Buona riforma o riforma da buttare?
di
Laurana Lajolo

La riforma dei cicli rischia di essere travolta dalla bufera politica e culturale. La presentazione della nuova configurazione della scuola cade in campagna elettorale e diventa momento centrale dell’opposizione dei partiti del Polo.E questa potrebbe essere una questione politica esterna al mondo della scuola.

Il ruolo degli insegnanti
Deve, invece, far riflettere che la riforma, ritenuta necessaria da almeno venti anni e in parte già annunciata con le molte sperimentazioni in atto, non trova il consenso della maggior parte degli insegnanti. Come mai gli stessi insegnanti, che hanno da tanti anni richiesto una riforma che adeguasse la scuola alle nuove esigenze formative degli studenti e ai bisogni culturali della società, ora fanno sciopero e si trovano dalla stessa parte degli oppositori culturali dell’innovazione ? Come mai le organizzazioni degli insegnanti non collegano le giuste rivendicazioni di aumenti di stipendio con proposte di riforma : contenuti formativi e competenze, metodologie adeguate ai nuovi stili cognitivi? Perché rimanere sul "particulare" del ruolo del maestro e di quello del professore, senza accettare la prospettiva (avanzata da molti anni) del ruolo unico della funzione docente, pur nelle rispettive specializzazioni ?

Si potrebbero fare molte altre domande, per affrontare un problema nuovo nella storia degli ultimi trent’anni della nostra scuola : il Ministero fa una proposta innovativa e gli insegnanti la bocciano, con un ribaltamento dei ruoli precedenti, quando erano i docenti a chiedere la trasformazione della scuola e il mondo politico ad avere paura delle modificazioni.

E’ evidente che la considerazione sociale e la condizione salariale dell’insegnante sono decisamente mediocri, che sulla scuola si sono rovesciate responsabilità, che prima erano della famiglia e di altre agenzie educative operanti nella società, che la demotivazione non è solo degli studenti nei confronti degli esiti della scuola, ma anche degli insegnanti, e così via, ma questo non basta a spiegare il disorientamento e l’ampio fronte di opposizione, che si sta sviluppando.

Berlinguer ha imposto, in modo anche autoritario, i suoi progetti riformatori, senza il necessario coinvolgimento degli attori, in questo caso gli insegnanti. Prima ha assunto provvedimenti settoriali, come l’insegnamento del ‘900 a scuola, che, nonostante qualche incertezza iniziale, è stata ben assorbito dalla scuola, e il prolungamento dell’obbligo a 15 anni, anche questo messo in atto senza grandi difficoltà.

Anche interventi strutturali, come la riforma dell’assetto organizzativo della scuola, con il provvedimento dell’autonomia delle istituzioni scolastiche, la riforma del Ministero e dei provveditorati provinciali hanno suscitato incertezze e malumori, ma non la rivolta.

Invece, ora, che il successore De Mauro intende completare l’iter della legge, già approvata dal Parlamento, sulla riforma dei cicli, con la definizione degli assi culturali della formazione scolastica, è emerso un quadro contraddittorio e confuso delle reali esigenze della scuola e delle aspettative di cambiamento o di conservazione del sistema scuola.

E’sicuramente mancata la discussione approfondita e la consultazione degli insegnanti, dei capi d’istituto, dei genitori e degli studenti delle superiori, anche se il Ministero ha tenuto contatti con le associazioni disciplinari e di insegnanti, con il mondo accademico, con qualche agenzia formativa, (tutti rappresentati nella Commissione per la riforma) ma, evidentemente questo non è stato sufficiente a fare chiarezza sull’elaborazione delle proposte e sull’articolazione delle fasi di attuazione.

C’è, comunque, un dato nuovo, che vale la pena di registrare: la "mutazione" politica di insegnanti, che avevano rivendicato nel passato le riforme e che ora non sono disposti ad attuarle secondo le intenzioni del Ministro.

La centralità politica della scuola
De Mauro si è mosso con ingenuità politica e diplomatica e ha gestito, direi, dall’"esterno" un progetto non suo, creando, nonostante qualche tentativo confuso di costruire consenso, le premesse per un possibile fallimento della riforma. Ma la stessa maggioranza di centro-sinistra ha sottovalutato la complessità e la rilevanza politica, culturale e sociale della riforma, pensando che fosse una qualsiasi procedura parlamentare, legata alla maggioranza dei voti e non un intervento radicale sui nostri assetti tradizionali di concezioni culturali, pedagogiche e disciplinari. Ed è inevitabile che ora la minoranza parlamentare, in clima di elezioni, strumentalizzi tutte le forme di dissenso, anche contraddittorie tra loro, per bloccare la riforma, senza altra proposta sostitutiva.

