Ecco perché Rambo non ci salverà
Guido Martinotti
Sociologo. Docente di sociologia urbana all’università di Milano-Bicocca

Reset, novembre 2001

          "Attacco! L’è el gran dì. Ma chi capisen no che semm dree anda a muriì" canta con ironia amara il fantaccino della Prima Guerra Mondiale. Ed è difficile non condividere questo senso di fallimento morale e intellettuale mentre sentiamo le notizie di centinaia di aerei e navi che si muovono nel Golfo Persico. Come nella triste canzone popolare c’è chi suona la tromba. E che lo facciano Bush e (parte de) il suo governo non stupisce nessuno. Ma perché tutti gli speakers(esses) delle radio di stato devono assumere quel tono marzial-trionfale quando raccontano delle navi che partono e degli aerei che volano verso il Golfo Persico?
Avrei una preghiera personale, ma dal profondo del cuore, per queste ottime persone. Sentitevi le registrazioni dei vostri predecessori durante la seconda guerra mondiale e, qualsiasi cosa vi abbiano insegnato, non usate quel tono, non fate le stentoree voci di guerra, chi le ha sentite annunciare avanzate che non c’erano e rotte che venivano chiamate "ripiegamenti tattici" si è sentito tradito da voi e vi odiava. La guerra è favorita anche da un clima di guerra. Il parapaa, parapaa, parapaa, tenetelo in serbo per il campionato di calcio, il Giro d’Italia o la notte degli Oscar. Della guerra si può parlare con voce umana anche quando il mestiere obbliga a dire cose false.
E purtroppo di cose false ne cominciamo già a vedere, a bizzeffe, come quelle scene del carro armato con l’Afghano in turbante sopra, che in una inquadratura muove qualche metro da sinistra a destra del campo e in quella successiva torna indietro degli stessi metri. Inquadratura ripetuta ossessivamente a ogni notiziario (Rete 4 del 26 Settembre). Il cronista può anche essere obbligato a questi trucchi puerili per produrre un certo footage, ma non c’è bisogno di aggiungerci un’adesione emotiva. E invece i mezzi di comunicazione di massa si sono buttati sul clima e sulle immagini militaresche con una foga, un’avidità e un’adesione emotiva che lasciano sconcertati e fanno temere il peggio in caso di vere ostilità. Le voci del dissenso come quella dello studente americano intervistato da Radio Popolare la sera del 23 Settembre notano con grande inquietudine soprattutto questa grande mobilitazione dei mezzi di comunicazione che fa veramente paura perché lascia il comune cittadino totalmente indifeso.

            La Grande Armata Navale sta per attaccare un paese che non ha neppure un metro di costa., con una densità di popolazione di 26 abitanti per kmq e che per parte del tempo è avvolto da una sabbia così sottile che i visitatori si ammalano. Ho un ricordo personale del grande sociologo tedesco René Koenig che per anni, dopo una permanenza in Afghanistan, ha avuto seri problemi di respirazione. Paradossalmente la densità abitativa dell’Afghanistan non è molto diversa da quella americana (27.5 ab/kmq) ma è un dato ingannevole perché negli USA il 75% della popolazione è urbana e la percentuale di addetti è all’agricoltura è del 2.% mentre in Afghanistan la popolazione urbana è del 19.2%. La speranza di vita alla nascita nell’Afghanistan è di 44 anni per gli uomini e 45 per le donne, in USA è di 73.0 per gli uomini e 79,7 per le donne. Che cosa potranno fare in un paese così le forze armate più potenti del mondo, con elicotteri i cui filtri già in Iran hanno dato prova di non reggere troppo bene a condizioni estreme è un mistero. Non lo dico io, lo spiega con buona conoscenza di causa il generale russo che ha perso la guerra in quel paese. "We will bomb them back into the Stone age", è una frase che se ricordo bene viene dalla guerra del Vietnam (con i risultati per gli USA che abbiamo visto, 50.000 giovani americani morti in dieci anni di guerra persa). Ma come dice lo scrittore afghano Tamim Ansary, è "già stato fatto". Nell’età della pietra il paese è stato gettato da anni di guerre, dalla distribuzione di dieci milioni di mine uomo (l’Afghanistan è il paese più minato del mondo) e dai bombardamenti degli stessi talebani.

