Se la guerra al terrorismo durerà anni bisognerà attrezzarsi per
neutralizzare (con la parola, con la persuasione) il principale
alleato di Bin Laden e soci in Occidente, la loro più preziosa
"quinta colonna": il relativismo culturale. È un malanno di
cui l' Occidente soffre da decenni. All' inizio, ha infettato alcune
minoranze colte. Poi, veicolato dalla scuola e dai mass media, ha
toccato ampi settori delle classi medie scolarizzate. È una forma di
nichilismo nutrita dalla secolarizzazione e da una collettiva perdita
di memoria storica. La sua forza persuasiva sta nella sua apparente
ragionevolezza (che, tuttavia, nasconde un errore logico): se le
persone hanno "pari dignità", come proprio la cultura
occidentale ci ha insegnato, e vanno poste, tutte, sullo stesso
piano, questo non deve forse valere anche per le "culture",
le "religioni", le "civiltà"? L' errore logico
consiste nel pensare che quanto vale per gli individui debba
necessariamente valere anche per gli aggregati culturali. Il
relativismo culturale è una degenerazione del principio di tolleranza
inscritto nella democrazia liberale. Si tratta di una forma
(dissimulata) di nichilismo: solo chi non crede più in niente può
porre tutto sullo stesso piano . Se tutti i "valori" hanno
lo stesso valore, il solo numero in grado di esprimere quel valore è
zero. Nulla più del relativismo culturale rappresenta oggi, agli
occhi degli adepti dell' islamismo radicale, l' inconfutabile prova
che quella occidentale è una civiltà decadente che può essere
sconfitta. Il relativismo culturale, alimentato dall' amnesia storica,
lascia con poche difese a fronte delle interpretazioni demonizzanti
della storia occidentale che tanti intellettuali fanno circolare: interpretazioni che rendono coloro che le accolgono privi di rispetto per
la propria cultura, e di "buone ragioni" per difenderla dai
suoi nemici. Quando, ad esempio, si scrive, come fosse una verità
inconfutabile, che le nostre "libertà" sono fondate s ul
benessere economico, a sua volta prodotto dallo sfruttamento dei non
occidentali, non si dice solo una solenne sciocchezza (figlia,
appunto, della perdita di memoria storica): le nostre libertà, così
come il nostro benessere, sono i frutti maturi di una millenaria
evoluzione occidentale; le "libertà" occidentali sono state
condizione indispensabile per la crescita della ricchezza e del
benessere; e gran parte della povertà che alligna, per esempio, nei
Paesi islamici si deve al clamoroso fallimento delle loro classi
dirigenti. Quelle interpretazioni rafforzano la mancanza di
"rispetto di sé" e delle proprie istituzioni, che è il
migliore alleato dei nemici del mondo occidentale. Nei giorni di
Genova, teppisti a parte, tante brave e miti persone erano là riunite
a manifestare contro il G8 parlando di quella riunione dei capi di
governo di alcuni dei Paesi più liberi e più civili del mondo, più
o meno negli stessi termini in cui ne parla Bin Laden. Anche lasciando
da parte l' islamismo radicale e il terrorismo, relativismo culturale
e perdita di memoria sono pessimi biglietti di presentazione quando si
deve, come dobbiamo, dialogare con persone appartenenti ad altre
civiltà, Islam in testa. Non ci possono essere dialoghi, ma solo una
serie infinita di fraintendimenti, se chi è chiamato a dialogare
soffre di amnesia e ha idee confuse sulla propria identità. Tuttavia,
non siamo ancora spacciati. Proprio quando insorgono sfide gravissime,
i gruppi umani, spesso, recuperano coesione e rispetto di sé. Forse,
alla fine di questo conflitto, molti occidentali in più sapranno di
nuovo ciò che hanno disimparato, che la civiltà cui appartengono,
culla, unica nella storia, dei diritti e delle libertà, merita di
essere difesa, essendo il suo valore, di molto, superiore a zero.
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