Malisevo era una sorta di piccola
capitale del "Kosovo liberato". In estate, i guerriglieri avevano piantato sul
municipio la bandiera rossa con laquila nera, cambiato targhe e insegne, scavato
trincee a difesa del loro sogno impossibile. Poi sono arrivate le squadre speciali della
polizia serba. E qui, come in altri villaggi, hanno agito con sperimentata brutalità. Il
cannoneggiamento dei carri armati, la fuga dei civili sulle montagne, gli incendi e le
razzie. Adesso, sopra le insegne dellUCK, si leggono le quattro "S"
delliconografia serba e slogan del genere "Non siamo soltanto perfetti, siamo
serbi". Sono gentili e ospitali, i soldati,
come se fosse arrivato un ordine non scritto: parlate con i giornalisti, fate vedere che
ci stiamo ritirando. Il comandante della guarnigione, seduto nella villetta che ospitava
una postazione di guerriglieri, offre caffè e grappa. Si scusa: "Siamo tutti un
po euforici, ieri sera abbiamo bevuto un po di più, perché finalmente si
torna a casa". Lavoro finito. Cè aria di smobilitazione in questa caserma
improvvisata, con i materassi per terra, i poster delle donne nude alle pareti e il tanfo
di micidiali sigarette.
Il comandante concede una parziale ammissione, rompendo la
propaganda ossessiva delle autorità, lostinato ritornello dell
"operazione di polizia contro i covi dei terroristi". Dice: "Certo, ci sono
state anche vittime civili. Donne, vecchi, bambini. E il prezzo della guerra, dello
scontro armato. Ma i civili erano spesso nelle stesse case dei guerriglieri. Sono stati
usati come scudi. Non crediate che labbiamo fatto apposta. Abbiamo figli anche
noi".
Altre domande si perdono nel fumo delle sigarette e del
rancio. Come mai, dalle case devastate, sono scomparsi anche i televisori, gli animali, i
vestiti? Cerano "terroristi" anche nei negozi? Era necessario quel colpo
di cannone sulla moschea? Rispondono i pochi profughi infreddoliti che incontriamo sui
sentieri sterrati, salendo sulla collina. "Ci hanno derubato di tutto, come barbari.
Ci hanno portato via le bestie, i risparmi, i vestiti", accusano.
"Vedete, è tutto tranquillo, i profughi possono
tornare", commenta lufficiale, aspettandosi un assenso. E perché non tornano?
Perché soltanto alcuni si aggirano come fantasmi, a piedi scalzi? "Sono ostaggi dei
guerriglieri, sulle montagne. Adesso hanno paura di tutti, ma noi garantiamo la
sicurezza", sostiene il comandante. Soltanto Baba, la "nonna",
unalbanese centenaria, confusa e solitaria, non ha paura dei soldati che le portano
la "Sorba", una zuppa calda. |