Verso i nuovi curricoli
di
Aurora Delmonaco, presidente del LANDIS (Laboratorio Nazionale per la Didattica della Storia)
relazione introduttiva, scuola di formazione LANDIS, Reggio Emilia 23-24 febbraio 2000

 

1. Alcuni nodi problematici

2. La definizione dei curricoli

3. Il ruolo del laboratorio

 

 

 

 

 

 

1. Alcuni nodi problematici

Si sta ormai avviando il processo di attuazione dell’articolo 8 del Regolamento dell’autonomia, in base al quale la scuola deve essere completamente ridisegnata, e con essa si profilano nuovi curricoli, a cui si chiede di rispondere in maniera adeguata alle esigenze formative dei giovani in una società multiforme e complessa, segnata da profonde contraddizioni e soggetta a grandi trasformazioni. Restano però ancora alcuni nodi problematici da sciogliere, non semplici, anche perché lo scenario che ha costituito lo sfondo di lunghe riflessioni e la cornice di esperienze complesse è ormai completamente mutato. Dal momento che siamo chiamati a dare il nostro contributo di riflessione, accanto a tante forze vive che la scuola e la cultura hanno espresso in questi anni, è necessario procedere con impegno e con chiarezza a mettere a fuoco tali problemi.

Preliminarmente, in questa fase de iure condendo, è necessario proporsi alcune cautele da osservare. Tra queste ultime, forse è preliminare quella che consiglia di non procedere ad ipotesi di pura ingegneria istituzionale, senza tenere conto di problemi connessi alla realtà della scuola così come essa si presenta, che vive la vita dei docenti (grazie a chi, come e quando essi si formeranno alla "grande trasformazione"?) e degli allievi, che non sono "materiale da formare", ma individui e individue portatori di particolari atteggiamenti verso la scuola, di particolari interessi, di valori, stili cognitivi, devianze e potenzialità differenti, che è molto difficile riportare ad un standard teorico medio.

Altro elemento da considerare è la riflessione critica e profonda su quanto di innovativo la scuola ha prodotto, nel quadro di lavoro sommerso ma spesso sostenuto da una rete di soggetti che, senza la garanzia di un approdo istituzionale, hanno esplorato il campo della didattica della storia per almeno gli ultimi vent’anni. Tali innovazioni hanno prodotto un sapere più diffuso di quanto non si immagini, ed una pratica didattica che comincia a sedimentarsi anche se non può dirsi generalizzata. Di tale sapere, e di tale pratica, non si può fare a meno nel momento in cui si chiede ai docenti di collocarsi in un orizzonte completamente diverso da quello in cui sono nati culturalmente, assumendosi con l’autonomia responsabilità di primo piano.

Un altro focus di attenzione è legato ad una questione che può apparire secondaria rispetto alla logica del curricolo, ma che invece nella realtà scolastica è molto importante. La didattica non si svolge in un peripato ideale, ma abbisogna di strutture e sussidi. Le prime dovranno essere adeguate a nuovi sistemi di organizzazione del tempo-scuola, gli altri, nella forma dei libri di testo, tanto potranno essere uno strumento di diffusione della nuova cultura dell’autonomia se perderanno la forma classica del manuale, quanto potranno surrettiziamente diventare essi stessi i veri, abusivi autori del curricolo se non esisteranno indicazioni precise sui temi ed i problemi che la popolazione scolastica, di ogni ordine e grado, dovrà affrontare.

Ma, si può osservare, in questo modo si rischia di ricadere nella "logica del programma".

Si va affacciando da più parti una domanda: è necessario o no che si definisca in termini generali, molto sintetici ma anche in certo modo prescrittivi la futura coinè culturale delle nuove generazioni? È possibile lasciare alle singole scuole, senza alcuna garanzia del collegamento tra esse, e della competenza coerente dei loro operatori, il disegno di un tratto del curricolo dei loro allievi? E come sarà possibile certificare alla fine del corso di studi una miriade di competenze e conoscenze diverse, con tutte le sfumature possibili, senza individuare tratti di comunicazione tra una scuola e l’altra, anche in occasione del trasferimento di un alunno? Può uno studente essere privo di segmenti fondamentali della storia solo perché, nel passaggio da un ordine all’altro, il curricolo non è stato concordato, data l’organizzazione autonoma di ogni scuola che non può prevedere contatti bilaterali in ogni direzione?