          Una "guerra" che sembra quel racconto di fantascienza in cui militari e scienziati (leggi guerrafondai e pacifisti) litigano sui mezzi con i quali far fronte alla minaccia di un blob energofilo, che vive cioè succhiando energia dall’ambiente. Gli scienziati riescono a convincere i militari che un bombardamento sarebbe controproducente perché il blob assorbirebbe l’energia delle bombe e se ne nutrirebbe ingrandendosi. Allora i militari hanno il colpo di genio:"nuke it!"- bombardalo con l’atomica. Senza sentire ragioni, caricano il blob su un razzo a testata nucleare e lo spediscono nello spazio interplanetario in un punto abbastanza lontano dalla Terra per far detonare la bomba H al sicuro. Dopo l’esplosione i militari esultano, il blob è stato spedito nel vuoto in minuscoli frammenti. Ma gli scienziati, che continuano a tenere l’occhio al telescopio si accorgono ben presto che i milioni di frammenti del blob si dirigono rapidi verso il sole succhiandone l’energia immensa e ingrandendosi a vista d’occhio. Mentre i massmedia suonavano le fanfare e il Presidente americano cercava di rinsaldare la propria opinione pubblica promettendo "we will smoke them out" come si fa con gli insetti nocivi o con le puzzole, si è prodotto un movimento piuttosto ampio di moderazione e di ripensamento, che naturalmente è stato subito bollato dai crociati come il generale Janne come buonismo, viltà o connivenza con il terrorismo. Ma è esattamente il contrario, chiunque abbia un minimo di discernimento capisce, o dovrebbe capire, che "alzare il livello dello scontro", come si diceva una volta, fa parte della strategia evidente di chi ha organizzato il massacro dell’11 settembre. Ma i contorni della strategia e la natura degli attori sono ancora del tutto oscuri, nonostante i fiumi di inchiostro e di immagini prodotti in queste poche settimane.

          Il presidente del Consiglio però non ha dubbi, è uno scontro di civiltà e noi siamo superiori. Mi ricorda un flemmatico amico che risalendo da una immersione piuttosto impegnativa ragionava così con lo squalo che gli stava davanti: "Io sono superiore a lui perché ho letto Platone". Il Cavaliere, Platone forse non lo ha letto, ma ha consiglieri che hanno idee precise sullo scontro tra il nostro mondo e quello dell’Islam e soprattutto legge Guzzanti che per salvare il padrone (("io poi ho sofferto come una bestia in Senato vedendo Silvio Berlusconi costretto se non a chiedere scusa…") rispolvera acrobaticamente la distinzione spenglerian-weberiana tra "Kultur e Zivilisation". Non c’è da sorprendersi di quel che Berlusconi ha detto, e per una volta tanto, l’ho sentito dal vivo. Intanto non è la prima volta, né sarà l’ultima, che un uomo politico italiano fa la figura del cugino sciocco degli americani. È nella natura della nostra posizione nei confronti degli Usa, di "best friend" combinata con la particolare foga di affollarsi nei primi posti del filoamericanismo che contraddistingue molti politici e intellettuali nostrani. Di suo Berlusconi ci ha solo aggiunto la sua sincerità, che è quella di una classe media che non legge molto, che probabilmente crede che Il crisantemo e la spada sia un film storico, Ruth Benedict un autore di gialli e Clifford Geertz un suonatore di jazz, ha vaghe ma ben radicate nozioni del mondo, basate su salde convinzioni che la Fallaci sia la più grande letterata contemporanea (convinzione totalmente condivisa dalla stessa) che Di Bella sia lo scopritore del Dna, Sgarbi maestro di eleganza, e Muccioli l’autore di Paideia. Nulla da stupirsi, Berlusconi la pensa così, esattamente come i leghisti che seguono Telepadania sono perfettamente convinti di quel che gli racconta l’avv. Taormina, che ne è parimenti fermanente convinto, che gli albanesi sono feroci per un fatto genetico. Mussolini peraltro era perfettamente convinto che gli americani hanno la maturità intellettuale di un quattordicenne e non credo che abbia mai cambiato idea. Le fortezze volanti, le navi Liberty, le portaerei e i mezzi da sbarco? Un accidente della storia. Il dibattito sul relativismo culturale tra Marshall Shalins e Gananath Obeysekeyre? Pirlate. E via dicendo e soprattutto peggiorando con la tecnica tutta italiota di dire e poi smentire. Ma Geddafi, che è intelligente, rifiuta la modesta ritrattazione di Berlusconi dicendo giustamente che Berlusconi era sincero e che esprimeva ciò che pensa la "gente".

