É bene tener presente l'importanza delle riserve di gas e di petrolio
presenti in Asia centrale e il ruolo che queste giocano nel
determinare la politica Usa. Vorrei concentrarmi su tre questioni.
Primo, la necessità di numerose vie di transito in cui far passare
gli oleodotti e i gasdotti per le riserve di petrolio e di gas
presenti dell'Asia centrale. Secondo, la necessità che l'America
sostenga gli sforzi regionali e internazionali tesi a soluzioni
politiche equilibrate e durature dei conflitti nella regione, compreso
l'Afghanistan. Terzo, il bisogno di assistenza strutturata per
incoraggiare le riforme economiche e lo sviluppo nella regione di un
clima appropriato per gli investimenti. A questo proposito, noi
sosteniamo in modo specifico l'annullamento o la rimozione della
sezione 907 del Freedom Support Act.
La regione del Caspio contiene enormi riserve di idrocarburi intatte.
Solo per dare un'idea delle proporzioni, le riserve di gas naturale
accertate equivalgono a oltre 236mila miliardi di piedi cubici. Le
riserve petrolifere totali della regione potrebbero ammontare a oltre
60 miliardi di barili di petrolio. Alcune stime arrivano fino a 200
miliardi di barili. Nel 1995 la regione produceva solo 870.000 barili
al giorno. Entro il 2010 le compagnie occidentali potrebbero aumentare
la produzione fino a circa 4,5 milioni di barili al giorno, un aumento
di oltre il 500% in soli 15 anni. Se questo dovesse accadere, la
regione rappresenterebbe circa il 5% della produzione totale di
petrolio al mondo.
C'è tuttavia un grosso problema da risolvere: come portare le vaste
risorse energetiche della regione ai mercati che ne hanno bisogno.
L'Asia centrale è isolata. Le sue risorse naturali sono sbarrate, sia
geograficamente che politicamente. Ciascuno dei paesi del Caucaso e
dell'Asia centrale vive difficili sfide politiche. Alcuni paesi hanno
guerre irrisolte e conflitti latenti. Altri hanno sistemi in via di
trasformazione in cui le leggi e anche i tribunali sono dinamici e
mutevoli. Inoltre, un importante ostacolo tecnico che noi
dell'industria petrolifera riscontriamo nel trasporto del greggio è
l'infrastruttura esistente nella regione per quanto riguarda gli
oleodotti.
Essendo stati costruiti durante l'era sovietica, con Mosca come suo
centro, gli oleodotti della regione tendono a dirigersi a nord e a
ovest verso la Russia. Non ci sono collegamenti verso il sud e l'est.
Ma attualmente è improbabile che la Russia possa assorbire altri
grossi quantitativi di petrolio straniero. Improbabile che nel
prossimo decennio essa possa diventare un mercato significativo in
grado di assorbire nuove riserve energetiche. Le manca la capacità di
trasportarle ad altri mercati.
Due grossi progetti infrastrutturali stanno cercando di rispondere al
bisogno di una maggiore capacità di export. Il primo, sotto l'egida
del Caspian Pipeline Consortium, prevede la costruzione di un
oleodotto a ovest del Caspio settentrionale fino al porto russo di
Novorossiysk nel Mar Nero. Il petrolio viaggerebbe poi con le
petroliere attraverso il Bosforo fino al Mediterraneo e ai mercati
mondiali.
L'altro progetto è sponsorizzato dall'Azerbaijan International
Operating Company, un consorzio di undici compagnie petrolifere
straniere tra cui quattro compagnie americane: Unocal, Amoco, Exxon e
Pennzoil. Questo consorzio considera possibili due vie di transito.
Una di esse si dirigerebbe a nord e attraverserebbe il Caucaso
settentrionale fino a Novorossiysk. L'altra attraverserebbe la Georgia
fino a un terminale di spedizione sul Mar Nero. Questa seconda via
potrebbe essere estesa a ovest e a sud attraverso la Turchia fino al
porto di Ceyhan sul Mediterraneo.
Ma anche se entrambi gli oleodotti fossero costruiti, la loro
capacità totale non sarebbe sufficiente a trasportare tutto il
petrolio che, si pensa, la regione produrrà nel futuro. Essi non
avrebbero nemmeno la capacità di arrivare ai mercati giusti. Bisogna
costruire altri oleodotti per l'export.
