I Talebani, grandi destabilizzatori della regione

Ahmed Rashid*

Le Monde Diplomatique, novembre 1999

 

*Giornalista pakistano, autore di Taliban: Islam, Oil and the New Great Game in Central Asia,
pubblicato nel febbraio 2000 da I.B. Tauris a Londra, pubblicato in italiano:
Ahmed Rashid, Talebani. Islam, petrolio e il Grande scontro in Asia centrale, Feltrinelli, Milano 2001, pp.312, euro 16.50 

La situazione di guerra e di caos che dura ormai da vent'anni in Afghanistan ha finito per oltrepassare le frontiere poco sorvegliate del paese e ha radicalizzato la situazione in tutta la regione: il Pakistan e l'Arabia saudita sostengono i talibani, mentre l'Iran, la Russia, l'India e quattro repubbliche dell'Asia centrale Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan appoggiano l'Alleanza del nord che riunisce i loro avversari. Sfruttando le basi arretrate in Afghanistan, migliaia di militanti islamici ispirati dalle rigide pratiche dei talibani sperano di poter applicare queste leggi nei loro paesi e rovesciare i regimi al potere. I talibani hanno offerto loro non solo un rifugio sicuro, ma anche i mezzi logistici e militari per le loro campagne finanziate con il traffico di stupefacenti.
Per lo più di origine pashtun, i talibani sono apparsi sulla scena afghana alla fine del 1994. Il movimento, composto da "talibs" o studenti delle scuole islamiche (madrasa) presenti nei campi profughi in Pakistan, voleva all'epoca riportare la pace in Afghanistan, ristabilirvi la legge e l'ordine, disarmare la popolazione e imporre la sharia o legge islamica. Loro primo scopo era mettere fine alla terribile guerra civile scoppiata nel 1989 dopo il ritiro sovietico e che ormai da dieci anni vede la popolazione a maggioranza pashtun del sud e dell'est contrapposta alle minoranze etniche del nord (tagichi, uzbechi, hazari e turkmeni). Nel 1998 i talibani hanno conquistato gran parte dell'Afghanistan del nord e sono riusciti a ricacciare i loro avversari dell'Alleanza del nord in una piccola striscia di territorio, nel nord-est del paese.
Queste vittorie hanno provocato una forte tensione regionale, in particolare tra Iran e Afghanistan. In risposta alle offensive dei talibani l'Iran ha mobilitato le sue truppe alla frontiera afghana e ha denunciato l'aiuto dato dal Pakistan agli "studenti di religione". Questa reazione si spiega con la violenta politica del governo di Kabul, che odia ferocemente l'islam sciita. Anche se il 90% degli afghani è sunnita e il 10% sciita, questo odio non trova però le sue fonti nel tradizionale movimento sunnita afghano. L'Afghanistan è sempre stato un paese musulmano di tradizione conservatrice, ma nel quale l'islam ha sempre dato prova di grande tolleranza, dimostrandosi raramente settario. Così fino al 1992 gli indù, i sikh e gli ebrei hanno svolto un importante ruolo nell'economia e nei bazar. Inoltre il sufismo, ramo mistico dell'islam, ha promosso la tolleranza nei confronti della diversità religiosa.
Facendo esplodere il paese sulla base di linee di divisione etniche e religiose, la guerra civile ha azzerato questa tradizione di tolleranza. Mentre prima era stato un fattore di unità, adesso l'islam è diventato un'arma mortale nelle mani di estremisti, una forza di divisione e di disgregazione.
La comparsa dei talibani è avvenuta in un contesto particolare, quello della divisione dell'Afghanistan in zone controllate dai signori della guerra. L'egemonia pashtun si era indebolita e, dopo anni di guerra e di divisione sociale, il paese stava andando alla deriva. Sulla scia di una tradizione molto solida nella storia musulmana, i talibani si sono presentati inizialmente come un movimento riformatore, la cui legittimità si basava sulla jihad. Ma la jihad non predica l'uccisione di altri musulmani su basi etniche o settarie. L'interpretazione che ne fanno i talibani condannata da molte organizzazioni islamiche ha finito per convincere i non pashtun che i talibani strumentalizzavano la religione con lo scopo di sterminarli.
Privi di un'idea di stato-nazione, i talibani ignorano la storia e la loro conoscenza dell'islam è superficiale. Basandosi su un'interpretazione estrema e perversa dell'islam deobanti, la loro credenza si riduce a un'interpretazione restrittiva e rigida della sharia, che non tollera alcun dibattito od opposizione. I deobanti sono apparsi in India durante il periodo coloniale sotto forma di un movimento riformatore che si proponeva di rigenerare la società musulmana sunnita e di armonizzare i testi islamici classici con la realtà del momento. Si sono così create in Afghanistan scuole deobanti (madrasa), che non hanno però riscosso una grande adesione popolare; in compenso si sono sviluppate rapidamente in Pakistan dopo la partizione dell'India nel 1947. Qui i deobanti hanno creato un partito politico, il Jamiat-Ulema-e-Islami (Jui), che ha acquisito una certa influenza negli anni '90.
