AFGHANISTAN: UN LIBRO AIUTA A CHIARIRE IL MISTERO DEI TALEBANI

di Federico Tagliaferri

      Non erano molti i libri a disposizione del lettore italiano che prima degli attentati dell’11 settembre volesse documentarsi con serietà sulla storia recente dell’Afghanistan, con particolare attenzione al misterioso fenomeno degli studenti-guerrieri, i talebani. Ora invece, con l’impulso che l’editoria italiana ha dato alla saggistica sul mondo arabo-islamico, è a disposizione del lettore la traduzione del libro di Ahmed Rashid "Talebani. Islam, petrolio e il Grande scontro in Asia centrale", considerato a ragione ormai un classico sull’argomento, e diventato già un best seller in molti paesi del mondo. L’unico buon libro pubblicato di recente in italiano su quel paese e le sue vicende era fino a poco fa Afghanistan anno zero di Giulietto Chiesa e Vauro (ed. Guerini e associati, Milano 2001, pp. 172), che però ha il duplice limite di essere una raccolta di articoli, alcuni dei quali di taglio giornalistico o semplici reportage, e di essere stato "licenziato" per la stampa il 4 settembre 2001, pochi giorni prima degli attentati. Si tratta di un libro per molti versi premonitore, ma che ovviamente non è aggiornato.

      L’autore di "Talebani. Islam, petrolio e il Grande scontro in Asia centrale" è un giornalista pakistano, corrispondente dal Pakistan, dai paesi dell’Asia Centrale e dall’Afghanistan per il quotidiano britannico Daily Telegraph e per il settimanale Far Eastern Economic Review di Hong Kong, oltre che collaboratore della Bbc, della Cnn e di altri media internazionali. Nella prefazione dichiara di aver impiegato 21 anni a scriverlo, cioè da quando cominciò a "coprire" l’Afghanistan come reporter nel 1978. Un compito che l’ha assorbito totalmente per oltre due decenni, risucchiandolo in un vortice di guerre, incontri, interviste e perfino interrogatori da parte della polizia segreta afghana, per non parlare della condanna a morte da parte di Gulbuddin Hekmatyar, il leader radicale islamico che lo accusava di essere un simpatizzante comunista. Ma, come sottolinea Rashid, "il paese e la popolazione afghana sono tra le più straordinarie del mondo", ed inoltre hanno subìto alcune delle più grandi tragedie del ventesimo secolo, tra le quali la più lunga guerra civile della nostra era. Due motivi più che sufficienti per dedicarvi una vita di impegno professionale, di ricerche, di studio, di viaggi, accettandone i rischi, ma anche fronteggiando le critiche e le proteste che un giornalista onesto e scrupoloso riceve. Ed egli ne ha ricevute tante, soprattutto dalle autorità pakistane, il cui ruolo e il cui appoggio nella vicenda della nascita e della successiva affermazione dei talebani Rashid denuncia senza timidezze. Ma con questo libro egli dimostra di essere molto di più di un buon giornalista, ricostruendo con metodo e in profondità la storia recente dell’Afghanistan, grazie all’esperienza e alla documentazione accumulata, ma anche alla sua capacità di analisi dei fatti e di lettura dei problemi.