Noi dell'Unocal riteniamo che il fattore centrale nella progettazione
di questi oleodotti dovrebbe essere la posizione dei futuri mercati
energetici che verosimilmente assorbiranno questa nuova produzione.
L'Europa occidentale, l'Europa centrale e orientale e gli stati ora
indipendenti dell'ex Unione sovietica sono tutti mercati a crescita
lenta, in cui la domanda crescerà solo dallo 0,5% all'1,2% all'anno
nel periodo 1995-2010.
L'Asia è tutto un altro discorso. Il suo bisogno di consumo
energetico crescerà rapidamente. Prima della recente turbolenza nelle
economie dell'Asia orientale, noi dell'Unocal avevamo previsto che la
domanda di petrolio in questa regione si sarebbe quasi raddoppiata
entro il 2010. Sebbene l'aumento a breve termine della domanda
probabilmente non rispetterà queste previsioni, noi riteniamo valide
le nostre stime a lungo termine.
Devo osservare che è nell'interesse di tutti che vi siano forniture
adeguate per le crescenti richieste energetiche dell'Asia. Se i
bisogni energetici dell'Asia non saranno soddisfatti, essi opereranno
una pressione su tutti i mercati mondiali, facendo salire i prezzi
dappertutto.
La questione chiave è dunque come le risorse energetiche dell'Asia
centrale possano essere rese disponibili per i vicini mercati
asiatici. Ci sono due soluzioni possibili, con parecchie varianti.
Un'opzione è dirigersi a est attraversando la Cina, ma questo
significherebbe costruire un oleodotto di oltre 3.000 chilometri solo
per raggiungere la Cina centrale. Inoltre, servirebbe una bretella di
2.000 chilometri per raggiungere i principali centri abitati lungo la
costa. La questione dunque è quanto costerà trasportare il greggio
attraverso questo oleodotto, e quale sarebbe il netback che
andrebbe ai produttori. Per quelli che non hanno familiarità con la
terminologia, il netback è il prezzo che il produttore riceve
per il suo gas o il suo petrolio alla bocca del pozzo dopo che tutti i
costi di trasporto sono stati dedotti. Perciò è il prezzo che egli
riceve per il petrolio alla bocca del pozzo.
La seconda opzione è costruire un oleodotto diretto a sud, che vada
dall'Asia centrale all'Oceano Indiano. Un itinerario ovvio verso sud
attraverserebbe l'Iran, ma questo è precluso alle compagnie americane
a causa delle sanzioni. L'unico altro itinerario possibile è
attraverso l'Afghanistan, e ha naturalmente anch'esso i suoi rischi.
Il paese è coinvolto in aspri scontri da quasi due decenni, ed è
ancora diviso dalla guerra civile. Fin dall'inizio abbiamo messo in
chiaro che la costruzione dell'oleodotto attraverso l'Afghanistan che
abbiamo proposto non potrà cominciare finché non si sarà insediato
un governo riconosciuto che goda della fiducia dei governi, dei
finanziatori e della nostra compagnia.
Abbiamo lavorato in stretta collaborazione con l'Università del
Nebraska a Omaha allo sviluppo di un programma di formazione per
l'Afghanistan che sarà aperto a uomini e donne, e che opererà in
entrambe le parti del paese, il nord e il sud. La Unocal ha in mente
un oleodotto che diventerebbe parte di un sistema regionale che
raccoglierà il petrolio dagli oleodotti esistenti in Turkmenistan,
Uzbekistan, Kazakhstan e Russia. L'oleodotto lungo 1.040 miglia si
estenderebbe a sud attraverso l'Afghanistan fino a un terminal per
l'export che verrebbe costruito sulla costa del Pakistan. Questo
oleodotto dal diametro di 42 pollici (poco più di un metro, ndt)
avrà una capacità di trasporto di un milione di barili di greggio al
giorno. Il costo stimato del progetto, che è simile per ampiezza
all'oleodotto trans-Alaska, è di circa 2,5 miliardi di dollari.
Data l'abbondanza delle riserve di gas naturale in Asia centrale, il
nostro obiettivo è collegare le risorse di gas con i più vicini
mercati in grado di assorbirle. Questo è basilare per la fattibilità
commerciale di qualunque progetto sul gas. Ma anche questi progetti
presentano difficoltà geopolitiche. La Unocal e la compagnia turca
Koc Holding sono interessate a portare forniture competitive di gas
alla Turchia. Il prospettato gasdotto Eurasia trasporterebbe il gas
dal Turkmenistan direttamente all'altra parte del Mar Caspio
attraverso l'Azerbaijan e la Georgia fino in Turchia. Naturalmente la
demarcazione del Caspio rimane una questione aperta.