Il Jui non ha avuto un ruolo diretto nella guerra in Afghanistan, ma ha approfittato del conflitto per creare centinaia di scuole lungo la cintura pashtun pakistana nella Provincia della frontiera nord-ovest (Nwfp) e nel Belucistan. Qui ha offerto strutture sociali, istruzione gratuita, cibo, un tetto, ma anche un addestramento militare ai giovani pakistani e ai profughi afghani. Le madrasa deobanti erano dirette da mullah spesso semianalfabeti, che ignoravano l'insegnamento originale della loro setta. Grazie alle borse e ai fondi sauditi, la loro ideologia si è a poco a poco avvicinata al wahhabismo
(1).
Rimasto relativamente emarginato e politicamente isolato fino al 1993, il Jui si è alleato con il Partito del popolo pakistano di Benazir Bhutto (Ppp) ed è entrato nel governo di coalizione formato dopo la vittoria elettorale del Ppp. Da allora il Jui e le sue varie ramificazioni sono diventati per i talibani il principale strumento di reclutamento di studenti pachistani.
Questi militanti agguerriti beneficiano del sostegno militare e logistico delle autorità di Islamabad. Tuttavia la loro presenza, sempre più forte nella società, rappresenta un problema di stabilità per lo stesso Pakistan
(2).
Se ne è avuta conferma con il colpo di stato che il 12 ottobre 1999 ha permesso ai militari di rovesciare il primo ministro Nawaz Sharif. Il Pakistan è un paese indebolito dalle profonde e ricorrenti crisi economiche e politiche. Le sue istituzioni sono vicine al collasso e la società è disgregata dalle molteplici divisioni etniche e settarie. I movimenti neotalibani pakistani esercitano una grande influenza politica nelle zone pashtun, in Belucistan come nella Provincia della frontiera nord-ovest.
Questa influenza si sta estendendo al Punjab e al Sind: gran parte dei 6-8.000 militanti pakistani che si è unita ai talibani nella loro offensiva militare del luglio 1999 non era pashtun bensì punjabi e sindi.
Le forze armate pakistane ritengono che un governo afghano favorevole al Pakistan rappresenti un elemento essenziale per ottenere quella forza strategica che è loro necessaria nel pericoloso confronto con l'India. Inoltre i talibani, i gruppi deobanti in Pakistan e la "rete bin Laden" dal nome del miliardario islamista di origine saudita rifugiatosi in Afghanistan
(3) danno un sostegno incondizionato agli insorti musulmani in lotta contro l'India nel Kashmir (4). E sebbene questo appoggio alimenti i conflitti confessionali in Pakistan, Islamabad non può ritirare il suo sostegno ai talibani senza indebolire la causa kashmira che difende.
Proprio a causa delle frontiere poco sorvegliate, delle economie in crisi e degli apparati di sicurezza inefficienti, le cinque repubbliche musulmane dell'Asia centrale temono l'estensione dei disordini provenienti dall'Afghanistan. A eccezione del Turkmenistan che si è dichiarato neutrale, tutti questi paesi sostengono l'Alleanza del nord. Ahmed Shah Massoud, il suo comandante, dispone di un'importante base nel sud del Tagikistan, dove riceve le armi provenienti dalla Russia e dall'Iran.
In risposta a questa politica i talibani hanno dato accoglienza ai movimenti di opposizione islamici dell'Asia centrale. Il dirigente del Movimento islamico dell'Uzbekistan (Imu) Tahir Yuldashev è ricercato nel suo paese per aver organizzato lo scorso febbraio un attentato contro il presidente Islam Karimov che ha fatto 16 morti e 128 feriti in seguito all'esplosione di sei bombe a Tashkent. Nel maggio 1999 i talibani lo hanno autorizzato a creare un campo di addestramento militare a Mazar-i-Sharif, a pochi chilometri dalla frontiera uzbeca. Qui Yuldashev addestra alcune centinaia di militanti provenienti dall'Uzbekistan, dal Tagikistan, dal Kirghizistan, nonché indipendentisti uighuri della provincia cinese del Xinjiang. I talibani, anche se negano di sostenere l'Imu, hanno respinto in giugno le richieste di estradizione avanzate dall'Uzbekistan. A fine agosto un alto dirigente dell'Imu, Juma Namangani, è entrato con 800 militanti nel sud del Kirghizistan, si è impadronito di alcuni villaggi, ha preso ostaggi e ha minacciato di invadere l'Uzbekistan.
Nel Caucaso, i due dirigenti ribelli che hanno capeggiato la recente invasione del Daghestan, il giordano ed ex combattente "afghano" Khabib Abd Ar-Rahman Khattab e Shamil Basaev, dirigente indipendentista ceceno, intrattengono strette relazioni con i talibani; lo stesso vale per alcuni movimenti dissidenti iraniani, come il piccolo Ahl-i-Sunnah Wal Jamaat o per i dirigenti del principale movimento di opposizione armata al governo di Tehran, i mujaheddin, che hanno basi in Iraq. A loro volta le autorità cinesi affermano che le armi e gli esplosivi utilizzati dai militanti uighuri nel Xinjiang provenivano dall'Afghanistan. Anche in questo caso i talibani negano qualsiasi implicazione, ma è stato accertato che militanti uighuri erano implicati nelle operazioni di Yuldashev e di Osama bin Laden. Oltre all'affermazione dell'islamismo militante, la Cina teme l'estendersi del traffico di eroina afghana nel Xinjiang.
