"LE ARMI sono
necessarie ma non bastano, se ci limitiamo a fare la guerra creeremo altri terroristi. La
nostra risposta dovrà essere estremamente sofisticata e dovrà coinvolgere la cultura e
la formazione in tutto il pianeta. Spero che usciamo da questa crisi anche creando una
organizzazione mondiale della cultura". Il Jeremy Rifkin che chiamiamo in causa da
Washington è lo spirito visionario dellEra dellaccesso, lautore che
descrive a colori forti un mondo senza confini dove le tecnologie consentono al
consumatore di godere istantaneamente di tutti i beni accessibili attraverso il Web. Ma la
Age of Access vuol dire molte cose: non più proprietà di oggetti fisici ma leasing, non
più acquisto di cose ma di esperienze. E accesso vuol dire telecomunicazioni, internet,
ma anche mobilità e viaggi. Questo mondo dellaccesso non ha preso, anche lui, un colpo che può
cambiarlo?
Sì, certo. E infatti il terrorismo fondamentalista ha scelto il
bersaglio della globalizzazione, perché questa è un processo che sempre di più mette in
collegamento tutti con tutti. Quello che vogliono colpire è proprio il venir meno dei
confini geografici, politici, culturali e sociali, il contesto nel quale i grandi network
planetari bypassano le culture.
Che cosa vuol dire, che il mercato passa sopra alle differenze?
Che le usa e ne fa una merce. La leggendaria era dellaccesso
altro non è che questo: stiamo spostando il commercio primario dalla produzione
industriale a quella culturale. I nuovi protagonisti del Ventunesimo secolo sono le
compagnie del "contatto", dove "contatto" è un eufemismo che sta
fondamentalmente a indicare che si prende la cultura, lesperienza culturale e la si
trasforma in esperienza commerciale. Sto parlando di Aol, Time-Warner, Sony, Disney,
Universal e soci: migliaia di anni di diversità culturali la storia delluomo
in tutti i suoi aspetti viene confezionata sotto forma di logo, marca, idee,
concetti. Storie da cui trarre un profitto. Il World Trade Center era il simbolo di tutto
questo, così appariva agli occhi dei terroristi.
Spiegando la loro logica non finiamo per giustificarli?
No, i terroristi sono così profondamente patologici, così
profondamente disturbati che non sempre cè modo di capire perché scelgono
determinati bersagli. Ma detto questo, sappiamo anche che il segmento più gravemente
patologico del movimento islamico una piccolissima parte dellIslam è
motivato dalla reazione contro la globalizzazione, combatte una versione della modernità
e il modo in cui la cultura è diventata un prodotto.
Che altro cè da capire per uscire da questa situazione?
Che abbiamo alle spalle un lungo accumulo di tensione che in
talune sette islamiche è diventato esplosivo. Cè voluto parecchio perché si
arrivasse allesplosione, ma essa non è il frutto soltanto degli ultimi anni
delleconomia dellaccesso. Cè unintera storia,
cinquanta-sessantanni di interessi petroliferi nel Medio Oriente, di politiche
neo-coloniali da parte delle potenze europee e americana, ci sono classi dirigenti locali
che hanno fatto i propri interessi a spese dei valori tradizionali, gli ultimi dieci anni
di conflitto israelo-palestinese.
Ma dallepoca dellaccesso non si rischia di tornare
indietro?
Ma come si fa a ristabilire dei confini? Voglio dire, con la CNN,
con la tv satellitare? La cultura di tutto il mondo è a portata di chiunque in tutto il
mondo. Esiste invece una paura reale che le identità locali vadano perdute, una paura
legittima, perché è innegabile che il processo di globalizzazione abbia emarginato e
danneggiato un gran numero di persone in tutto il mondo in termini di povertà e di
identità culturale.
È una tesi controversa, che fa valere le ragioni dei
fondamentalisti.
Lasciamo da parte gli estremisti, credo sia giusto che si
intraprenda un dibattito spirituale, una riflessione profonda sul lato oscuro della
globalizzazione. Se non lo affrontiamo, gli estremisti avranno una base sempre più ampia.
E dove porta questa discussione?
A capire che per controbilanciare il cammino verso la
globalizzazione, ci serve un antidoto che faccia rinascere la comunità, le identità
culturali, la sobrietà economica. Se non ci riusciamo, saremo tutti sconfitti.
È daccordo con chi chiede lo sviluppo di strumenti di
democrazia internazionale?
Sì, ma aggiungerei che la democrazia nasce da una cultura, nasce
da valori condivisi, quindi quel che dobbiamo fare è rafforzare le comunità, educare
alla responsabilità collettiva e alla partecipazione democratica. Non si può imporre
dallalto la democrazia: le lezioni di democrazia funzionano se impartite a livello
della comunità. È la società civile lorganismo responsabile delleducazione
dei nostri figli e ciò significa che la cultura è il settore decisivo.
Dal terrorismo alleducazione civica, non è un passo troppo
lungo?
No, perché la cultura è una forza potente in favore della
democrazia. E indispensabile ripensare leducazione, dobbiamo far sì che per
ogni momento che i ragazzi trascorrono davanti allo schermo del computer scaricando
informazioni che provengono dalleconomia dellaccesso, abbiano altrettanti
momenti di educazione civica nella comunità. Che imparino che la prima missione della
scuola non è trasmettere abilità spendibili sul
mercato, ma insegnare che ogni persona ha delle responsabilità
nei confronti degli altri esseri umani.
