A
Torkham, il posto di confine sulla cima del passo di Khyber, tra lAfghanistan ed il
Pakistan, una barriera costituita da una sola catena divide i due paesi. Dalla parte
pakistana stanno le sentinelle di frontiera - paramilitari nelle loro "shalwar
kameez" e turbanti. Era laprile del 1989, e la ritirata sovietica
dallAfghanistan era stata appena completata. Stavo ritornando in Pakistan attraverso
la strada proveniente da Kabul, ma la frontiera era chiusa. Esausto per il viaggio, mi
stesi sul bordo di un prato dal lato afghano del confine e mi misi ad aspettare.
Allimprovviso, lungo la strada alle mie spalle, un camion pieno di mujaheddin si
fermò. I passeggeri non erano afghani. Arabi dalla carnagione chiara, volti
dellAsia centrale dagli occhi azzurri, facce scure dalle sembianze cinesi spuntavano
dai turbanti avvolti rozzamente e dalle "shalwar kameez" della misura sbagliata.
Portavano a tracolla cartucciere e kalashnikov. Ad esclusione di un solo afghano, che
stava svolgendo le mansioni di interprete e guida, nemmeno uno dei trenta stranieri
parlava pashtu, dari, o almeno urdu. Nellattesa che il confine fosse aperto,
cominciammo a parlare. Il gruppo era composto da moros filippini, uzbechi dellAsia
centrale sovietica, arabi provenienti da Algeria, Egitto, Arabia Saudita e Kuwait, e
uiguri dal Xinjiang, in Cina. La scorta era un membro dellHizb-i-Islami di Gulbuddin
Hekmatyar. Provenivano da un campo di addestramento vicino al confine e per il fine
settimana andavano a Peshawar a ritirare la posta proveniente da casa, a cambiarsi gli
abiti e a mangiare del buon cibo. Erano venuti per combattere la jihad insieme ai
mujaheddin e a imparare ad usare le armi, a fabbricare bombe e a apprendere tattiche
militari in modo da poter portare la jihad a casa loro, quando sarebbero ritornati.
Quella sera stessa il primo ministro
Benazir Bhutto aveva organizzato una cena per i giornalisti ad Islamabad. Tra gli ospiti
cera il sottotenente generale Hamid Gul, il capo dellIsi (servizi segreti
pakistani) ed il più fervente ideologo islamico nellesercito dopo la morte di Zia.
Il generale Gul era in giubilo per la ritirata sovietica. Gli chiesi se non stesse
giocando col fuoco invitando radicali musulmani provenienti dai paesi islamici, che erano
solo apparentemente alleati del Pakistan. Questi radicali non avrebbero creato problemi
nei loro paesi originari, mettendo in pericolo la politica estera pakistana? "Stiamo
combattendo un jihad e questa è la prima brigata internazionale islamica nellera
moderna. I comunisti hanno le loro brigate internazionali, lOccidente ha la Nato,
perché i musulmani non possono unirsi e formare un fronte comune?", rispose il
generale. Questa fu la prima e unica giustificazione che mi sia mai stata data sul motivo
per cui erano stati chiamati gli afghani-arabi, nonostante nessuno di essi fosse afghano e
molti non fossero arabi. Tre anni prima, nel 1986, il capo della Cia William Casey aveva
intensificato la guerra contro lUnione Sovietica prendendo tre misure significative,
allora anche estremamente segrete. Aveva convinto il Congresso degli Stati Uniti a
rifornire i mujaheddin con missili Stinger, fabbricati in America, per abbattere aerei
sovietici, e a preparare i "consiglieri" statunitensi ad addestrare la
guerriglia. Fino a quel momento nessun armamento di fabbricazione statunitense, nessun
militare americano era stato impiegato direttamente nella guerra. La Cia, il britannico
Mi6 e lIsi si accordarono anche su un piano di provocazioni per lanciare gli
attacchi della guerriglia fino allinterno delle repubbliche sovietiche del
Tagikistan e dellUzbekistan, il ventre molle musulmano dello Stato sovietico, dal
quale le truppe sovietiche in Afghanistan ricevevano i loro rifornimenti. Il compito fu
affidato al leader mujaheddin Gulbuddin Hekmatyar. Nel marzo del 1987, piccole unità
attraversarono il fiume Amudarja, provenienti da basi situate nellAfghanistan
settentrionale, e lanciarono il loro primo attacco missilistico contro villaggi in
Tagikistan. Casey fu molto felice e soddisfatto per le notizie e, nella sua successiva
visita segreta in Pakistan, attraversò il confine ed entrò in Afghanistan insieme al
presidente Zia per passare in rassegna i gruppi di mujaheddin. In terzo luogo, Casey
impegnò la Cia a sostenere una iniziativa dellIsi che sarebbe dovuta durare a lungo
per reclutare radicali musulmani da tutto il mondo affinché venissero in Pakistan e
combattessero con i mujaheddin afghani. Il presidente Zia, desideroso di cementare
lunità islamica, trasformò il Pakistan nel paese guida del mondo musulmano e
promosse unopposizione islamica in Asia centrale. Washington voleva dimostrare che
lintero mondo musulmano stava combattendo contro lUnione Sovietica a fianco
degli afghani e dei loro benefattori americani. E i sauditi videro unopportunità
per promuovere il wahabismo e liberarsi dei radicali. Nessuno considerò il fatto che
questi volontari avessero dei loro obiettivi, e che avrebbero eventualmente rivolto
lodio nei confronti dei sovietici verso i loro stessi regimi o verso gli americani.