Ricordo che negli USA, patria della autonomia delle scelte in campo didattico, si vive una stagione in cui Howard Gardner afferma: "Insegnanti e genitori dei bambini ad ogni stadio d’età devono sapere che cosa è stato fatto prima, perché è stato fatto, e che cosa si prevede che debba avvenire nelle età e nelle classi successive" (Sapere per comprendere, Feltrinelli, 1999, p. 226). Propone dunque la creazione di una mezza dozzina di percorsi, elaborati sulla base di direttive specifiche, per ridurre l’eterogeneità didattica e pedagogica del suo paese perché "un sistema fondamentalmente pubblico deve assumersi la responsabilità di inculcare i valori della cittadinanza" e perché "un sistema pubblico ha bisogno di standard pubblici". Lasciando libere tutte le scuole di perseguire "i propri ideali (o i propri demoni), realisticamente questi due obiettivi non potrebbero più essere perseguiti." (p. 239).

Io non credo che ci si possa rifugiare dietro l’autonomia, rinunziando alla definizione dei nodi, o nuclei fondanti, della disciplina, come se l’essenziale fossero le competenze operative che, una volta acquisite, possono diventare autonomi strumenti di comprensione della realtà. Già abbiamo visti notevoli, e anche lodevoli, sforzi di insegnanti ricercatori e innovatori che hanno dato agli allievi buone competenze su percorsi monografici anche molto ristretti e quindi ben approfonditi, ed i loro ragazzi non hanno raggiunto nessuna "capacità" di muoversi nella storia, ignorando totalmente tutto il resto.

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2. La definizione dei curricoli

Il processo di definizione dei curricoli deve in ogni caso tenere conto di parametri diversi da quelli che, nei vecchi programmi, scandivano gli obiettivi e le tappe dell’apprendimento.

- La riforma dei cicli elimina nella composizione del curricolo verticale la logica della ripetizione dell’intero arco cronologico, sulla selezione degli stessi argomenti potenziati di ciclo in ciclo, ma sostanzialmente rinforzati nella stessa visione interpretativa. Si apre dunque lo spazio per una nuova articolazione, in cui il parametro temporale non è l’indicatore assoluto, ma si possono (io direi: si devono) introdurre nuove strategie. Le possibilità sono due: pensare alla storia secondo l’arco cronologico che va dal più lontano passato all’età attuale come ad un binario obbligato, e dunque iniziare dall’età preistorica per avvicinarsi ai nostri tempi; oppure pensare ad uno sviluppo graduale della capacità degli allievi di comprendere spazi sempre più ampi e complessi del passato, e costruire le storie che possono renderli cittadini del tempo, come linee di un disegno che va completandosi lungo il corso degli studi a misura che aumenta l’abilità della mano che lo compone. La prima scelta pone soprattutto due problemi: le origini dell’uomo (che possono saldarsi alla storia solo come narrazione di risultati di scienze estranee alla disciplina) si collocano ad un livello di scolarità che non può chiedere ai bambini l’uso di un apparato simbolico spazio - temporale che solo il percorso storico più maturo potrà dare; il termine dell’età attuale dovrà essere raggiunto alla fine del primo ciclo (settimo anno) o alla fine dell’obbligo (nono anno)? E dovrà poi naturalmente riproporsi alla fine del triennio superiore: come evitare il ritorno del "girotondo di Clio" ciclico e ripetitivo?

La seconda possibilità urta contro un problema reale: sapranno gli insegnanti, formati ad una storia dall’arco temporale canonico sciogliersi dai lacci ed esplorare nuove logiche?

- La fine della ciclicità ripetitiva consente alla scuola di base di tenere fede all’assunto largamente condiviso in linea teorica, ma spesso disatteso nella pratica, di procedere "dal vicino al lontano, dal presente al passato".

