Questa
relazione avrebbe potuto essere sinteticamente titolata "la crisi del paradigma
antifascista". Questo infatti è quanto emerge dal recente dibattito sviluppatosi in
campo storiografico intorno alla Costituzione e allidentità nazionale. In questa
rassegna ci si occuperà dunque della crisi del paradigma antifascista, di un paradigma
storiografico cui vanno senzaltro riconosciuti molti meriti, un paradigma che per
decenni ha permesso lavanzamento degli studi storici e che ha anche costituito, per
unintera generazione di protagonisti, lo sfondo interpretativo del sistema politico
nazionale e il quadro dellazione politica stessa. La commistione tra aspetti
storiografici e aspetti politici può sembrare poco accettabile dal punto di vista di chi
abbia soprattutto di mira uno scopo conoscitivo, tuttavia è constatazione innegabile che
nel nostro paese - almeno in questo caso - le due dimensioni si sono sempre rapportate
luna allaltra: ci troviamo di fronte, in altri termini, a un paradigma storico
- politico.
In cosa consisteva il "paradigma
antifascista"? Spesso coloro che ne sono stati i principali elaboratori e sostenitori
ne hanno avuto scarsa consapevolezza, lo hanno cioè ritenuto come un modo naturale di
vedere le cose, lunico modo possibile: si tratta di un paradigma che "si è
formato" attraverso complesse stratificazioni e che solo successivamente è stato
riconosciuto per quello che è, un paradigma interpretativo come tanti altri. È curioso
ma non infrequente che solo nel momento della crisi il paradigma diventi del tutto
visibile nella sua unilateralità e nelle sue caratteristiche di fondo.
Schematizzando alquanto, gli elementi essenziali del
paradigma storico - politico antifascista sono questi:
* il fascismo - comunque lo si voglia interpretare - ha costituito
un corpo estraneo che si è impadronito dellItalia;
*gli italiani, dopo aver subito linganno del fascismo, hanno
rifiutato la dittatura, la guerra e loppressore nazifascista;
* la Resistenza, in quanto lotta unitaria antifascista, ha
rappresentato il riscatto morale della nazione;
* la Costituzione della Repubblica è espressione
dellantifascismo;
* la collaborazione unitaria delle forze antifasciste si è
interrotta nel 1948 (e la Costituzione fondata sullantifascismo è rimasta in parte
senza attuazione);
* lantifascismo è comunque rimasto vivo nell"arco
costituzionale" (che univa tutti i partiti antifascisti, sia quelli abilitati a
governare, sia quelli non abilitati (cioè il PCI - e per un certo periodo il PSI).
Il paradigma antifascista venne elaborato e si
impose nel periodo resistenziale (venne quindi elaborato nel campo dellazione
politica) e venne adottato abbastanza acriticamente, anche dietro la spinta degli eventi
nazionali e internazionali. In altri termini, la storia del paradigma antifascista
coincide per molti versi con la storia del sistema politico italiano del secondo
Novecento. Dopo la Resistenza, per un lungo periodo, in Italia si è instaurato un sistema
politico bloccato, caratterizzato da: 1) marcato isolamento del MSI, considerato come il
rappresentante epigono del fascismo (in questo frangente i concetti di nazione e di patria
vennero abbandonati dalle culture politiche dellarco costituzionale antifascista e
divennero tipici del linguaggio propagandistico della destra); 2) alleanza antifascista da
parte di tutte le forze dell"arco costituzionale"; 3) per quanto concerne
il governo del paese, conventio ad excludendum nei confronti dei partiti della
sinistra (PCI e PSI fino agli anni Sessanta). Questo assetto politico interno
corrispondeva in maniera precisa alla situazione internazionale determinatasi
nellambito della Guerra fredda: gruppi e partiti della destra filofascista vennero
tollerati dalle forze liberaldemocratiche internazionali (e probabilmente usati) in
funzione anticomunista; le forze della sinistra comunista vennero permanentemente
contenute ed escluse dal governo. La sottolineatura dellesistenza di uno
schieramento antifascista intendeva alludere proprio a quel breve periodo di
collaborazione tra tutte le forze antifasciste, nel corso della Resistenza e nella
Repubblica prima del 1948, e sottolineare la disponibilità democratica del PCI; tuttavia,
nella impossibilità pratica di realizzare in Italia unalternanza di governo,
lantifascismo fu costretto ad assumere una connotazione virtuale, celebrativa, e a
non concretarsi nei processi tipici di una democrazia matura dellalternanza.
