La ricerca
"Memoria e insegnamento della storia", come è stato in più
occasioni sottolineato, non ha intenti puramente conoscitivi, ma si
caratterizza sia come ricerca-formazione sia come ricerca-azione. Le
note che seguono mentre si concentrano sul primo aspetto, quello
conoscitivo, facendo riferimento soprattutto alla parte qualitativa
dell'indagine (cinquanta interviste in profondità raccolte fra tutor
di storia dei due sessi all'interno della scuola dell'obbligo e della
media superiore, di età compresa fra i 30 e i 60 anni), tengono in
considerazione anche il secondo e il terzo. Un breve accenno verrà
fatto anche ad alcune, prime elaborazioni ricavate dai dati raccolti
attraverso l'indagine campionaria (oltre quattrocentosettanta
questionari somministrati ad altrettanti insegnanti di storia, due
terzi dei quali attivi nella media superiore, in altrettante aree
d'Italia). La traccia di
intervista riguardava quattro aree:
- il percorso biografico e il ruolo
professionale
- l'eventuale grado di impegno
politico-sociale
- le valutazioni circa le relazioni
fra memoria e storia
- un giudizio sulla consapevolezza
storica degli/delle studenti
In questa sede
concentrerò l'attenzione sugli ultimi due aspetti, i più rilevanti
per comprendere i modi in cui gli insegnanti di storia costruiscono la
loro identità e le relazioni formative all'interno della scuola.
Il
grado di consapevolezza fra storia e memoria, emerge dalle interviste,
appare in linea generale problematico, e il livello di elaborazione
soggettiva contenuto (ad eccezione del piccolo drappello di coloro che
hanno attraversato da protagonisti/e esperienze di militanza nei
movimenti collettivi negli anni Sessanta/Settanta). La prima
impressione che si ricava, da un lato, è che per gran parte
degli/delle insegnanti intervistati/e non vi sia stata vera e propria
collisione fra tempo storico e tempo biografico. Solo una minoranza ha
vissuto da protagonista eventi ritenuti di portata storica, tali da
potere essere considerati veri e propri spartiacque nella costruzione
biografica, capaci di costruire coscienza generazionale à la
Mannheim. Costoro si può dire posseggano una memoria collettiva,
avendo elaborato in gruppo questa esperienza e avendola trasformata in
una componente identitaria. Non si può affermare, tuttavia, che
questo processo sia di per sé garanzia di una relazione non
conflittuale fra memoria e storia. Vi può essere infatti buona
consapevolezza del nesso fra queste due dimensioni, ma gli esiti
dell'esperienza storica vissuta, quando siano messi a tema in termini
negativi (pensiamo, ad esempio, alla delusione maturata in alcuni/e
per i risultati politici della stagione dei movimenti) possono rendere
muta la capacità di trasmissione storica.
Si
può d'altro lato affermare che gli echi della "grande
trasformazione" italiana del secondo dopoguerra risultano, sul
piano biografico, decisamente attutiti. Detto altrimenti, le
continuità che possono legare fra loro eventi che appartengono al
passato più o meno recente e aspetti biografici non di rado faticano
ad essere riconosciute e messe a tema. In altre parole, i processi
sociali di mutamento che hanno caratterizzato con forte intensità
l'Italia repubblicana possono essere vissuti come dimensione che
appartiene sì alla "Storia" ma, al tempo stesso, influenza
scarsamente sia la storia sia la memoria individuale.
Si
tratta, a mio giudizio, non solo del problema pur importante delle
cesure nella trasmissione della memoria. (emblematico, sotto questo
profilo, il caso degli "anni di piombo"). Prima ancora,
abbiamo a che fare con un deficit di quella dimensione strategica che
Wright Mills ha sinteticamente definito "immaginazione
sociologica", in base alla quale "non si può comprendere
la vita dei singoli se non si comprende quella della società, e
viceversa" (1). Come conseguenza, nelle interviste risulta sovente
problematica la capacità - al di là dei riferimenti più rituali -
di istituire nessi fra i piani micro e macro-sociali, oltre che fra il
livello delle istituzioni economiche e politiche e quello delle
vicende biografiche. Personalmente lego questo tratto a uno degli
aspetti più negativi della formazione scolastica italiana: la
tradizionale marginalità assegnata, al suo interno, alle scienze
sociali. Mi sembra che esso vada considerato come uno degli elementi
all'origine di molte delle difficoltà a tematizzare la relazione
memoria-storia da parte degli/delle insegnanti.
Ciò implica, tra le conseguenze, la difficoltà a concepire la
memoria altro che in termini squisitamente individuali, potremmo dire
come costituzione temporalizzata della coscienza. In realtà, da
Halbwachs in avanti, le scienze sociali sono consapevoli che la
capacità di trattenere, preservare e trasmettere, o piuttosto
cancellare e azzerare, processi, eventi, immagini, narrazioni è
frutto anche di complessi processi di interazione e di comunicazione.
Esistono dunque memorie collettive (tra le quali quelle familiari sono
certamente centrali) e memorie sociali. Gli "specialisti"
possono disporre di conoscenze ad hoc che consentono loro di
analizzare ad esempio la relazione fra identità di gruppo e
elaborazione collettiva di memoria, vale a dire rilettura di una parte
del passato alla luce degli interessi del presente dei membri di quel
determinato gruppo. Ma, al di là degli "specialisti" e
della loro expertise, la disponibilità di una quota almeno di
"immaginazione sociologica" significa, ad esempio, capacità
di riconoscere che ciascun periodo storico possiede una "memoria
comune", portato della vita sociale, dei suoi riti e i suoi miti
specifici, con cui la memoria individuale giocoforza si confronta (2). La
comprensione dei caratteri di questa memoria può risultare ad esempio
centrale per agevolare la trasmissione di contenuti storici. In
termini più generali, questa competenza sul piano
dell'"immaginazione sociologica" consente inoltre un
esercizio di riflessività di grande rilievo strategico nella
progettazione didattica.