Benché esistano autorevoli indicazioni di segno contrario, molte sperimentazioni sconsigliano di mettere insieme, nei primi anni, il presente dei bambini e le società più lontane nel tempo e nello spazio: si costruiscono in tal modo stereotipi che poi sono difficili da sciogliere in una visione più dinamica della realtà. L’ominazione è fenomeno troppo complesso: quei signori così lontani nel tempo hanno viaggiato per tutta la Terra - altro che caverne e invenzione del fuoco! - distanziandosi e differenziandosi, dando inizio a storie diverse non riconducibili assolutamente alla figurina illustrata dell’Uomo primitivo. Lasciamo questo importante argomento ad una fase più avanzata, perché, se non si descrive l’antropizzazione della terra, i "Popoli" appaiono dal nulla, già ben disegnati nelle loro caratteristiche, e si dà una mano alla categoria "sangue-suolo" che poi ci affanniamo a sconfiggere. Tale argomento, deve trovare la sua giusta collocazione in un momento chiave del curricolo, ma non necessariamente all’inizio. La "striscia del tempo" è un percorso su cui ci si può muovere molto più liberamente di quanto non si sia fatto fino ad ora, avanti e indietro, alla conquista di tratti sempre più ampi, senza l’ossessione delle origini, di cui parlava Marc Bloch. L’itinerario iniziale, ridotto a misura di bambino dovrebbe essere: "Io ho una storia. Tutti hanno una storia. Esistono storie che si sono concluse prima che io nascessi. Posso conoscerle. Imparo a leggerne i segni e ad ascoltarne le voci". E le storie continuano, sempre più lontane (si impara a fare il "salto" in tempi remoti ed a tornare al presente).

 

- Si propone da più parti, nell’ottica del settennio, di affrontare la storia generale negli anni della preadolescenza (triennio finale del primo ciclo). Occorre chiarire i termini della nuova storia generale, perché non si pensi ad una supposta "storia di tutti" che contragga nel suo falso universalismo le soggettività reali, cancellandone i tratti. Esiste invece l’esigenza di affrontare in maniera sempre più chiara, come riferimenti necessari per la "generalizzazione del singolare", gli eventi di portata collettiva, intrecci fra vissuti individuali e dimensioni sovraindividuali, non in ragione di loro predeterminate autonomia e sufficienza nel disegno del passato, di una loro valenza formativa per definizione ma di una stretta connessione con "le storie" (Esiste un Rinascimento per le donne?)

- Sempre a seguito della riforma dei cicli, c’è da tenere conto di nuovi problemi che nascono dal carattere composito del "biennio orientativo" e dalla brevità del triennio nella scuola superiore. Come conclusione dell’obbligo, il biennio dovrebbe attestarsi sulla storia contemporanea, ma come inizio del corso superiore, che dovrebbe avviare alla specificità degli indirizzi, deve in ogni modo cominciare a fondare le competenze trasversali (e le conoscenze che ne permettono lo sviluppo), dando inizio ad un corso di studi non solo esplorativo, ma formativo.

Ma, in regime di autonomia e con il sistema dei crediti e debiti, ad essa connesso, non è più pensabile l’idea di aree comuni, perché comunque esse si diversificano sia per le diverse scelte delle scuole sia per il triennio, a maggior ragione, per i diversi indirizzi. Si parla di aree di equivalenza, dunque, anche per sottolineare la "doppia cittadinanza" di questo tratto di scolarità, conclusivo ed iniziale. Se si accentuasse troppo il suo primo carattere, verrebbe meno la possibilità di avviare la scelta di uno specifico corso, con materie caratterizzanti e tracciati di trasversalità fra le discipline; se si sottolineasse troppo il secondo, l’obbligo si concluderebbe in maniera ben strana.

È forse questo il momento di introdurre i ragazzi, attraverso moduli che esplicitano i "nuclei fondanti", nelle periodizzazioni massime (le "grandi trasformazioni", da quella neolitica a quella industriale a quella telematica), e le massime dimensioni spaziali; terzo indicatore, credo che debbano essere le grandi soggettività collettive, riprendendo e sistematizzando tutti i percorsi degli anni precedenti. Nello stesso tempo tale taglio di massimo respiro, colto attraverso una cronologia che connette passato e presente attraverso i momenti focali delle rilevanze assolute, può consentire l’illuminazione obliqua che mette in risalto linee di lettura coerenti con il corso di studi che inizia pur sempre con il biennio: sostituire "le storie alla storia", altrimenti, che cosa vorrebbe dire?