     Rashid ha diviso il libro in tre parti. Nella prima, dedicata alla storia del movimento dei talebani, egli descrive la loro nascita nei campi profughi del Pakistan, i loro primi successi militari, il ruolo da loro giocato nell’apertura di cruciali vie di comunicazione in un paese in cui i commerci (o meglio il contrabbando) erano bloccati, il traffico di droga, il costante sostegno ricevuto dai servizi segreti pakistani, la progressiva conquista di quasi tutto il territorio afghano. Nella seconda parte Rashid esamina a fondo il rapporto tra i talebani e l’islam, e qui si leggono pagine di straordinario interesse, perché egli indaga l’origine ideologica e religiosa del movimento dei talebani, una circostanza su cui nessun altro studioso si è interrogato. Rashid si dice convinto che le origini ideologiche dei talebani vadano rintracciate tra i deobandi, un movimento progressista nato nell’India britannica alla metà del diciannovesimo secolo con l’intento di riunire i musulmani e di riformarne le istituzioni all’interno di un paese dominato da una potenza coloniale. Il nome deobandi deriva dalla città di Deoband, situata vicino a Nuova Dehli, dove fu aperta la loro prima madrasa (scuola coranica). Per comprendere l’origine di questo movimento è necessario ricordare che i musulmani del subcontinente indiano erano stati duramente sconfitti dagli inglesi nel grande ammutinamento del 1857, ed erano alla ricerca di una rinascita religiosa e filosofica. I deobandi erano una di queste correnti, che vedevano nell’istruzione l’unico metodo per recuperare terreno nei confronti della potenza dominante. I deobandi si proponevano di istruire una nuova generazione di musulmani che facesse rinascere i valori islamici basati sull’apprendimento, sulla spiritualità, sulla sharia (legge islamica) e sulla tariqa (esperienza mistica). Essi riservavano alle donne un ruolo limitato nella società, erano contrari ad ogni gerarchia nella comunità islamica e si opponevano alla minoranza shiita. Quasi un secolo dopo, con la creazione del Pakistan, nel 1947, i deobandi, che ormai disponevano di migliaia di scuole coraniche, hanno costituito un’organizzazione religiosa che in seguito si è trasformata in un partito politico, diffuso anche nei campi profughi afghani. Sarebbero state proprio le convinzioni dei deobandi la principale influenza ideologica e religiosa che ha agito sui talebani, che però hanno portato queste posizioni ad estremi e conseguenze impensabili, giungendo a stravolgerne l’originario significato. Questa, naturalmente, non è l’unica spiegazione del loro comportamento oscurantista e retrogrado, cui hanno contribuito motivazioni sociali, tribali e strumentalizzazioni politiche. In particolare, Rashid insiste sul fatto che non tutto in Afghanistan può essere spiegato con l’islam e con la sua influenza sulla società, o meglio, che l’islam è spesso frammisto ad altri fattori. Uno degli elementi che hanno concorso a determinare la disastrosa situazione di vaste zone del paese, situazione per molti versi preesistente all’arrivo dei talebani, è il pashtunwali, il codice tribale dell’etnia pashtun, che regola il funzionamento della jirga (assemblea dei capi tribali) in materie come la proprietà e l’uso della terra, le questioni relative alle donne, la punizione degli omicidi. La linea che separa il pashtunwali e la sharia (legge islamica) è sempre stata incerta, e molte delle pene applicate dai talebani (che hanno giustamente sconvolto l’opinione pubblica occidentale negli anni in cui sono stati al potere) sono prese dal pashtunwali e non dalla sharia. Uno dei veri punti di rottura conseguenti alle azioni dei talebani è stata l’imposizione del pashtunwali agli altri gruppi etnici dell’Afghanistan, una decisione che ha ulteriormente aggravato le divisioni e i contrasti etnici. Queste considerazioni, e molte altre ancora analizzate da Rashid, ci fanno capire la complessità e la varietà degli elementi che hanno giocato nella crisi afghana.

     La terza parte del libro descrive il nuovo "grande gioco" (Great Game in inglese) degli stati confinanti con l’Afghanistan, e non solo, per la realizzazione di oleodotti attraverso il paese, una lotta conclusa per ora con un nulla di fatto. L’espressione richiama la rivalità che nell’Ottocento ha contrapposto Gran Bretagna e Russia per il predominio dell’area, e che nello scorso decennio si è rinnovata tra il Pakistan, l’Iran, la Russia, la Turchia, gli Stati Uniti e le repubbliche islamiche ex-sovietiche, tutti stati per i quali il territorio afghano ha sempre suscitato grandi interessi geopolitici. Il libro è completato da cartine, tabelle, cronologie, note e un’ampia bibliografia.

     Rashid ci offre con Talebani un quadro accurato dal punto di vista storico, politico e religioso delle vicende recenti dell’Afghanistan, con molte linee di pensiero profonde e innovative nella spiegazione dei fenomeni. E’ un testo da cui non può prescindere chiunque sia interessato a farsi un’idea non superficiale su un argomento che ha fatto scorrere fiumi d’inchiostro, ma su cui pochi libri validi sono stati pubblicati.

Ahmed Rashid, Talebani. Islam, petrolio e il Grande scontro in Asia centrale, Feltrinelli, Milano 2001, pp.312, euro 16.50