SMEMORATI TRA NOI

 Angelo Panebianco

Corriere della Sera, 26 settembre 2001

 

Se la guerra al terrorismo durerà anni bisognerà attrezzarsi per neutralizzare (con la parola, con la persuasione) il principale alleato di Bin Laden e soci in Occidente, la loro più preziosa "quinta colonna": il relativismo culturale. È un malanno di cui l' Occidente soffre da decenni. All' inizio, ha infettato alcune minoranze colte. Poi, veicolato dalla scuola e dai mass media, ha toccato ampi settori delle classi medie scolarizzate. È una forma di nichilismo nutrita dalla secolarizzazione e da una collettiva perdita di memoria storica. La sua forza persuasiva sta nella sua apparente ragionevolezza (che, tuttavia, nasconde un errore logico): se le persone hanno "pari dignità", come proprio la cultura occidentale ci ha insegnato, e vanno poste, tutte, sullo stesso piano, questo non deve forse valere anche per le "culture", le "religioni", le "civiltà"? L' errore logico consiste nel pensare che quanto vale per gli individui debba necessariamente valere anche per gli aggregati culturali. Il relativismo culturale è una degenerazione del principio di tolleranza inscritto nella democrazia liberale. Si tratta di una forma (dissimulata) di nichilismo: solo chi non crede più in niente può porre tutto sullo stesso piano . Se tutti i "valori" hanno lo stesso valore, il solo numero in grado di esprimere quel valore è zero. Nulla più del relativismo culturale rappresenta oggi, agli occhi degli adepti dell' islamismo radicale, l' inconfutabile prova che quella occidentale è una civiltà decadente che può essere sconfitta. Il relativismo culturale, alimentato dall' amnesia storica, lascia con poche difese a fronte delle interpretazioni demonizzanti della storia occidentale che tanti intellettuali fanno circolare: interpretazioni che rendono coloro che le accolgono privi di rispetto per la propria cultura, e di "buone ragioni" per difenderla dai suoi nemici. Quando, ad esempio, si scrive, come fosse una verità inconfutabile, che le nostre "libertà" sono fondate s ul benessere economico, a sua volta prodotto dallo sfruttamento dei non occidentali, non si dice solo una solenne sciocchezza (figlia, appunto, della perdita di memoria storica): le nostre libertà, così come il nostro benessere, sono i frutti maturi di una millenaria evoluzione occidentale; le "libertà" occidentali sono state condizione indispensabile per la crescita della ricchezza e del benessere; e gran parte della povertà che alligna, per esempio, nei Paesi islamici si deve al clamoroso fallimento delle loro classi dirigenti. Quelle interpretazioni rafforzano la mancanza di "rispetto di sé" e delle proprie istituzioni, che è il migliore alleato dei nemici del mondo occidentale. Nei giorni di Genova, teppisti a parte, tante brave e miti persone erano là riunite a manifestare contro il G8 parlando di quella riunione dei capi di governo di alcuni dei Paesi più liberi e più civili del mondo, più o meno negli stessi termini in cui ne parla Bin Laden. Anche lasciando da parte l' islamismo radicale e il terrorismo, relativismo culturale e perdita di memoria sono pessimi biglietti di presentazione quando si deve, come dobbiamo, dialogare con persone appartenenti ad altre civiltà, Islam in testa. Non ci possono essere dialoghi, ma solo una serie infinita di fraintendimenti, se chi è chiamato a dialogare soffre di amnesia e ha idee confuse sulla propria identità. Tuttavia, non siamo ancora spacciati. Proprio quando insorgono sfide gravissime, i gruppi umani, spesso, recuperano coesione e rispetto di sé. Forse, alla fine di questo conflitto, molti occidentali in più sapranno di nuovo ciò che hanno disimparato, che la civiltà cui appartengono, culla, unica nella storia, dei diritti e delle libertà, merita di essere difesa, essendo il suo valore, di molto, superiore a zero.