- Per la scuola superiore (biennio e triennio) ci si deve muovere tra due assi, quello che deriva dallo statuto epistemologico della disciplina, che è elemento - guida di tutto il curricolo verticale, e quello che ne definisce l’equivalenza. Se prima la storia era inclusa nell’area comune, poiché si riteneva che in ogni indirizzo scolastico il dettato dei programmi dovesse consentire a tutti gli studenti di appropriarsi di un sapere conforme, graduato solo secondo le scansioni cronologiche e secondo il livello di complessità adeguato al grado e all’ordine di scolarità, oggi l’area dell’equivalenza presenta caratteristiche di maggiore flessibilità. Per ogni disciplina si richiede una struttura epistemica ed un’articolazione delle argomentazioni che abbiano un riferimento forte alla scienza in cui essa si iscrive, e ciò consente la trasferibilità dei saperi da un indirizzo all’altro, e però occorre saper selezionare, all’interno dei campi di possibilità di tale scienza, i tagli che concorrano a definire la specificità dell’indirizzo.

Si tenga conto della diversa struttura oraria che si va introducendo (già attiva nell’indirizzo nuovissimo delle Scienze sociali) nel quinquennio superiore, che si articola in:

  • un’area dell’equivalenza, che garantisce una preparazione non omogenea nelle conoscenze ma che insiste sull’univocità dei nuclei e delle competenze, in base alla quale, nell’ottica del riorientamento, è possibile passare ad altri indirizzi scolastici (la storia appartiene a quest’area);
  • un’area d’indirizzo, che comprende le discipline caratterizzanti il corso di studi;
  • un’area di integrazione, che viene definita nel quadro dell’autonomia dell’organizzazione didattica di ogni istituto, favorendo l’interazione tra scuola e territorio.
  • A ciò va aggiunta l’introduzione di un elemento di flessibilità (quota di variabilità) che consente la modifica dell’orario di ogni materia a favore di un’altra o di una nuova disciplina nella misura del 15% del monte ore annuo.

Dobbiamo dunque pensare ad un curricolo di Storia in quanto storia, ma anche storia coerente con il quadro complessivo dei saperi che la tipologia di scuola richiede.

- Il modello della struttura dei curricoli non risponde più all’esigenza di stabilire quali porzioni degli stessi contenuti debbano essere offerte anno per anno, ma tiene conto degli esiti formativi, riferiti allo studente, secondo diversi punti di vista.

Gli elementi costitutivi di un curricolo sono:

  • i nuclei fondanti,
  • le conoscenze,
  • le abilità,
  • le competenze,
  • le capacità

I nuclei fondanti sono i punti centrali del percorso storico, irrinunciabili perché datori di senso e perché connessi strettamente con l’orientamento storico fra passato e presente, fondatori di cittadinanza nella realtà attuale, ma atti a far "abitare il tempo" alle nuove generazioni. La rete dei loro significati costituisce il curricolo. Ad essi afferisce l’articolazione delle conoscenze e delle connesse competenze. L’insistenza su queste categorie serve soprattutto a chiarire che non hanno più corso nella scuola le monete false dell’apprendimento mimato per cui gli studenti sono chiamati a discorrere "come se" possedessero le chiavi della disciplina, mentre le loro performance sono solo il frutto di una ripetizione ossessiva.

Le conoscenze sono l’articolazione dei nuclei, e insieme l'oggetto in virtù del quale potranno strutturarsi le competenze: esse costituiscono il tessuto organico della struttura disciplinare non come fatti nodali di una storia che ha un suo canone indiscusso, ma come elementi di connessione tra passato e presente, all’interno di itinerari di costruzione della memoria del soggetto dell'apprendimento. Esse rappresentano scorci della realtà - spazi, tempi, soggetti - che, senza nessi sintattici, senza connessioni categoriali non potrebbero essere compresi; sono indizi muti se i contesti culturali non forniscono loro i codici valoriali.