Il
secondo aspetto sul quale vorrei ancora riflettere brevemente in
questa sede ha a che fare con le relazioni intergenerazionali. Sulla
base dell'indagine campionaria (curata da Sonia Stefanizzi) risulta
che l'immagine che gli insegnanti di storia coltivano degli studenti
è tutt'altro che positiva: secondo l'80% del campione i giovani
sarebbero disinteressati a ricevere una buona istruzione; oltre la
metà non condividerebbe i valori trasmessi; poco meno della metà
sarebbe poco impegnato nello studio oltre che caratterizzato da bassi
livelli di apprendimento. Tutti questi tratti negativi, secondo gli/le
insegnanti intervistati/e sarebbero inoltre in netto peggioramento
negli ultimi dieci anni. Solo la difficoltà di comunicazione fra
docenti e allievi è considerata più o meno identitica nel tempo (30%
del campione la segnala).
Se
si tiene poi conto che la frammentazione della memoria storica è
attribuita dagli insegnanti praticamente alla totalità dei giovani
(95%); che, a loro giudizio, il 90% degli studenti vivrebbe una
separazione fra memoria biografica e memoria storica; infine, che
quasi l'80% sarebbe rinchiuso in un orizzonte temporale centrato sul
presente, non si fatica a delineare una rappresentazione ad un unico
colore, omogeneamente negativo, del mondo studentesco. Questo
significa che gli insegnanti intervistati si considerano in un certo
senso immuni dalle conseguenze di quel processo di "compressione
spazio-temporale" segnalato da David Harvey ormai un un decennio
fa. Secondo questo autore, stiamo collettivamente vivendo una fase di
profonda trasformazione dell'esperienza dello spazio e del tempo.
Sulla base di processi economico-politici legati allo sviluppo
capitalistico proprio di questa fase storica, e alle nuove
interdipendenze che ne sono alla base, il ritmo di vita si accelera,
le barriere spaziali si spezzano, gli orizzonti temporali si
contraggono "fino al punto in cui il presente è tutto ciò che
c'è" (3) . Ora, il presente globale costruito sul tempo
standardizzato e de-contestualizzato della comunicazione elettronica
costruisce una "simultaneità globale" che certamente mette
in discussione il tradizionale concetto di storicità - così come la
fase della modernità che stiamo vivendo ha posto in discussione
quella dimensione cardine del tempo storico che, allo zenit della
modernità, era rappresentata dall'idea di progresso. In questa
cornice, l'idea di progetto tradizionalmente inteso - a cui del resto
la memoria è legata a doppio filo - non può che risultare
scarsamente sensata. Ma non possiamo realisticamente pensare che
questi processi, così violenti nei loro effetti tra le giovani
generazioni, risparmino del tutto le generazioni adulte. Anche in
questo caso, si tratta di procedere verso un esercizio di
consapevolezza capace di operare a un duplice livello:
- mettendo a fuoco i meccanismi
attraverso i quali il "presente globale" entra nelle
mappe cognitive e nelle interazioni quotidiane di ciascuno/a, in
modi e forme diverse a seconda delle differenze di età, di
genere, di classe e di cultura. Coinvolgendo dunque non solo
gli/le studenti, ma anche gli/le insegnanti;
- costruendo nuove reti concettuali
e nuovi codici per comprendere questi processi culturali di
ridefinizione dell'esperienza dello spazio e del tempo, di portata
epocale.
Un esempio in
riferimento a quest'ultimo aspetto. Lo "spazio globale" che
al presente globale fa da corollario può anche diventare, come è
stato recentemente scritto (4), veicolo di relazione con la sfera pubblica
e di un nuovo cosmopolitismo. Pensiamo alle nuove forme di
comunicazione elettronica e alle potenzialità contenute nello spazio
virtuale sotto il profilo della possibilità di costruire, anche fra
persone spazialmente assai distanti, forme di relazione che consentono
di mobilitare risorse civiche, promuovere forme di protesta,
condividere prospettive di mutamento. Senza sopravalutare questi
meccanismi e queste aperture ad una nuova, possibile soggettività
politica (e "storica") fra i giovani (pensiamo all'uso della
rete nella crescita del movimento no-global), è tuttavia opportuno
fare in modo che chi ha per compito istituzionale l'insegnamento della
storia contemporanea non dimentichi di mettere a fuoco, nel presente
globale e "senza storia", anche queste potenzialità. Detto
altrimenti: concentrare l'attenzione su A impedisce di mettere a fuoco
B. Guardare agli/alle studenti come a un mondo omogeneo, sottratto
alla storia e alla partecipazione civica, può impedire di vedere i
codici culturali che stanno prendendo forma. E che, semmai, andrebbero
sostenuti e difesi.
Note
1. C.
Wright Mills, L'immaginazione sociologica, Milano, il
Saggiatore, 1968, p. 13. torna
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2.
Per una recente riflessione sulle diverse dimensioni della memoria
vedi P. Jedlowski, "Rassegna Italiana di Sociologia, n. 3, 2001. torna
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3. D. Harvey, La
crisi della modernità, Milano, il Saggiatore, 1997, p. 295 (ed.
or. 1990). torna
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4. D. Archibugi, D.
Held e M. Koehler, Re-imagining Political Community. Studies in
Cosmopolitan Democracy, Cambridge, Polity Press, 1998. torna
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