Lo scorso ottobre è stato creato il Central Asia Gas Pipeline
Consortium, chiamato CentGas, e in cui la Unocal ha una
cointeressenza, per sviluppare un gasdotto che collegherà il grande
giacimento di gas di Dauletabad in Turkmenistan con i mercati in
Pakistan e forse in India. Il prospettato gasdotto lungo 790 miglia
aprirà nuovi mercati per questo gas, viaggiando dal Turkmenistan
attraverso l'Afghanistan fino a Multan in Pakistan. Il prolungamento
proposto porterebbe il gas fino a New Delhi, dove si collegherebbe a
un gasdotto esistente. Per quanto riguarda il proposto oleodotto in
Asia centrale, CentGas non può cominciare la costruzione finché non
si sarà insediato un governo afghano riconosciuto internazionalmente.
L'Asia centrale e la regione del Caspio è benedetta da riserve
abbondanti di petrolio e gas che possono migliorare la vita dei suoi
abitanti, e fornire energia per la crescita sia all'Europa che
all'Asia. Anche l'impatto di queste risorse sugli interessi
commerciali e sulla politica estera degli Stati Uniti è
significativo. Senza una risoluzione pacifica dei conflitti nella
regione, difficilmente saranno costruiti oleodotti e gasdotti
attraverso le frontiere. Noi chiediamo all'Amministrazione e al
Congresso di sostenere con forza il processo di pace in Afghanistan
condotto dagli Stati Uniti. Il governo Usa dovrebbe usare la sua
influenza per contribuire a trovare delle soluzioni per tutti i
conflitti nella regione.
L'assistenza Usa nello sviluppare queste nuove economie sarà cruciale
per il successo degli affari. Noi incoraggiamo anche forti programmi
di assistenza tecnica in tutta la regione. In particolare, chiediamo
l'annullamento o la rimozione della sezione 907 del Freedom Support
Act. Questa sezione restringe ingiustamente l'assistenza del governo
Usa al governo dell'Azerbaijan e limita l'influenza Usa nella regione.
Sviluppare itinerari per l'export a costi competitivi per le risorse
dell'Asia centrale è un compito formidabile, ma non impossibile. La
Unocal e altre compagnie americane similari sono pienamente preparate
a intraprendere il compito e a riportare ancora una volta l'Asia
centrale al centro dei traffici come era in passato.
Traduzione di Marina Impallomeni
Una cronologia
da il manifesto, 18 ottobre 2001, Manlio Dinucci
Il progetto del "corridoio" energetico
afghano, [...], è uno dei principali motivi della guerra in
Afghanistan. Eccone una ricostruzione cronologica.
Nel luglio 1997, subito dopo la conquista di Kabul (25
settembre 1996), i talebani firmano un memorandum d'intesa con
Pakistan, Turkmenistan e Uzbekistan per la costruzione di un gasdotto
che, attraversando l'Afghanistan, dovrebbe portare fino in Pakistan il
gas naturale del Caspio. Si incomincia anche a progettare un oleodotto
Caspio-Pakistan che, per un ampio tratto, dovrebbe seguire lo stesso
"corridoio" del gasdotto.
Il 27 ottobre 1997: sette compagnie petrolifere e il governo
del Turkmenistan costituiscono il consorzio Central Asia Gas
Pipeline Ltd. (Centgas), che presenta il progetto di un gasdotto
di 1.464 km Turkmenistan-Pakistan via Afghanistan, estendibile per
altri 750 km fino in India. A capo del consorzio è la compagnia
statunitense Unocal. Le altre sono la saudita Delta Oil, la pakistana
Crescent Group, la russa Gazprom, la sudcoreana Hyundai Engineering
Construction Company, le giapponesi Inpex e Itochu. Ecco che il
gasdotto, con una capacità annua di 20 miliardi di metri cubi,
potrebbe essere costruito in 2-3 anni. Vi è però un problema: una
compagnia concorrente, l'argentina Bridas, dichiara il 4 novembre di
essere vicina a un accordo con i talebani afghani per la costruzione
del gasdotto.