           Se non capiamo la natura di questo terrorismo, non riusciremo a sconfiggerlo. Si potrà spianare l’Afghanistan, ma quelle che i mass media chiamano "le volpi del Desert storm" rischiano di fare la fine del coyote di quei cartoons che vi fanno vedere in aereo. Il coyote usa tutti gli strumenti del bricolage meccanico americano (Acme steel nails, Acme TNT, Acme hunting pellets e tutti gli innumerevoli prodotti che si trovano da Home Depot o da Kmart) per incastrare il velocissimo road runner. E ogni volta va a finire che il razzo gli scoppia in mano o il masso gli cade sulla testa. Se potessi obbligherei tutti i generali americani, compreso il texano Bush che ne è il capo in testa, a rivedersi il cartoon del coyote prima di dare l’ordine di attacco. Tra l’altro il cartoon è ambientato in un contesto desertico e polveroso non molto diverso dai paesaggi afghani che ci regala la televisione. Operazione Aquila Nobile, non meno di dieci anni. Ma in dieci anni si fa un piano Marshall per l’Afghanistan e per tutta l’area mediorientale in grado di portare questi paesi fuori dalla disperazione e dare un impulso all’economia di tutto il mondo. Vi ricordate le proposte di guerra alla fame di Ernesto Rossi e di Paolo Sylos Labini? non erano poi tanto irrealistiche.
Il problema però non si può risolvere così facilmente. Che sia "guerra" come piace ai militari o "atto criminale" come piace alle assicurazioni, quello che è avvenuto è un atto di guerra, tanto più pericoloso perché non è stato dichiarato da un attore convenzionale. Ed è anche perpetrato con mezzi non convenzionali, anche se abbondantemente previsti dall’immaginario scenico. Quello straodinario abitante di Harlem con il cappelletto rosso che intervistato dal corrispondente newyorkese di Santoro racconta che mentre il primo degli aerei entrava in una delle Twin Towers lui se ne stava davanti alla televisione a farsi una canna e la prima cosa che ha pensato è stata: "Dio, questa roba deve essere davvero buona".

         E per capire la natura di questo terrorismo dobbiamo entrare nella psicologia della disperazione. Che non è islamica o afghana o orientale, ma appartiene al mondo del martirio e dell’eroismo. I difensori di Alamo o i giovani tenentini che andavano all’assalto sul Grappa erano dei suicidi o no?