Negli anni '80 Osama bin Laden era stato uno dei principali reclutatori dei 35.000 militanti islamisti arabi, africani e asiatici che avevano lottato a fianco dei mujaheddin afghani contro l'Armata rossa. Come molti altri militanti arabi implicati nella guerra, il miliardario di origine saudita aveva beneficiato dell'appoggio delle autorità americane e probabilmente di quello, più concreto, dei loro servizi segreti. Si deve infatti ricordare che l'amministrazione Reagan, in collegamento con i suoi alleati sauditi e pakistani, ha addestrato e fornito un importante sostegno logistico e finanziario ai movimenti mujaheddin più radicali. La fine della guerra ha segnato la rottura tra questi "afghani" e gli Stati uniti.
Al suo ritorno in Afghanistan nel 1996, dopo sei anni di assenza, Osama bin Laden ha mantenuto rapporti di amicizia con il capo supremo dei talibani, il mullah Mohammed Omar, che lo ha protetto. E' stato bin Laden a mettere gli "afghani" arabi in contatto con i talibani e a iniziarli alla sua ideologia panislamista. Del resto sembra che il mullah Omar sia sempre più influenzato da bin Laden, il che spiegherebbe le sue prese di posizione via via più decise contro gli Stati uniti, le Nazioni unite, i sauditi e altri regimi musulmani. Infatti le recenti dichiarazioni dei talibani utilizzano un inedito linguaggio panislamico. Bin Laden è riuscito nell'impresa di riunificare e riarmare quello che rimane degli "afghani" arabi. E' riuscito anche a ottenere fondi da parte di simpatizzanti arabi della causa talibana.
Secondo il Programma delle Nazioni unite per il controllo internazionale delle droghe (Undcip) l'Afghanistan ha prodotto 4.
600 tonnellate metriche di oppio nel 1999, cioè più del doppio del 1998; il 97% delle coltivazioni si fa in zone controllate dai talibani
(5). Mentre negli anni 80 il trasporto dell'oppio avveniva attraverso il Pakistan oggi viene effettuato sulle strade che passano per l'Iran, i paesi del Golfo Persico, l'Asia centrale e il Caucaso. Dopo il blocco dei suoi conti bancari internazionali, Osama bin Laden ha finanziato le sue operazioni con i proventi del narcotraffico. Secondo le autorità cinesi il traffico di droga serve anche a finanziare l'opposizione uighura nel Xinjiang. A sua volta il governo uzbeco ritiene che questi capitali finiscano nelle casse dell'Imu e contribuiscano ad alimentare la guerra civile in Tagikistan. Quanto alla Cecenia, è diventata un'importante via di passaggio per l'eroina afghana.
Alla droga va aggiunto il contrabbando di merci, di cibo e di benzina che transita per l'Afghanistan. I trasportatori afghani e pakistani svolgono il loro traffico in una zona estesissima, che va dalla Russia al Pakistan passando per il Caucaso, l'Asia centrale e l'Iran. Questo fenomeno ha avuto come effetto principale la paralisi dell'industria locale. I produttori locali infatti non possono far fronte alla concorrenza di beni prodotti all'estero che, per di più, non sono tassati. Il contrabbando inoltre infligge gravi perdite all'economia degli stati: si stima che il Pakistan perda in questo modo il 30% del proprio reddito. Come per la droga i talibani riscuotono una tassa sul contrabbando; è la loro seconda fonte di reddito e le mafie dei trasporti sono diventate un importante alleato.
La politica degli Stati uniti dopo la fine della guerra fredda non ha contribuito molto a chiarire i problemi regionali. Dando la priorità alla penetrazione economica in una zona ricca di idrocarburi in particolare con la costruzione da parte della compagnia multinazionale Unocal di un oleodotto tra l'Asia centrale e il Pakistan attraverso l'Afghanistan Washington ha in parte aiutato a consolidare il potere dei talibani. Inoltre i talibani, alleati del Pakistan e dell'Arabia Saudita, rappresentavano un ulteriore puntello nella politica anti-iraniana di Washington. Ma questa strumentalizzazione non ha avuto gli effetti sperati. I talibani non hanno moderato né i loro discorsi né le loro azioni, che si tratti del trattamento degradante inflitto alle donne afghane o del terrore imposto alla popolazione civile
(6). Gi Stati uniti hanno recentemente rivisto la loro politica e chiesto al Consiglio di sicurezza di ingiungere a Kabul di espellere Osama bin Laden. Ma su di loro pesa una grande parte di responsabilità nella genesi di questo movimento.