Le competenze sono la capacità di orientarsi in conoscenze determinate, e di accrescerle, secondo lo statuto della scienza che le ha prodotte. La scuola è tenuta a certificarle nel corso degli studi, e si riferiscono alla capacità accertata di muoversi all’interno della disciplina con la consapevolezza dei suoi strumenti e dei suoi metodi. Con il concetto di competenza si abbandona l'idea del sapere come risultato e si accede a quella di sapere come processo, insieme di tecniche, operazioni, aspirazioni progettuali, ideazioni creative che consente di svelare la storicità di ogni sapere e di non accogliere dogmaticamente i suoi contenuti e le sue procedure formali.

Le competenze nella storia aiutano gradualmente l’allievo a selezionare un punto di vista su un campo di ricerca secondo i soggetti individuali e collettivi, e poi a cambiarlo per rendersi conto della "qualità" del fenomeno che osserva, a circoscrivere uno spazio e ad articolarlo nelle sue divisioni interne o nelle sue giustapposizioni (lo spazio geografico su cui interagiscono quello politico, quello religioso, quello economico, quello culturale, quello sociale) per coglierne le determinazioni, a misurare la "densità" del tempo e ad individuarne le durate, ad utilizzare storiografiche riconoscendone la natura di chiavi interpretative e non di riproduzione descrittiva della realtà, a sapersi orientare fra centro e periferia, testo e contesto, continuità, mutamento, rottura, globale e locale, di saper inferire le condivisioni, le appartenenze, le distanze, le opposizioni, le contraddizioni, a saper connettere, saper distinguere.

Tutto questo non sarebbe possibile senza alcune abilità minime nell’uso dell’armamentario della storia: fonte, documento, monumento, carta geografica e topografica, repertorio di notizie, mappa concettuale, statistica e narrazione, eccetera eccetera, sono strumenti senza i quali le competenze non potrebbero esercitarsi.

Anche in tale senso si definisce meglio il concetto di "equivalenza" perché ognuno di questi descrittori dell’apprendimento (nuclei, conoscenze, competenze, abilità) contiene un aspetto assoluto, in relazione alla matrice scientifica ed alle aspettative di formazione, insieme ad un aspetto relativo al tipo di studi, alle indicazioni delle offerte formative delle singole scuole e alle scelte dell’insegnante in regime di autonomia didattica e di libertà di insegnamento. In tal modo nel passaggio fra una scuola e l’altra possono definirsi i "crediti" e i "debiti", che altrimenti sarebbero lasciati all’anarchia didattica, rendendo impossibile agli studenti la "costruzione di senso", la capacità di orientarsi.

La capacità è la finalità perseguita sia in termini di accrescimento del potenziale umano che ogni studente rappresenta, sia nella prospettiva dell’interazione sociale e della funzione civile che definiscono la cittadinanza: è il risultato della costruzione di senso che il curricolo complessivo riesce a dare.

Se il termine "storia" indica

  • il corso degli eventi, delle relazioni e dei comportamenti dei soggetti nello spazio e attraverso il tempo,
  • il metodo di conservazione, di ricerca e di insegnamento della memoria,
  • una forma di coscienza collettiva portatrice di identità,

è facile osservare come la tradizione scolastica si sia concentrata per molto tempo sul primo significato, si sia poi aperta in dimensioni minoritarie alla riflessione sul secondo punto, mentre sul terzo solo per brevi periodi, e mai più dopo la cosiddetta "fine delle ideologie", si sia interrogata.

Tale dimensione credo che sia ineludibile, tant’è vero che l’antropologia ha affrontato questo tema a più riprese su diversi terreni di ricerca, individuandolo come connettivo dei gruppi umani indipendente dalla loro scolarizzazione, e che i riferimenti simbolici, cui anche la più piatta delle trasmissioni scolastiche deve per forza ricorrere per narrare la serie degli accadimenti, costituiscono la parte indelebile dell’apprendimento, anche quando svanisce il ricordo di quanto si è appreso.

Tale "apparato simbolico", che si esprime attraverso il linguaggio, le categorie della spiegazione, la formulazione dei giudizi, i riferimenti iconografici, le mappe, le cronologie, lo stile narrativo, le chiavi di volta delle interpretazioni, rappresenta un filtro culturale sempre e comunque presente, che sfugge al controllo cosciente dell’istituzione e della società, conservando i suoi effetti anche quando le ragioni che ne hanno imposto i tratti sono ormai non più attive.