Il terrorismo va combattuto, ma non è detto che il bombardamento dell’Afghanistan sia il modo migliore per combatterlo. E se non servisse a nulla o peggio fosse proprio una delle conseguenze intese dai terroristi? Certo l’Fbi, la Cia e tutti gli altri servizi avranno montagne di informazioni che noi non abbiamo, ma finora non hanno dimostrato di essere molto "guzzi" o "sharp" e tutto sommato al di là delle informazioni specifiche occorre poi tenere presente principi generali . E anche chi è convinto che non si tratti di un confronto tra l’Islam e la cultura occidentale (spero davvero che non lo si proponga perché rischiamo anche di perderlo) e chi è convintissimo che le diseguaglianze del mondo costituiscano il terreno di cultura del terrorismo, esistono tempi e modo diversi nell’intervento. Se brucia la casa potrò ben pensare che nelle costruzioni si debbano usare accorgimenti finora tralasciati, ma intanto bisognerà pure che spenga subito le fiamme.

         Anche se siamo ben lontani, ma veramente lontani, dall’avere un quadro chiaro, ci sono alcuni punti sui quali vale la pena di fissare l’attenzione, intanto, come è buona norma, andandosi a rileggere le dichiarazioni dei principali interessati che ci erano sfuggite nel mare magnum delle informazioni stampate e raccontate
a) Ha ragione Bin Laden (non perché egli sia buono o giusto, ma perché si tratta di un dato di fatto incontrovertibile) quando dice – un paio di anni fa, se non sbaglio - che le compagnie petrolifere hanno portato a casa miliardi di miliardi di dollari. Ma altrettanti soldi sono rimasti nelle mani delle élites arabe, e Bin Laden appartiene a queste. La quantità di denari accumulata nelle mani di alcune porzioni di queste élites è inimmaginabile, come dimostra la vicenda del Sultano del Brunei. E le operazioni di alta finanza che hanno preceduto e accompagnato l’11 settembre puntano nella direzione di gruppi che non sono solo poveri studenti del Corano armati di Kalashnikov.
b) Non è invece inimmaginabile, anche se al di fuori del mondo romanzato pochi ci hanno finora veramente pensato, che una parte di questo denaro sia in mano a porzioni di queste élites che invece di dilapidarli in scarpe e mogli come il sultano del Brunei, vogliano usarlo per operazioni di potenza, cioè per fare politica.
c) La politica oggi la fanno anche le multinazionali e il petrolio è multinazionale per eccellenza. Per non perdere di vista l’inquietante ma ineliminabile legame tra l’immaginario e il reale, basterà ricordare che due dei polpettoni dell’estate 2001, quello di Tom Clancy e quello di Le Carrè, pur assai diversi per trama e qualità, hanno in comune il vilain principale, una grande multinazionale. Il romanzo di Tom Clancy è particolarmente interessante perché l’eroe (diciamo l’Anti-smersh) è una forza speciale segreta nominalmente internazionale – ma in realtà del tutto gestita dagli Yankees – non diversa da quella che si sta organizzando oggi. Anticipo le scrollate di spalle alla citazione di testi non paludati, ma per capire quel che sta avvenendo occorre anche quella che Jim Clark deviniva un certo grado di "nuttiness". Cioè liberarci della categorie convenzionali.
d) Ci sono focolai spinti di un fondamentalismo, che rimane ancora largamente inspiegato per ferocia e capacità di sopravvivenza, in paesi da cui dipendiamo energeticamente come l’Algeria. Ci sono persistenze inspiegabili come quella di Saddam Hussein. Sfido chiunque a dare una spiegazione plausibile del perché Saddam sia ancora lì e che ci facciano i caccia che ogni tanto bombardano militari e popolazione civile con azioni che le vittime non distinguono, per ferocia e apparente futilità da quelli alle Twin towers.
e) Anche le multinazionali hanno bisogno di basi statali. Il che non significa che la guerra venga da uno stato. È noto che le grandi organizzazioni criminali competono con gli stati per controllare il territorio e hanno bisogno dei famosi "santuari", cioè dei retrobottega in cui organizzare le retrovie. E la scelta dell’Afghanistan come santuario è eccellente. Ma con tutta probabilità, dal punto di vista strettamente militare, mentre Sas e Seals sono infiltrati nel Panshir le squadre per il secondo colpo (o il terzo) sono già sul luogo di possibili attacchi.