In questo senso lantifascismo dopo il 1948
ebbe un campo dazione assai limitato: poteva al più svolgere il ruolo di custode
della memoria di un significativo periodo della storia dItalia, poteva operare
politicamente in termini di vigilanza nei confronti dei rigurgiti dell'estremismo fascista
(che ci furono...), oppure ancora poteva - vista la situazione internazionale - anche
attribuirsi una caratterizzazione pacifista, volta a diminuire la tensione nei rapporti
tra i blocchi. Qualunque fuoriuscita da questi limiti avrebbe rotto equilibri potenti e
consolidati, stabiliti a livello nazionale e internazionale. Questa situazione di
ingessamento, dovuta alla Guerra fredda, contribuì quindi a trasformare
lantifascismo in uno schieramento ideale e a svuotarne in parte i contenuti
politici: la situazione internazionale e nazionale risultò bloccata per decenni e
lantifascismo finì per assumere una connotazione ripetitiva, ufficiale, formale,
incentrata intorno alle celebrazioni unitarie delle ricorrenze e ad una storiografia
celebrativa consolidata (in un contesto in cui ormai le forze appartenute
allantifascismo erano fra loro ostili e divise). Questa spaccatura dentro
lantifascismo ha costituito in effetti una delle ragioni di debolezza
dellesperienza del primo periodo Repubblicano (anche se oggi ciò non viene
solitamente rilevato): in altri termini, il complesso di valori che avevano contribuito
alla costruzione della Costituzione hanno subito un processo di tacitazione, sono stati
messi da parte in nome del conflitto tra i blocchi e non hanno potuto operare in termini
di formazione del senso di cittadinanza.
Ciò spiega anche perché lantifascismo non
sia riuscito a tradursi in effettiva educazione dei cittadini: poiché una parte dello
schieramento antifascista venne considerato come "eretico", non poteva certo
darsi luogo a una visione unitaria e consolidata del corpus di valori fondanti e della
storia dItalia tale da poter essere trasmessa, senza sospetti e senza conflitti,
alle giovani generazioni. Leducazione civica, invece di essere educazione valoriale
(una "religione civile", come è stata definita da Rusconi), finì per tradursi
in pochi spezzoni di cultura giuridica, aridi e assolutamente poco fondanti (per di più
tardivamente introdotta nelle scuole - come è noto lintroduzione della educazione
civica nelle scuole è avvenuta nel 1958). Leducazione civica formalistica venne
sostanzialmente disattesa, affogata nella marea del burocratismo scolastico; quella
sostanziale, ovvero il processo effettivo di socializzazione delle giovani generazioni,
prese le opposte strade delleducazione religiosa (in campo cattolico) oppure
delleducazione politica di sinistra o della militanza (in campo comunista),
generando tra laltro i presupposti per la conflittualità radicale degli anni
Sessanta e Settanta. Il complesso valoriale unitario dellantifascismo venne così
"spezzato" e disciolto nelle culture di massa che componevano lItalia e
non trovò più la propria unità. Nonostante taluni lodevoli tentativi, si giungerà a
quella odierna "rottura della memoria" tra le generazioni che molti lamentano,
ma di cui non si vuol riconoscere le cause profonde.
Il paradigma antifascista è stato un paradigma
illusorio? Di facciata? Oggi alcuni orientamenti politici (che si servono piuttosto
spregiudicatamente della storiografia) tendono a considerare il paradigma antifascista
come unastuta costruzione ideologica della partitocrazia. Al di là delle
valutazioni di parte, va comunque riconosciuto che il paradigma antifascista aveva la
proprietà di corrispondere in pieno alle possibilità che erano date, nellambito
della situazione internazionale e nellambito della situazione interna.
Oggi si ritiene da più parti che il paradigma
dellantifascismo sia in crisi. Se non altro una spia della crisi è costituita dal
fatto che esso non viene più dato per scontato e viene costantemente sottoposto a
critiche e riaggiustamenti.
