in contesti in cui l’esempio
del martirio viene raccontato non da un buon prete di campagna in una
società relativamente pacifica, ma nell’area della disperazione i
ragazzini che ammirano i Tarcisi del caso sono certamente molti e
molti quelli veramente disposti ad imitarli.
g) C’è un atteggiamento tipico dei benpensanti per cui chiunque si
sforzi di esaminare questi fatti senza far ricorso a categorie
convenzionali (il suicida vile e pazzo, le plebi fanatiche dei
musulmani, il diavolo Bin Laden eccetera eccetera) viene trattato da
delinquente. Eppure non ci vuole l’intelligenza e la competenza di
un Cardini (che si aggira sconsolato tra tutti i fogli della destra
per cercare di spiegare qualcosa sull’Islam) per capire che in
questa situazione non c’è nulla di convenzionale e che se non
corriamo rapidamente ai ripari facciamo tutti la fine dei cavalieri
francesi ad Azincourt. La povera Susan Sontag che ha cercato di
sollevare il problema delle motivazioni etiche dei dirottatori si è
subito fatta rimbeccare da Arrigo Cipriani che peraltro ha solo
proposto i soliti insulti, ma non ci ha dato una spiegazione
alternativa. Ma ci siamo dimenticati che una delle chiavi di volta non
solo del successo militare, ma soprattutto della pace in Giappone è
da attribuire al gruppo di Leighton che studiava le culture a distanza
e che consigliò McArthur di non eliminare l’imperatore? Ricordiamo
che ai tempi di Pearl Harbour i militari americani erano per lo più
convinti che i giapponesi essendo piccolini le avrebbero prese dagli
Yankee nel corpo a corpo (remember judo?).
h) Purtroppo l’indignazione combinata all’ignoranza è una pessima
combinazione per un conflitto rischiosssimo che si annuncia già più
simile a una partita a scacchi che a una operazione di carri armati
nel deserto. E la destra ha già dato fiato alle trombe, come dimostra
il caso del reverendo Falwell che ha dovuto chiedere scusa. Io non so
se dall’altra parte della scacchiera ci sia il diavolo e di qui l’angelo.
Tendenzialmente rifiuto questo tipo di costruzione che nella storia ha
portato più danni che vantaggi. Ma se c’è un diavolo è uno che
sta giocando una partita in cui noi siamo in svantaggio perché l’avversario
ha certamente avuto molto tempo per preparare parecchie mosse di
riserva prima che noi si capisca lo svolgimento della partita. La
creazione di una opinione pubblica che chiede una "retribution"
immediata a qualsiasi costo è quasi certamente una mossa della
partita, e chi ci cade rischia di farsi mangiare un bel po’ di pezzi
prima di recuperare l’orientamento.
i) Fortunatamente, nonostante tutti gli sforzi di una "destra con
le palle" che ormai parla come un personaggio di Tom Clancy, in
questa partita non c’è contiguità tra la sinistra e i terroristi e
l’operazione maccartista, già in pieno svolgimento, del "guilt
by association" qui non regge. Bin Laden e i Talebani non hanno
nulla neppur lontanamente di sinistra, semmai cercano di costruire la
situazione in modo speculare alle destre nostrane. Come loro vogliono
la crociata e lo scontro di civiltà. Ma la civiltà dei Talebani è
semplicemente un’altra forma di nazismo con il Corano al posto della
Bibbia, o del libretto rosso come nel caso di Pol Pot. Sono tutti
movimenti prodotti da un disadattamento tra modernità e feudalesimo.
Bin Laden è un capitalista feudale che ha i soldi del petrolio e usa
tutte le strutture del più sofisticato capitalismo globale. Anche i
nazisti parlavano a nome delle cristianità (Gott mit Uns) e si
appellavano ai valori dell’Occidente, ma l’Occidente li ha
combattuti in nome di valori universali, non occidentali. E ha vinto
perché c’è stata una alleanza con il comunismo, che questi valori
predicava, anche se i suoi regimi praticavano il dispotismo. Anche
oggi dobbiamo puntare ai valori universali, e non è vero che il
relativismo culturale ce lo impedisce, perché esiste una
dichiarazione universale dei diritti che serve da base per la leva.
j) Si è detto che l’11 settembre segna la fine della
globalizzazione, ma è una di quelle stupidaggini che suonano bene, ma
non dicono nulla. Semmai un evento come quello dell’attacco alle
Twin Towers è la globalizzazione, dentro alla quale si perseguono
scopi diversi il profitto, il potere, la conoscenza, non meno della
vendetta. Non c’è la "globalizzazione buona" e la "globalizzazione
cattiva" questo concetto è il prodotto del puerile modo di
ragionare dei media, che devono sempre usare un linguaggio infantile.
Esiste un sistema d’accessibilità che crea delle opportunità, che
vengono usate da chi è in grado di impiegarle per i propri scopi.
Punto. L’attacco alle Twin Towers non fermerà il processo di
globalizzazione, non più di quanto le rapine ai treni abbiano fermato
la diffusione delle ferrovie.
k) Non è assurdo immaginare che la guerra di Bin Laden ( o del
califfo virtuale come lo chiama Gianni De Michelis) abbia per
obiettivo il Pakistan, l’Arabia Saudita o, perché no, anche l’Algeria.
La conquista di questi paesi darebbe alla multinazionale
nazi-islamista (non all’Islam) il potere di porre una seria minaccia
al sistema capitalistico mondiale. E al sistema mondiale tout-court.
Per tutte queste ragioni ho l’impressione
che le mosse di risposta all’11 settembre, soprattutto quelle alla
Rambo, siano molto al di sotto della sfida che è stata lanciata e che
i vaneggiamenti o le furbizie che si sono manifestati in queste
settimane servano solo ad accecare e a farci perdere la capacità di
elaborare una politica lungimirante. Può darsi che una azione
militare serva a colpire questo o quel gruppo di terroristi, ma la
rete e il terreno di cultura rimarranno in piedi finché non si
elimineranno le condizioni che le nutrono.
|