E il 25 novembre 1997: il vicepresidente esecutivo della Unocal,
Bob Todor, sottolinea l'importanza strategica del
"corridoio" afghano per raggiungere l'Asia, "il mercato
in più rapida crescita per il gas e petrolio del Caspio". Il
"corridoio" cinese è troppo lungo è costoso (e non gradito
a Washington), quello iraniano è impraticabile per il divieto Usa.
Siamo al 5 dicembre 1997 quando una delegazione ad alto livello
del regime talebano viene invitata negli Stati uniti per colloqui con
la Unocal, che la ospita per diversi giorni nel suo quartier generale
di Sugarland in Texas. Nello stesso periodo la Unocal apre un suo
ufficio di rappresentanza a Kandahar, già base meridionale dei
talebani prima della conquista di Kabul.
E' il gennaio 1998, e i talebani annunciano di aver scelto, per
la realizzazione del gasdotto attraverso l'Afghanistan, il consorzio
con a capo la Unocal, e firmano l'accordo.
Tutto si tiene ancora nel giugno 1998: dopo che la russa
Gazprom ha ceduto la sua quota del 10% nel Centgas, la Unocal e la
Delta Oil acquistano il pieno controllo del consorzio con l'85% del
pacchetto azionario. A questo punto, però, qualcosa si incrina
nell'alleanza Usa-Arabia saudita. Washington non si fida più del
regime talebano, sia per le sue crescenti tendenze anti-Usa, sia
perché lo ritiene inaffidabile per il controllo del decisivo
"corridoio" afghano. L'Arabia saudita, che per anni
(d'accordo con Washigton) ha finanziato i talebani in funzione
anti-russa e anti-iraniana, invece vuole continuare a sostenerli. Il
governo saudita, quello pakistano e gli Emirati arabi sono gli unici
paesi al mondo a riconoscere ufficialmente il governo talebano.
Così, il 20 agosto 1998, gli Usa lanciano il primo attacco
aereo in Afghanistan contro sospette roccaforti del sospetto
terrorista Osama bin Laden.
Naturalmente, il 21 agosto 1998, il giorno dopo l'attacco
aereo, la Unocal annuncia di sospendere la sua attività per la
realizzazione del gasdotto, dichiarando che la riprenderà solo
"quando l'Afghanistan conseguirà la stabilità necessaria a
ottenere finanziamenti al progetto del gasdotto dalle principali
agenzie internazionali". E l'8 dicembre 1998 la Unocal
annuncia anche il suo ritiro dal consorzio Centgas. Fatto rilevante,
alla guida del Centgas subentra, al posto della Unocal statunitense,
la Delta Oil saudita.
Tutto bloccato dunque? No, perché nell'aprile 1999
Afghanistan, Pakistan e Turkmenistan annunciano di essersi accordati
per riattivare il progetto del gasdotto e chiedono al consorzio
Centgas, ora diretto dalla Delta Oil saudita, di procedere alla sua
realizzazione.
A questo punto gli Usa si vedono sfuggire di mano il controllo del
"corridoio" afghano e, con esso, la possibilità di
controllare l'approvvigionamento energetico dell'Asia con il gas e
petrolio del Caspio. Si vedono scavalcati dal loro più importante
alleato nella regione, l'Arabia saudita, che riattiva il progetto del
gasdotto (cui dovrebbe seguire quello dell'oleodotto) per realizzarlo
e gestirlo senza gli Usa, d'accordo con i talebani, a loro volta
d'accordo con il fuoriuscito saudita bin Laden. Bin Laden a parte,
quel che si prospetta concretamente è la possibilità che si
costituisca una coalizione di paesi in grado di sfidare gli Stati
uniti, sottraendo loro il controllo delle fonti energetiche da cui
anche gli Usa dipendono in misura crescente.
Si verifica, in altre parole, la situazione prevista nel documento
strategico pubblicato dal Pentagono il 30 settembre (il manifesto,
10 ottobre 2001), cioè "la possibilità che potenze regionali
sviluppino capacità sufficienti a minacciare la stabilità di regioni
cruciali per gli interessi statunitensi, la possibilità che emerga in
Asia un rivale militare con una formidabile base di risorse" (Quadrennial
Defense Review, 30 settembre. 2001). La risposta non può che
essere quella indicata nello stesso documento del Pentagono: usare
"le forze armate, il cui scopo è proteggere e promuovere gli
interessi nazionali degli Stati uniti", per "cambiare il
regime di uno stato avversario od occupare un territorio straniero
finché gli obiettivi strategici statunitensi non siano
realizzati".
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