Vi è anche una schiera di opinion-leaders, di docenti universitari e di autorevoli giornalisti, che senza conoscere il tracciato della riforma, si oppongono, da un lato, sulla base di vecchie nostalgie per la "maestra dalla penna rossa", dall’altro con la difesa delle discipline, secondo il modello Gentile, e della vecchia scuola umanistica come la migliore. Oscillano tra il dire che gli studenti alla scuola superiore non imparano niente e il sostenere che la nostra scuola è la migliore d’Europa. Il modello è ancora quello del Liceo classico, senza prendere in considerazione che quella scuola è frequentata dal 5% degli studenti.

Mi sembra che non non si tengano in conto le esigenze della scuola di massa, che ha ormai una tradizione trentennale nel nostro paese, e, insieme le sacche di esclusione dalla scuola e di analfabetismo di strati sociali consistenti. Le polemiche puntano su elementi concreti, ma ristretti, e fanno perdere l’orizzonte generale della necessità della riforma, che è quella di adeguare la formazione scolastica alle nuove esigenze formative e di lavoro, facendo i conti con la tecnologia, la globalizzazione e nel contempo l’identità culturale italiana ed europea.

Nella gestione ministeriale della riforma dei cicli, si è fatto molto in fretta e, nello stesso tempo, si è perso tempo. La Commissione per la riforma ha lavorato dalla fine di giugno all’inizio di settembre con sole tre riunioni di gruppo, troppo poche per sviscerare la portata dei problemi sul tappeto, ma ci sono voluti circa due mesi per fare il documento da sottoporre al Parlamento. Sulla Commissione ho già espresso la mia opinione e rimando al mio contributo Come ha lavorato la Commissione?

La riforma dei cicli
Ora preferisco parlare della riforma dei cicli e dei nodi che sono emersi come inconciliabili. Primo punto: nella scuola di base si contesta la compresenza di competenze professionali diverse di maestri e di professori della media. Gli elementi di contrasto mi pare partano dalla condizione degli insegnanti e dalle modalità di cooperazione tra loro piuttosto che dalle esigenze dei bambini delle elementari, che sono già abituati a diverse figure compresenti (che siano maestri o professori a loro importa poco). Più interessante sarebbe il dibattito sulle competenze necessarie per insegnare nella fascia dall’infanzia alla preadolescenza, secondo quali scansioni formative e quali ambiti e discipline.

Personalmente ritengo necessario connettere questi problemi con il collegamento tra scuola di base e biennio, in quanto conclusione dell’obbligo scolastico, con un’articolata espansione/connessione della scuola media con i primi anni di superiori. Invece, l’attuale impianto di discussione, voluto così anche dal Ministro, rinchiude la scuola di base nei sette anni e considera il biennio esclusivamente come inizio della scuola superiore.

Non si sta approfondendo il problema particolarmente qualificante del rapporto tra i contenuti e le competenze, snodo fondante della riforma, almeno nelle intenzioni originarie di Berlinguer, che oggi è decisamente in secondo piano, se non abbandonato. In quello snodo sta, invece la novità della futura scuola : pensare, cioè, che le conoscenze debbano poter essere applicate ed utilizzate sia per continuare a conoscere sia per operare e lavorare. Non credo che questo sia la copia del modello americano, che ha altre radici e impostazioni, ma la risposta, il più possibile adeguata, alle nuove esigenze di conoscenza e di abilità operative.

Mentre la riforma della scuola si impantana nella definizione dell’articolazione dei cicli e dei curricoli, si stanno attuando altri pezzi: l’autonomia, dopo l’assetto organizzativo, dovrà provvedere anche a quello contenutistico dei programmi, ma ciò non sarà possibile senza la definizione ministeriale dei curricoli. Inoltre, è stato approvato l’obbligo formativo a diciotto anni, che implementerà, in mancanza d’altro, l’istruzione professionale extra-scolastica delle fasce meno acculturate. Infine, è in via di attuazione la riforma del Ministero e l’abolizione dei provveditorati, modificando strutturalmente l’impalcatura burocratica del sistema scolastico nazionale.

Rimane, invece, a livello di proposta la nuova formazione professionale degli insegnanti, ma anche questa è soggetta e forte critiche e a contraddizioni con i modelli appena strutturati dall’Università delle scuola di specializzazione. In sostanza, una parte consistente della riforma pensata da Berlinguer è in corso, ma mancano i due tasselli cardini della formazione scolastica : la preparazione dei docenti e le prospettive formative degli studenti. E non è poco.