D.: Un’ultima
domanda sulle associazioni. Tu dici che con gli anni Trenta cambia la
politica del regime nei confronti dell’associazionismo, per cui si
passa da una fase di controllo e imposizione di rappresentanti del
regime negli organi direttivi delle associazioni già esistenti ad una
fase in cui il partito fascista assume direttamente la gestione del
tempo libero e della vita associativa. Esistono, e quali sono,
ricerche specifiche su questi temi?
R.: Innanzitutto ci
sono state ricerche pionieristiche, svolte da Victoria De Grazia (V.
De Grazia, Consenso e cultura di massa nell'Italia fascista : l'
organizzazione del dopolavoro, Roma-Bari, Laterza, 1981) ed altri
sul dopolavoro. Penso anche alle ricerche importanti che ha fatto
Luisa Passerini. A queste ricerche di ordine generale, va affiancata
una cospicua mole di studi locali, alcuni dei quali promossi anche da
Istituti della rete. E’ uscito per esempio adesso un bel volume
realizzato dall’Istituto sardo per la storia della Resistenza e
dell'autonomia di Cagliari sul regime fascista in Sardegna che appunto
sottolinea molto questi aspetti relativi ai processi di
fascistizzazione.
D.: Sono state fatte
ricerche su singole associazioni?
R.: Ci sono ricerche
sia su singole associazioni dall’Onmi alle Massaie rurali, il
Dopolavoro è una di queste….
D.: E ricerche su
associazioni eliminate o sulle quali il fascismo ha imposto il proprio
controllo?
R.: Per esempio, una
cosa interessante, mi riferisco al grande volume che ha fatto Einaudi
anni fa curato da Castronovo, Galasso, Zangheri (V. Castronovo, G.
Galasso, R. Zangheri - Storia del movimento cooperativo in Italia :
la Lega nazionale delle cooperative e mutue, 1886-1986i, Torino,
Einaudi, 1987) sulla cooperazione dove emerge l’attività di una
serie di cooperative preesistenti e poi fascistizzate, che hanno
prodotto nel territorio dei fenomeni di aggregazione e comunque delle
attività. Più complesso, e lo mette in luce molto bene anche
Salvatore Lupo, il rapporto tra queste organizzazioni che sono nate
fuori del partito, per esempio i Balilla, e il processo di
centralizzazione che negli anni Trenta mette in campo Starace, il
conflitto con Ricci. Perché non c’è dubbio che la costruzione
degli strumenti di controllo del tempo libero è un fatto molto
complesso e non lineare. Per esempio ho visto recentemente una serie
di articoli pubblicati anche su "Italia contemporanea", uno
in particolare sulle Massaie Rurali e sull’associazionismo rivolto
alle donne rurali (Perry R. Wilson, Contadine e politica nel
ventennio. La Sezione Massaie rurali nei Fasci femminili, in
"Italia contemporanea", n. 218, marzo 2000, pp.31-47). Tutto
il mondo delle campagne necessita di essere esplorato, da questo punto
di vista, così come necessitano di essere esplorate tutte quelle
associazioni e quei fenomeni o quelle forme aggregative messe in campo
dal fascismo, per esempio tutte le attività che avevano a che fare
con la fruizione del teatro, del cinema. Per esempio Luisa Betri ha
fatto un bellissimo studio sulle Biblioteche ambulanti (M. L. Betri, Leggere
obbedire combattere : le biblioteche popolari durante il fascismo,
Milano, 1991) . Questo è un universo che è rimasto inesplorato per
molto tempo, non soltanto per problemi di fonti o di altri
orientamenti della storiografia ma perché si è ritenuto che questo
tipo di associazioni fossero puramente strumentali, fossero puramente
cartacee, fossero puramente coercitive, senza capire invece che dentro
queste istituzioni è passato non solo il processo di fascistizzazione
e di normalizzazione della società, ma è passato il canale
principale di adesione al fascismo. Senza questi strumenti il
cosiddetto consenso non esisterebbe, ma poiché il consenso è
esistito noi lo possiamo ricostruire solo attraverso questi strumenti.
E’ chiaro che se io ritengo che il regime fascista sia stato solo un
regime di coercizione, e quindi i canali di costruzione del consenso
vengono a priori respinti come problema storico, da questo ne
deriverà senz’altro che io non metto al centro dei miei studi
questa amplissima gamma di iniziative sociali e politiche che il
fascismo ha messo in atto. Pensiamo all’Automobil Club, al Touring
Club, che sono grandi realtà associative che non vengono affatto
cancellate, anzi vengono ulteriormente gestite e fascistizzate nella
misura in cui si politicizzano i fini di queste strutture.
D.: Il problema è
capire fino a che punto queste associazioni, pur formalmente aderendo
alla politica fascista, non siano state anche un ricettacolo di altro…
R.: Nel caso del
Dopolavoro questo Victoria De Grazia l’ha messo in evidenza con
chiarezza. Sono strumenti che ovviamente socializzano i lavoratori,
fanno comunità di lavoro e quindi inevitabilmente sono i luoghi
attraverso i quali passa anche l’antagonismo, il conflitto, l’identità
contrapposta della classe operaia nei confronti del padronato, e
quindi sono luoghi dove il fascismo vuole costruire i canali di un
controllo sociale, ma poiché questo controllo sociale che il fascismo
vuole organizzare, canalizzare e enfatizzare, ha al suo interno una
dimensione eminentemente politica nel senso che il fascismo ha la
politica prima di tutto, è chiaro che innescano un fenomeno di
politicizzazione che non sempre va a finire là dove i suoi demiurghi
volevano che andasse a finire, va a finire anche da un’altra parte
non foss’altro perché mette insieme dei lavoratori, non foss’altro
perché in un momento di grande dispersione sociale che il lavoro ha
subito con la vittoria del fascismo, questi sono gli unici canali che
invece riaggregano, consentendo quindi a vecchie idee e a vecchi
valori e a nuove prese di coscienza della propria condizione sociale
di farsi strada.
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