Educazione, ma il terrorismo ha bisogna anche di risposte
militari.
Sono tra coloro che considerano lattentato al World Trade
Center e al Pentagono non come un atto di guerra ma come un crimine contro
lumanità, secondo la definizione che ne danno le Nazioni Unite. Per poter reagire
dobbiamo capire che cosè un crimine contro lumanità.
Ma una risposta a questi crimini
è necessaria.
La nostra risposta dovrà essere estremamente sofisticata. Non
serve una reazione indiscriminata, non stiamo parlando di ritorsione, stiamo parlando di
giustizia. Dobbiamo essere molto fermi, severi, aumentare i controlli e, se necessario,
anche intraprendere azioni militari: ma soltanto se possiamo contare sullimpegno
comune degli altri paesi del mondo, e dobbiamo essere certi che la nostra reazione sia
volta ad assicurare queste persone alla giustizia. Tutta la sorveglianza, tutti i
controlli militari del mondo non saranno sufficienti a risolvere il problema.
E qual è la soluzione a lungo termine?
Dobbiamo discutere in tutto il mondo su come la famiglia umana sia
riuscita a creare un mondo in cui cè una così colossale separazione tra quelli che
hanno tutto e quelli che non hanno nulla, tra quelli che sono connessi e quelli che sono
disconnessi.
Questa crisi influirà sulla mentalità americana?
Voglio citare liscrizione sulla Statua della Libertà dice:
"Dammi le tue stanche, povere, accalcate moltitudini, che agognano di respirare
liberamente
, manda a me i senza casa, sballottati dalla tempesta: io alzo la mia
lampada accanto alla porta d'oro". Noi americani siamo sempre stati orgogliosi di
essere un paese aperto a nuove idee, aperto a nuove culture. Ora temo che possiamo
diventare troppo spaventati e paranoici e che sposiamo una nuova e pericolosa visione,
quella della destra fascista. Può accadere anche in Europa. Quindi è indispensabile
trovare un equilibrio tra il mondo senza frontiere dellera dellaccesso, e il
mondo chiuso dai confini della cultura e della politica.
E le conseguenze economiche? Avremo una recessione?
Temo che le conseguenze economiche saranno più gravi di quel che
si pensa, perché stavamo già andando verso una grave recessione a livello mondiale. Il
problema principale riguarda i consumatori americani, che negli ultimi nove anni hanno
tenuto a galla leconomia globale con le loro carte di credito comprando ogni genere
di cosa e indebitandosi. La crescita è avvenuta a prezzo di un enorme debito commerciale,
senza precedenti debiti dei consumatori, debiti delle imprese. Nel 1992 la
percentuale del risparmio sul reddito di una famiglia media era dell8 per cento,
oggi il bilancio è in rosso. Negli ultimi 20 mesi gli americani hanno speso più di
quanto guadagnavano.
E poi è arrivato lo scossone.
E adesso gli americani non comprano più, sono nervosi, non fanno
shopping, non viaggiano, non vanno al ristorante, non frequentano gli spettacoli,
aspettano, in una mentalità da assedio, per proteggersi, e così diventiamo meno aperti,
nel settore del consumo, esattamente come diventiamo meno aperti in campo politico e
culturale.
E che risposte politiche suggerisce?
E evidente che prima di tutto la gente deve essere e
sentirsi protetta dal terrorismo, ma potremmo anche incominciare a pensare seriamente alle
infrastrutture per la produzione di energie alternative, per non dipendere del tutto dal
petrolio; potremmo iniziare a spendere i proventi delle tasse per ricostruire una economia
di energia rinnovabile, per creare milioni di posti di lavoro, per rimettere in moto il
commercio.
Anche la guerra può stimolare leconomia con le commesse
militari?
No leconomia non rinascerà come conseguenza
dellimpegno militare, perché la nuova guerra non comporterà grandi necessità di
merci. Potremmo però utilizzare questa crisi per indurre i governi di tutti i paesi a
costruire nuove infrastrutture per lambiente, per lenergia, per
leconomia: questo sì, è fattibile.
Ritorno di spesa pubblica, ritorno di una forte politica sulla
scena?
Penso soprattutto alla risposta culturale: in ogni comunità si
dovrebbe discutere come arrivare a una accettazione politica tollerante delle diversità
culturali, e come inziare a dialogare. Non mi piacciono, certo, alcune idee del
fondamentalismo islamico, a cominciare dal trattamento delle donne, ma dobbiamo comunque
cercare di aprire canali di comunicazione. Il motivo per cui in tutto il mondo cè
questa reazione contro la globalizzazione, dalla protesta pacifilca alla risposta estrema
e patologica degli assassini, è che non abbiamo saputo creare un dialogo culturale su
come affrontare la globalizzazione.
Come organizzare un dialogo su scala mondiale?
Dobbiamo creare una organizzazione culturale mondiale, della
stessa portata del Wto e dellOnu, una sede dove tutte le culture del mondo possano
scambiarsi idee, affrontare le differenze, imparare a convivere ciascuna con le altre. Il
mondo è lo stesso per tutti ma possiamo viverlo con storie diverse. |