f) L’attacco dell’11 settembre si è proposto di dare una lezione, non soltanto con il sangue, ma anche con l’eleganza di una prova filosofica ben riuscita. E oltre che con l’orrore tutti sono stati colpiti e atterriti anche dalla incredibile lucidità dell’ideazione e dall’efficienza nella realizzazione. È stata posta una sfida morale. Perché il suicidio pone una sfida morale portata all’estremo. Dire così non significa ovviamente né condividere le motivazioni dei suicidi o dei loro mandanti né lodarli. Ma chi pensa che si possa vincere questa guerra limitandosi a ripetere "l’orrore, l’orrore" si sbaglia. I dirottatori, sono stati chiamati "vili e codardi", termini usati soprattutto dalla stampa di destra anche per definire i suicidi dell’Intifada. Ma sono termini sbagliati che servono solo a confondere le nostre idee e ad accecarci. Come si può definire vile chi sacrifica la propria vita per una causa? Possiamo chiamarlo fanatico o criminale (anche se in questo contesto il termine andrebbe ridefinito) ma non vile. Queste persone sono degli eroi per milioni e milioni di persone, e trascurare questo fatto, per dar aria alla nostra indignazione, fa un pessimo servizio a noi, e non sposta di un micron l’ammirazione degli altri. Mi ha molto colpito un passaggio del discorso del Presidente della Camera nel quale l’On. Casini esprime il suo stupore per chi sacrifica il bene supremo dell’istinto di conservazione per ragioni ideologiche. Ma un cattolico dovrebbe ben sapere che questo è possibile. L’idea di testimoniare con la propria vita per una idea l’hanno inventata i cristiani con i martiri (testimoni) e questi atti figurano così prepotentemente nel catechismo che mi ricordiobenissimo che c’è stato un periodo della mia infanzia in cui il mio eroe era Tarcisio e aspiravo a morire come lui. Non ci vuol molto a comprendere come in contesti in cui l’esempio del martirio viene raccontato non da un buon prete di campagna in una società relativamente pacifica, ma nell’area della disperazione i ragazzini che ammirano i Tarcisi del caso sono certamente molti e molti quelli veramente disposti ad imitarli.
g) C’è un atteggiamento tipico dei benpensanti per cui chiunque si sforzi di esaminare questi fatti senza far ricorso a categorie convenzionali (il suicida vile e pazzo, le plebi fanatiche dei musulmani, il diavolo Bin Laden eccetera eccetera) viene trattato da delinquente. Eppure non ci vuole l’intelligenza e la competenza di un Cardini (che si aggira sconsolato tra tutti i fogli della destra per cercare di spiegare qualcosa sull’Islam) per capire che in questa situazione non c’è nulla di convenzionale e che se non corriamo rapidamente ai ripari facciamo tutti la fine dei cavalieri francesi ad Azincourt. La povera Susan Sontag che ha cercato di sollevare il problema delle motivazioni etiche dei dirottatori si è subito fatta rimbeccare da Arrigo Cipriani che peraltro ha solo proposto i soliti insulti, ma non ci ha dato una spiegazione alternativa. Ma ci siamo dimenticati che una delle chiavi di volta non solo del successo militare, ma soprattutto della pace in Giappone è da attribuire al gruppo di Leighton che studiava le culture a distanza e che consigliò McArthur di non eliminare l’imperatore? Ricordiamo che ai tempi di Pearl Harbour i militari americani erano per lo più convinti che i giapponesi essendo piccolini le avrebbero prese dagli Yankee nel corpo a corpo (remember judo?).
