Per una drammaturgia su L.V. Bertarelli

Aniello Ciaramella

 

  1. Teatro e storia

Il teatro da qualche anno, in alcuni suoi settori, sembra riscoprire il ruolo di ricostruzione di eventi ed esistenze, riprendendo alcune esigenze emerse con il ‘teatro politico’ nel corso del Novecento, e con l'animazione, il teatro di base e le esperienze ‘parateatrali’ degli anni sessanta-settanta, senza insistere oggi sullo scopo 'politico', ma partendo da esigenze più genericamente 'sociali'.

Il caso più noto riguarda Marco Paolini che con il suo spettacolo Il racconto del Vajont mette assieme ricostruzione storica e denuncia sociale. Egli, dopo aver presentato lo spettacolo in teatri, piazze, centri sociali, ha aperto la possibilità che questo tipo di intervento possa essere ospitato in TV, come è accaduto anche con il suo successivo spettacolo su Venezia, che pur non avendo avuto lo stesso impatto emotivo ha visto un discreto successo mediatico. Lo stesso impegno civile ha animato Marco Baliani con il suo spettacolo Corpo di stato, una indagine sul terrorismo e sul caso Moro. Anche nel suo caso abbiamo assistito ad un impatto favorevole con il mezzo televisivo: il teatro come narrazione incontra le possibilità offerte dai mass-media di allargare notevolmente la platea, seppure con una fruizione certo ‘mediata’.

Sullo stesso orizzonte di teatro come narrazione, che coniuga la memoria personale dell'artista, con la memoria del territorio, si muove la ricostruzione storica di Laura Curino, del Teatro Settimo, che con il suo spettacolo su Olivetti, sintetizza con efficacia la ricerca che il gruppo di Settimo Torinese porta avanti da anni.

Altri esempi riguardano: l'attore regista Silvio Castiglioni, che ha lavorato sulla Resistenza a partire dai libri e dalla memoria di Nuto Revelli; lo spettacolo 44.787-Risiera di San Sabba di Renato Sarti, tratto da testimonianze di ex deportati; oppure giovani compagnie che si sono cimentate: sulla strage di Bologna (lo spettacolo 2agosto-retroscena di una strage, del gruppo AIDA di Milano), sul Cile (il gruppo Sherazade), sulle donne algerine (il gruppo Delitti in biblioteca di Pavia), sulla Resistenza (il gruppo Malaspina di Modena in collaborazione con il locale Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea), sugli anni Settanta (il gruppo Theatrikos di Milano).

Sul versante teorico vale la pena di citare almeno la rivista "Teatro e storia", edita da Il Mulino, che inizia le pubblicazioni dalla metà degli anni ’80, su iniziativa di docenti che ruotano attorno all’Università di Bologna.

 

  1. Progetto di drammaturgia

Riporto una citazione che mi ha chiarito alcuni aspetti su cui ultimamente mi trovavo a riflettere a proposito del Laboratorio di storia, e su cui tornerò alla fine: "[…] l’ingresso del corpo in un processo di apprendimeno/formazione […] Il corpo percepisce il presente, è vero, ma certe sue vibrazioni appaiono soggettivamente sovratemporali: l’olio delle macchine, il rumore delle fabbriche, o ancora gli odori densi delle materie prime aggiungono plusvalore al resto dei documenti […] E sul rapporto della sensorialità, quindi del corpo, con i luoghi occorre riflettere quando si parla di monumentalità di certi luoghi" (Dino Renato Nardelli, I percorsi didattici. Metodologia e prodotti in: Fare storia – La risorsa del Novecento, a cura degli Istituti storici della Resistenza e l’insegnamento della storia contemporanea, Insmli, Modena, 2000).

All’interno del Laboratorio di storia è stata prevista una collaborazione con il Laboratorio Teatrale, che da qualche anno è attivo nel nostro Istituto, per un progetto da sviluppare in questo anno scolastico o eventualmente biennale. In genere, per quanto riguarda la costruzione della drammaturgia, il Laboratorio teatrale privilegia l’esperienza individuale dei partecipanti, che sono invitati a portare brani (non necessariamente teatrali), racconti, memorie familiari o qualsiasi materiale che comunque provenga da vissuti ed interessi personali.

Su questa impostazione di base, facilitati dal mio ruolo di coordinatore del laboratorio, si è pensato ad un utilizzo immediato dei materiali provenienti dalla ricerca in classe sulla vita e le opere di Bertarelli.

Per il momento si può ipotizzare l’uso di cartelloni (sulla falsariga di quelli che si stanno elaborando, ma più ampi e con l’apporto di disegni e foto), che possono diventare una sorta di quadri da cantastorie, sui quali ‘si srotola’ la vita del Bertarelli nelle tappe che gli allievi stessi reputeranno più significative. Un procedimento analogo, con solo un sovrappiù di tecnologia, riguarderebbe l’uso di un supporto multimediale, in tal caso si potrebbe prevedere la proiezione nello spazio scenico di testi e immagini, che diventerebbero una sorta di scenografia di cui gli attori entrerebbero ‘a far parte’.

Un lavoro più delicato riguarda però l’utilizzo dei testi già approntati dagli studenti. In tal caso si andrebbe ad incidere sull’impostazione stessa del Laboratorio teatrale, con difficoltà ed esiti ancora non valutabili. Certamente prevederemo dei momenti di incontro tra ‘attori’ e ‘drammaturghi’, in cui si sottolineeranno i procedimenti messi in atto e le scelte effettuate. Gli studenti racconteranno il loro approccio ai testi, le scelte effettuate, le emozioni e gli interessi suscitati; gli allievi del laboratorio se ne approprieranno, effettueranno a loro volta delle scelte e lavoreranno sulle loro sensazioni.

Quello su cui possiamo essere subito precisi è che non si troveranno a imparare dei testi e ‘recitare delle scenette’, si tratterà di utilizzate materiali testuali all’interno di un laboratorio che procede attraverso l’apporto creativo della singola persona, a partire dal proprio corpo e dalla propria esperienza.

Per tornare alla citazione sul corpo da cui siamo partiti: se l’esperimento funziona, gli attori potranno rivivere i luoghi e i momenti di una biografia, lontana ma rivissuta attraverso le proprie sensazioni corporee; i drammaturghi vedranno incarnarsi e acquistare respiro, i testi su cui a freddo hanno lavorato; gli spettatori potranno partecipare ad un rito in cui ‘Bertarelli’, che per molti è solo il nome di un istituto professionale, diventa corpo teatrale vivente.