Riportiamo qui il testo dell'articolo di Pirani. Segnaliamo l'originale proposta di periodizzazione "a geometria variabile" del '900 (parte in grassetto) e lasciamo al giudizio del lettore le considerazioni di Pirani sugli Istituti di storia della Resistenza (parte in corsivo/ grassetto).

"la Repubblica" 20 novembre 2000, pagina 16

Scuola, la Storia vista da sinistra e da destra

di  Mario Pirani



ANCORA qualche riflessione sulla dibattuta questione dei libri di testo (per ora quelli di storia, domani, chissà, potrebbe toccare alla geometria). Leggendo, peraltro, alcuni brani controversi ci si rende conto che non solo a destra albergano le insensatezze. Così scopriamo solo ora che quel decreto Berlinguer, giustamente apprezzato a suo tempo, con cui si modificavano i programmi, per consentire un approfondimento delle vicende del Novecento oltre la prima guerra mondiale, è stato interpretato prolungando l'insegnamento fino a includere giudizi e cronache sui fatti politici del giorno, compresi Tangentopoli e Berlusconi. Come definire una simile scivolata della didattica, tanto plateale quanto devastante? E come dovrebbero comportarsi educatori e studenti di fronte a interpretazioni assolutamente divergenti? Gli insegnanti di sinistra dovrebbero bocciare i ragazzi di Forza Italia perché "non hanno studiato Berlusconi", secondo i dettami? E viceversa, in caso contrario? Esagerò forse nel 1950 Federico Chabod quando si rifiutò di dare alle stampe le sei lezioni, tenute a Parigi, sull'Italia contemporanea (1914-1948), che videro la luce solo dopo la sua morte, affermando che trattavano di questioni troppo recenti per essere considerate Storia, la quale aveva bisogno per assurgere a livello accademico di almeno cinquant'anni di sedimentazione, distacco e approfondimento; ma tra una simile precauzione e una trattazione in tempo reale ce ne corre.
Una periodizzazione accettabile potrebbe fermarsi per la storia d'Italia alla approvazione della Costituzione, alla adesione alla Nato e alla Comunità europea, mentre il quadro internazionale potrebbe, a grandi linee, proiettarsi fino al crollo del colonialismo e, dall'altro verso, alla storia dell'Urss, fino alla caduta del Muro di Berlino.
Non sappiamo -speriamo di no- se sia stato in persona il ministro Berlinguer a dare una direttiva tanto estensibile sullo studio del Novecento oppure, anche in questo caso, essa sia opera di quella nutrita coorte di burocrati e pseudo pedagoghi sindacal-sessantottini che alligna attorno al ministero della Pubblica istruzione, resasi già celebre al momento del famigerato "concorsone" a quiz e degli esilaranti breviari e circolari, ad uso dei poveri docenti, che l' accompagnarono. Un sospetto rafforzato dalla polemica che ebbe con costoro uno dei più autorevoli esponenti della cultura di sinistra, Rosario Villari, presidente della Giunta Centrale degli Studi storici, il quale si oppose invano all' idea di affidare la formazione dei docenti addetti ai nuovi corsi ad organismi di parte, indicando, per contro, nelle Università il luogo più consono per approfondire gli studi. La proposta fu, però, respinta dal ministro che preferì per la bisogna gli Istituti storici della Resistenza, organi benemeriti ma venati di quell'ideologia della Resistenza tradita, ispiratrice di visioni estremistiche e riduttive del grande moto rigeneratore della identità nazionale.
Ed ora torniamo a rattristarci con Storace, senza però cadere nella assurda paura di un nuovo fascismo. E' assai più concreta e pericolosa la deriva ideologica che, in nome di una specie di conformistica par condicio, le commissioni di supervisione, ideate dal presidente del Lazio, finirebbero per imporre nella scelta dei libri di testo, appiattendo l'insegnamento della storia a una sequela indifferenziata di eventi, senza distinzioni di valore. Così potrebbe finalmente passare l' idea che i "ragazzi di Salò", i trucidati di Cefalonia e i partigiani dei Cln vanno giudicati con lo stesso metro storico. Se così fosse non sarebbe poi tanto paradossale paragonare, per converso, la Commissione Storace, ormai fatta propria per solidarietà anche da Fini e dagli alleati del Polo, alla Commissione per la bonifica libraria, che nel 1938 il regime fascista costituì per mettere all'indice gli autori di origine ebraica o sgraditi alla dittatura mussoliniana. Come, con dovizia di documentazione, spiega Giorgio Fabre in uno straordinario libro sull'argomento (L'elenco, ed Silvio Zamorani) circa 900 autori, compresi alcuni del XVI secolo vennero proibiti non solo nelle scuole ma nelle librerie, nelle bancarelle dell'usato, nelle biblioteche pubbliche e negli stessi depositi delle case editrici. Persino alcune edizioni della Divina Commedia e dei Promessi Sposi, edite da Mondadori, vennero "epurate" perché annotate da un curatore di origine israelitica, Dino Provenzal. Storace, certo, non vuol arrivare a tanto. Farà bene, però, a riflettere sulle sue ascendenze e sui precedenti delle sue iniziative.