note:


(1) Movimento musulmano puritano fondato da Mohammad ibn Abd al-Wahhab (1703-1792) nel Neged (parte centrale dell'Arabia). La sua alleanza con la tribù dei Saud portò alla nascita dell'Arabia saudita ed è alla base dell'attuale monarchia.

(2) Dal 1994 più di 80.000 militanti islamisti pakistani hanno combattuto a fianco dei talibani nella guerra civile afghana.
Sembrano intenzionati a estendere la rivoluzione islamica talibana in Pakistan.

(3) Osama bin Laden è considerato il responsabile di due attentati antiamericani che hanno fatto 257 vittime, tra cui sette americani, il 7 agosto 1998 in Tanzania e in Kenya. Per Washington è diventato il "nemico pubblico numero uno".

(4) Si legga Negarajan V. Subramanian, "Ombre nucleari sul Kashmir", Le Monde diplomatique/il manifesto, luglio 1999.

(5) Per i talibani l'oppio quindi l'eroina è una fonte essenziale di reddito. Riscuotono un'imposta del 20% dai trafficanti e dai trasportatori. L'Alleanza del nord impone una tassa simile sui carichi diretti in Uzbekistan e in Tagikistan.

(6)
Chantal Aubry, "Doppia trappola per l'Afghanistan", Le Monde diplomatique/il manifesto, febbraio 1999.
(Traduzione di A.D.R.)