Fra queste migliaia di
reclute straniere cera un giovane studente saudita, Osama bin Laden, il figlio del
magnate delle costruzioni yemenita Muhammad bin Laden, che era un intimo amico del
precedente re Faisal, e la cui azienda era divenuta favolosamente ricca con i contratti
per rinnovare ed espandere la moschee sacre della Mecca e di Medina. LIsi desiderava
da molto tempo che il principe Turki bin Faisal, capo del Istakhbarat, il servizio segreto
saudita, fornisse un principe di sangue reale per guidare il contingente saudita e
mostrare ai musulmani limpegno della famiglia reale nella jihad. Infatti, solo i
sauditi più poveri, studenti, autisti di taxi, e giovani delle tribù beduine, erano
arrivati al punto di combattere. Ma nessun viziato principe era pronto nemmeno ad
immaginarsi di combattere tra le montagne afghane. Bin Laden, benché non di sangue reale,
era sufficientemente vicino ai reali e di certo abbastanza ricco per guidare il
contingente saudita. Bin Laden, il principe Turki e il generale Gul sarebbero diventati
sicuri amici ed alleati nella causa comune. Il punto di riferimento per gli afghani-arabi
erano gli uffici della Lega mondiale musulmana e dei Fratelli musulmani a Peshawar,
gestiti da Abdullah Azam, un palestinese giordano che bin Laden aveva incontrato per la
prima volta alluniversità di Gidda e che riveriva come un suo capo. Azam e i suoi
due figli morirono in un attentato a Peshawar nel 1989. Durante gli anni Ottanta Azam
aveva stretto forti legami con Hekmatyar e Abdul Rasul Sayyaf, lo studioso dellislam
afghano che i sauditi avevano inviato a Peshawar per diffondere il wahabismo. Fondi
sauditi arrivavano ad Azam e al Makhtab al Khidmat o al centro di servizio che egli aveva
creato nel 1984 in favore di nuovi reclutamenti e per ricevere donazioni da organizzazioni
di beneficenza islamiche.
Finanziamenti dai servizi
segreti sauditi, dalla Mezzaluna rossa saudita, dalla Lega mondiale musulmana, e donazioni
di privati elargite da principi sauditi e dalle moschee erano convogliati attraverso il
Makhtab. Un decennio più tardi il Makhtab sarebbe emerso al centro di una rete di
organizzazioni radicali che aiutarono a portare a termine lattentato al World Trade
Center e gli attentati alle ambasciate americane in Africa nel 1998. Izialmente Bin Laden
si diresse a Peshawar nel 1980, e vi incontrò i leader mujaheddin, ritornando
frequentemente con donazioni saudite per la causa fino al 1982, quando decise di
stabilirsi a Peshawar. Prese dalla sua società di ingegneria e costruzioni pesanti
lequipaggiamento necessario per costruire strade e depositi per i mujaheddin. Nel
1986, collaborò alla costruzione del complesso del tunnel di Khost, che la Cia finanziò
come grande deposito di armi, fornendo assistenza e un centro medico, nelle viscere di una
montagna al confine col Pakistan. Per la prima volta egli fondò personalmente un campo di
addestramento a Khost per afghani-arabi, che da allora in modo crescente guardarono a
questo saudita dinoccolato, ricco e carismatico come al loro capo. Nellagosto 1996
proclamò la sua prima jihad contro gli americani, i quali, disse, stavano occupando
lArabia Saudita: "I muri delloppressione e dellumiliazione non
possono essere demoliti se non con una pioggia di proiettili". Stringendo amicizia
con il mullah Omar, nel 1997 bin Laden partì per Kandahar ed entrò sotto la protezione
dei taleban. Allinizio del 1997 la Cia formò una squadra che giunse a Peshawar per
tentare di rapire bin Laden e portarlo fuori dallAfghanistan. Gli americani
reclutarono afghani e pakistani perché li aiutassero, ma poi loperazione fu
sospesa. Lattività statunitense a Peshawar spinse bin Laden a spostarsi verso il
più sicuro confine di Kandahar. Il 23 febbraio 1998, in un incontro al nuovo campo di
Kandahar, tutti i gruppi associati ad al-Qaeda sottoscrissero un manifesto sotto
legida del Fronte internazionale islamico per la jihad contro gli ebrei e i
crociati. Il manifesto sentenziava: "Per più di sette anni gli Stati Uniti hanno
occupato le terre dellIslam nei suoi luoghi più sacri, la penisola arabica,
depredando le sue ricchezze, dettando le proprie regole, umiliando il suo popolo,
terrorizzando i vicini, e trasformando le basi americane nella penisola
nellavanguardia con cui combattere i vicini popoli musulmani". Fu proclamata
una fatwa: "Lordine di uccidere gli americani e i loro alleati - civili e
militari - è un obbligo individuale per ogni singolo musulmano che possa compiere una
simile azione, in qualsiasi paese sia possibile farlo". In quel momento bin Laden
aveva ideato una politica che non era solo rivolta alla famiglia reale saudita o agli
americani, ma esigeva la liberazione di tutto il Medio Oriente musulmano. Bin Laden si è
sempre sentito insicuro allinterno della struttura dellIslam. Egli infatti non
è né uno studioso dellIslam né un docente e dunque non potrebbe promulgare fatwa
conformemente alle scritture. Eppure lo fa. NellOccidente il suo "Morte
allAmerica" suona come una fatwa, benché gli occidentali non diano peso morale
al mondo musulmano. Gli afghani-arabi che lo hanno conosciuto durante la jihad dicono che
egli non è né un intellettuale né una persona che sa bene cosa debba essere fatto nel
mondo musulmano. In tal senso, egli non è nemmeno un Lenin della rivoluzione islamica,
né un ideologo internazionalista della rivoluzione islamica come fu Che Guevara per la
rivoluzione nel Terzo Mondo. I primi compagni di Bin Laden lo descrivono come una
personalità profondamente impressionabile, sempre in cerca di qualche mentore - uomini
che sapevano molto di più dellIslam e del mondo moderno di quanto non sapesse lui.