h) Purtroppo l’indignazione combinata all’ignoranza è una pessima combinazione per un conflitto rischiosssimo che si annuncia già più simile a una partita a scacchi che a una operazione di carri armati nel deserto. E la destra ha già dato fiato alle trombe, come dimostra il caso del reverendo Falwell che ha dovuto chiedere scusa. Io non so se dall’altra parte della scacchiera ci sia il diavolo e di qui l’angelo. Tendenzialmente rifiuto questo tipo di costruzione che nella storia ha portato più danni che vantaggi. Ma se c’è un diavolo è uno che sta giocando una partita in cui noi siamo in svantaggio perché l’avversario ha certamente avuto molto tempo per preparare parecchie mosse di riserva prima che noi si capisca lo svolgimento della partita. La creazione di una opinione pubblica che chiede una "retribution" immediata a qualsiasi costo è quasi certamente una mossa della partita, e chi ci cade rischia di farsi mangiare un bel po’ di pezzi prima di recuperare l’orientamento.
i) Fortunatamente, nonostante tutti gli sforzi di una "destra con le palle" che ormai parla come un personaggio di Tom Clancy, in questa partita non c’è contiguità tra la sinistra e i terroristi e l’operazione maccartista, già in pieno svolgimento, del "guilt by association" qui non regge. Bin Laden e i Talebani non hanno nulla neppur lontanamente di sinistra, semmai cercano di costruire la situazione in modo speculare alle destre nostrane. Come loro vogliono la crociata e lo scontro di civiltà. Ma la civiltà dei Talebani è semplicemente un’altra forma di nazismo con il Corano al posto della Bibbia, o del libretto rosso come nel caso di Pol Pot. Sono tutti movimenti prodotti da un disadattamento tra modernità e feudalesimo. Bin Laden è un capitalista feudale che ha i soldi del petrolio e usa tutte le strutture del più sofisticato capitalismo globale. Anche i nazisti parlavano a nome delle cristianità (Gott mit Uns) e si appellavano ai valori dell’Occidente, ma l’Occidente li ha combattuti in nome di valori universali, non occidentali. E ha vinto perché c’è stata una alleanza con il comunismo, che questi valori predicava, anche se i suoi regimi praticavano il dispotismo. Anche oggi dobbiamo puntare ai valori universali, e non è vero che il relativismo culturale ce lo impedisce, perché esiste una dichiarazione universale dei diritti che serve da base per la leva.
j) Si è detto che l’11 settembre segna la fine della globalizzazione, ma è una di quelle stupidaggini che suonano bene, ma non dicono nulla. Semmai un evento come quello dell’attacco alle Twin Towers è la globalizzazione, dentro alla quale si perseguono scopi diversi il profitto, il potere, la conoscenza, non meno della vendetta. Non c’è la "globalizzazione buona" e la "globalizzazione cattiva" questo concetto è il prodotto del puerile modo di ragionare dei media, che devono sempre usare un linguaggio infantile. Esiste un sistema d’accessibilità che crea delle opportunità, che vengono usate da chi è in grado di impiegarle per i propri scopi. Punto. L’attacco alle Twin Towers non fermerà il processo di globalizzazione, non più di quanto le rapine ai treni abbiano fermato la diffusione delle ferrovie.
k) Non è assurdo immaginare che la guerra di Bin Laden ( o del califfo virtuale come lo chiama Gianni De Michelis) abbia per obiettivo il Pakistan, l’Arabia Saudita o, perché no, anche l’Algeria. La conquista di questi paesi darebbe alla multinazionale nazi-islamista (non all’Islam) il potere di porre una seria minaccia al sistema capitalistico mondiale. E al sistema mondiale tout-court.

      Per tutte queste ragioni ho l’impressione che le mosse di risposta all’11 settembre, soprattutto quelle alla Rambo, siano molto al di sotto della sfida che è stata lanciata e che i vaneggiamenti o le furbizie che si sono manifestati in queste settimane servano solo ad accecare e a farci perdere la capacità di elaborare una politica lungimirante. Può darsi che una azione militare serva a colpire questo o quel gruppo di terroristi, ma la rete e il terreno di cultura rimarranno in piedi finché non si elimineranno le condizioni che le nutrono.