Bisogna accettare la sfida: la costruzione del senso è la "capacità" che si richiede alla fine di un curricolo di storia.

Credo dunque che la questione delle rilevanze non possa essere trascurata, anche se difficile e "politicamente" pericolosa perché ci si espone al rischio di scelte che comunque possono essere discusse.

In alcune università americane si studia la Shoah senza studiare la storia contemporanea. Non ha senso? Un senso la cosa ce l’ha, e va cercato nei silenzi, ma non viene esplicitato.

La capacità di orientarsi non è solo una questione di competenze, ma anche di orizzonti. Credo che a grandi tratti occorra definirli, chiarendo i punti cardinali non per le opportunità che danno alla costruzione delle competenze, ma per dare ai giovani la capacità di "nominare il mondo".

D’altra parte il nostro carattere costitutivo, come Istituti e come Landis, si fonda su una rilevanza, che rimanda ad altre rilevanze.

La questione è: che cosa intendiamo se diciamo che la storia è "connettivo di un gruppo umano"? Quale gruppo? L’Heimat, la piccola patria, la nazione, il coacervo europeo, il mondo? Quale dimensione spazio-temporale e quali soggettività danno la capacità di orientarsi e di "nominare il mondo"? Nell’insegnamento la "competenza delle competenze" (imparare ad imparare) presume la costruzione del sistema di coordinate dell’osservatore-studente. È la responsabilità della scuola: decidere quale filtro porre tra la serie infinita dei dati di conoscenza e la costruzione di mondi mentali, di azioni sociali, di procedure operative dotate di senso.

È una responsabilità cui non ci si può sottrarre, che nessun gruppo umano ha mai eluso e che nell’era della comunicazione globale è più che mai necessario assumersi.

- La struttura modulare dei curricoli articola il processo di insegnamento - apprendimento intorno ai nodi delle competenze definite, al campo selezionato delle conoscenze che ad essi afferiscono, al tracciato trasversale delle capacità che si sviluppano. Competenze, conoscenze e capacità, poi, hanno al loro interno percorsi di opportune gradualità, calibrate secondo logiche diverse, sequenzialità, rinforzo, contrasto accrescitivo, espansione, approfondimento, sviluppo: tutto ciò dà luogo alla scansione di moduli che può prevedere anche l’utilizzazione di un orario flessibile, in una struttura scolastica che ne dia la possibilità.

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3. Il ruolo del laboratorio

In questa prospettiva diventa non accessoria, ma indispensabile la pratica del laboratorio.

Il laboratorio è il luogo dove si affrontano i nuclei fondanti delle conoscenze attraverso la conquista di abilità che consentono lo sviluppo di competenze mirate per formare capacità. È una modalità di condurre il lavoro curricolare senza lo schema fisso lezione - memorizzazione - interrogazione, che presuppone una buona analisi disciplinare capace di partire dai nuclei fondanti del percorso (in genere non più di sei o sette all’anno) per disegnare il reticolo delle conoscenze attraverso cui i nuclei si espliciteranno. Per poter essere compreso ed acquisito, il percorso richiederà l’appropriazione da parte degli studenti di competenze, a partire dalla "grammatica" e dalla "sintassi" della storiografia: abilità, categorie di ricerca, griglie di scansione, analisi e ricostruzione del percorso. Nella progettazione didattica si individuano i gradi necessari delle abilità e delle competenze.

A questo punto, si disegnano i diversi piani della costruzione concreta del curricolo, che possono prevedere lezioni di aula, ricerche all’esterno, interventi nell’aula-laboratorio articolate secondo le opportunità e/o le aspettative di migliore risultato.

L’aula-laboratorio si colloca pertanto fra l’aula della classe e l’ambiente esterno, come punto di raccordo e di verifica, di partenza e di arrivo di un lavoro più ampio.

In molti casi però, nell’assenza della progettazione più complessa, l’aula-laboratorio serve a avviare docenti ed alunni ad un’ottica diversa da quella del passato, dando ai primi gli spunti necessari per il passaggio dalla scuola/programma alla scuola/progetto, ai secondi l’idea di una storia che può coinvolgere la loro intelligenza, la loro corporeità, la loro capacità di confrontarsi con la memoria di soggetti, accadimenti e idee che dal passato di proiettano sul presente.

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