Quali sono le cause che hanno determinato la crisi
del paradigma storico - politico dellantifascismo? Si possono indicare due cause
principali riferibili al contesto storico e sociale generale:
-la fine definitiva della guerra fredda intorno al
1989;
-la divaricazione progressiva tra globalizzazione e
dimensione locale.
Più specificatamente, in Italia si ebbero vari
eventi significativi:
1) sul piano politico, in seguito alla crisi del
comunismo del 1989, lo sdoganamento del MSI e del PCI; si ebbero le prime proposte di
revisione della Costituzione; si ebbe un mutamento radicale negli schieramenti politici
italiani (dovuto alla crisi più generale dellassetto partitico che sosteneva il
quadro antifascista - Tangentopoli ne segnò il fallimento più esplicito); si ebbe anche
l'emergere di una forza che per la prima volta ha messo in discussione la stessa unità
nazionale;
2) sul piano storiografico si ebbero due novità
degne di rilievo: la pubblicazione e la diffusione dei lavori di Renzo De Felice e Claudio
Pavone.
Dato il taglio della nostra relazione, lasceremo
sullo sfondo gli aspetti più propriamente politici, per addentrarci nelle questioni di
ordine storiografico. La ricerca storiografica di R. De Felice (per altro ancora oggi
assai contestata) ha contribuito, come è noto e come ormai e pressoché universalmente
riconosciuto, a scuotere alcune delle certezze fondamentali del paradigma antifascista
intorno alla natura del fascismo stesso; in particolare ha mostrato il carattere di
movimento del fascismo e il non indifferente consenso di massa ottenuto dal regime, per lo
meno in un certo periodo. Non è questa la sede per esaminare criticamente lopera di
De Felice: qui basta rilevare che per la prima volta si riesaminava quanto era invece
ormai dato per scontato, dando origine a una serie di nuove ricerche e di dibattiti. Le
prime reazioni allopera di De Felice furono di difesa o risentimento nei suoi
confronti. Solo assai lentamente il dibattito è stato portato su un piano più
scientifico e meno ideologico.
La ricerca di Claudio Pavone ha messo in rilievo -
per quello che ci interessa - due aspetti principali. In primo luogo ha rilevato la
compresenza nella Resistenza, in quello che fino ad allora era considerato come un
fenomeno unitario, di tre conflitti: un conflitto di classe, una guerra patriottica e una
guerra civile. Con questa nuova sintesi teorica la Resistenza tornava a essere
problematizzata, tornava a mostrare sfaccettature contrastanti. Naturalmente
laspetto innovativo più interessante della teoria di Pavone concerne il
riconoscimento dellesistenza di una "guerra civile". Ciò implicava per la
prima volta lammissione esplicita di una spaccatura profonda tra gli italiani e
lammissione della possibilità che la Resistenza non fosse idealmente
rappresentativa di tutti gli italiani. In secondo luogo, attraverso il metodo di lavoro di
Pavone, fondato soprattutto sullo studio della soggettività, si sviluppò la tematica
della "moralità" della Resistenza: si aprì così la porta allo studio e al
riconoscimento di una qualche forma di moralità anche presso le altre componenti della
guerra civile, e dunque anche della moralità dei combattenti di Salò. Questo è stato
uno dei punti più controversi, poiché è sembrato a taluni che si volesse mettere sullo
stesso piano nazifascisti e resistenti. Ancora una volta non si è tenuto conto
dellesigenza di distinguere: distinguere tra la comprensione del senso
dellagire dellattore (chiunque esso sia) e la giustificazione storica; le due
cose vanno tenute distinte, anche se oggi molti hanno interesse a non operare distinzioni
Quali sono state le reazioni a questo nuovo clima
indotto sia dalle trasformazioni politiche che dalle su citate nuove prospettive
storiografiche? Naturalmente ci sono state reazioni sia in campo storiografico che in
campo politico. Dato il carattere di questo intervento, ci occuperemo principalmente delle
reazioni in campo storiografico (anche se spesso contagiate da considerazioni di ordine
politico). Nel proseguimento di questa relazione tenteremo quindi di esaminare alcuni
degli interventi più significativi, tentando poi, in conclusione, una discussione critica
delle varie teorie avanzate.
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