Alla lunga lista dei mentori della sua giovinezza si aggiunsero più tardi il dottor Ayman
al-Zawahiri, capo della jihad islamica bandita dallEgitto, e i due figli dello
sceicco Omar Abdel Rehman, il predicatore cieco egiziano oggi in una prigione americana,
condannato a scontare una pena per lattentato al World Trade Center e che aveva
diretto il gruppo fuori legge di El Gamaa Islammiyya in Egitto. Bin Laden si accattivò
ulteriormente i favori dei capi taleban inviando, nel 1997 e nel 1998, diverse centinaia
di afghani-arabi a partecipare alloffensiva taleban nel Nord del paese. Questi
guerriglieri wahabiti aiutarono i taleban a eseguire i massacri degli sciiti hazara, nel
Nord. Diverse centinaia di afghani-arabi, facenti capo al distaccamento di Rishkor, fuori
Kabul, combatterono sul fronte di Kabul contro Massud. Sempre più la visione del mondo di
Bin Laden doveva dominare il pensiero anche dei leader anziani taleban. A questo scopo
servirono anche le conversazioni notturne tra Bin Laden e i capi taleban. Prima del suo
arrivo la leadership taleban non era stata particolarmente avversa agli Stati Uniti o
allOccidente, ma richiedeva da tempo il riconoscimento del proprio governo.
Tuttavia, dopo gli attentati in Africa, i taleban diventarono sempre più ostili nei
confronti degli americani, delle Nazioni Unite, dellArabia Saudita e dei regimi
musulmani. Le loro dichiarazioni riflettevano il tono di sfida proprio di Bin Laden, e non
era una caratteristica originaria taleban. Quando la pressione statunitense sui taleban si
intensificò, per convincerli a espellere Bin Laden, dissero che era un ospite ed era
contro la tradizione afghana espellere gli ospiti Quando fu chiaro che Washington stava
organizzando un altro attacco militare contro bin Laden, i taleban provarono ad aprire una
trattativa con lAmerica: gli avrebbero fatto lasciare il paese in cambio del
riconoscimento statunitense del loro governo. Così, fino allinverno del 1998, i
taleban guardarono a bin Laden come a un bene strumentale, un mezzo per contrattare
attraverso il quale avrebbero potuto negoziare con gli americani. Il Dipartimento di Stato
americano aprì un collegamento satellitare per comunicare telefonicamente col mullah Omar
in via diretta. I funzionari dellufficio per lAfghanistan, aiutati da un
interprete pashtu, intrattenevano con Omar lunghe conversazioni in cui entrambe le parti
consideravano varie opzioni, senza risultato. A partire dai primi mesi del 1999 parve
chiaro ai taleban che non era possibile nessun compromesso con gli Stati Uniti. Sicché
cominciarono a guardare a bin Laden come ad un inconveniente. Un ultimatum americano ai
taleban perché consegnassero Bin Laden, nel febbraio 1999, o avrebbero affrontato le
conseguenze del loro rifiuto, spinse i taleban a farlo scomparire prudentemente da
Kandahar. Lo spostamento fece guadagnare tempo ai taleban, ma il problema era ancora
lontano dallessere risolto. Gli afghani-arabi erano arrivati al limite del percorso.
Partendo come mero complemento alla jihad afghana durante la guerra fredda e negli anni
Ottanta, erano diventati il principale punto di riferimento per gli afghani, i paesi
confinanti e lOccidente negli anni Novanta. Gli Stati Uniti stavano ormai pagando il
prezzo per aver ignorato lAfghanistan tra il 1992 e il 1996, mentre i taleban
garantivano il sancta sanctorum per i movimenti islamici più fondamentalisti e ostili che
il mondo si trovava di fronte nellera post-guerra fredda.
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