Dove va la scuola?
 di Maria Caterina Saba
Commissione Didattica dell'Istituto Sardo per la Storia dell'Autonomia

 

     Già da tempo la nostra attenzione è rivolta alla riflessione sull'importanza e sulle reali possibilità dell'innovazione didattica nella scuola. Sarebbe un peccato disperdere il patrimonio di esperienza raccolto dagli istituti che ha già inciso, sebbene in modo ancora elitario, tuttavia con buoni risultati, riscuotendo l'apprezzamento e suscitando l'impegno da parte degli insegnanti più sensibili e più desiderosi di migliorare la loro professionalità per costruire una scuola a misura di alunno.

     Il nuovo governo ha bloccato la riforma dei cicli. Su questa riforma, anche noi che l'abbiamo sostenuta avevamo delle riserve e soprattutto abbiamo condiviso con buona parte dei docenti la critica alla fretta con cui è stata studiata e "imposta", senza un reale coinvolgimento degli insegnanti che la dovevano attuare. Altri aspetti invece erano da noi apprezzati, specie quelli relativi all'innovazione didattica, alla formulazione di un curricolo che si basasse, oltre che su una selezione di contenuti ispirati a chiare e condivise finalità formative, sulla trasversalità delle competenze, e sulle esigenze espresse dalle situazioni locali, nonché sull'attenzione alla personalizzazione dei percorsi.

     Da quanto trapela dai mass media sulle intenzioni del Ministero della Pubblica Istruzione, abbiamo ragione di temere un pauroso ritorno al tradizionale che cancellerebbe di colpo ogni sforzo di adeguare il nostro sistema formativo alle esigenze di crescita democratica di giovani che, per la maggior parte, già vivono situazioni di forte disorientamento culturale e di difficoltà di inserimento nel mondo del lavoro, e quindi nella società che produce; e pertanto sperimentano, con diversi gradi di consapevolezza, la difficoltà di percepirsi come soggetti che possono essere artefici del proprio futuro.

     Ci siamo impegnati nella riflessione e sentiamo il dovere di esprimerci. Non ci importa se non ci vogliono coinvolgere. Noi ci sentiamo coinvolti e preoccupati.

     L'aspetto più sconcertante è indubbiamente il rischio di abbandono della scuola pubblica a vantaggio di quella privata che sarebbe un chiaro segno di mancato rispetto del diritto allo studio per tutti. Garantire a tutti le stesse possibilità di crescita culturale è segno di sensibilità democratica. Un paese civile deve investire risorse nell'educazione e garantire il funzionamento di tutte le strutture che hanno compiti educativi e formativi, in primo luogo quelle pubbliche. La scuola non deve essere un luogo di selezione, ma di accoglienza e di potenziamento. Se non riuscirà ad esserlo sono assicurati pericolosi meccanismi di emarginazione, basati appunto sulla incapacità e impossibilità delle fasce più deboli e meno consapevoli di difendere i propri diritti e di acquisire il senso del dovere, senso che nasce spontaneamente dalla forte appartenenza ad una comunità, locale, statale e umana basata non sulle celebrazioni, ma sulla consapevolezza di finalità comuni e di responsabilità condivise. La scuola è il luogo per eccellenza dell'integrazione sociale e della crescita democratica. Questa è una questione politica ormai di importanza non solo nazionale, ma europea. La qualità dell'istruzione non deve essere affidata allo sviluppo della scuola privata, ma deve essere un obiettivo prioritario del sistema pubblico.

     Nell'attuale situazione di incertezza dove quotidianamente sono ventilate nuove proposte, nessuna delle quali è chiara, e soprattutto si teme che l'effettiva realizzazione di innovazioni serie sia rimandata a tempi indefiniti in quanto non emerge la certezza che siano messe a disposizione le necessarie risorse finanziarie per l'adeguamento delle istituzioni scolastiche pubbliche alle esigenze formative del mondo contemporaneo, vogliamo sottolineare almeno qualche questione chiave della riqualificazione del sistema scolastico.

     Consideriamo di primaria importanza il dibattito sulla figura professionale del docente. Il potenziamento della didattica è un dovere morale. L'insegnante di oggi deve rafforzare notevolmente le proprie competenze comunicative, deve essere aggiornato sui contenuti delle discipline e consapevole dell'importanza che ha il rapporto tra i risultati della ricerca e la mediazione didattica. .

     Finora formazione e aggiornamento sono ancora troppo elitari, per incidere veramente nella generalità dei casi. Non a tutti sono date le stesse possibilità di dedicare tempo alla formazione e al confronto. La cultura dell'autonomia non è ancora assimilata, ma nelle condizioni attuali rischia di diventare un fatto esclusivamente burocratico, non un cambiamento di mentalità che dovrebbe sviluppare il senso della responsabilità e della corresponsabilità. E perché questo si eserciti veramente bisogna creare le condizioni che facciano della scuola non un'isola, né un'azienda, ma una comunità dove tutti si sentono impegnati a migliorare il clima relazionale e sperimentare nuove strategie di comunicazione volte alla formazione di un alunno che maturi conoscenze, competenze e atteggiamento critico. La sperimentazione e l'innovazione didattica e quindi la riflessione sul rafforzamento delle competenze professionali del docente e sulla qualità del suo impegno pedagogico hanno vissuto finora di volontariato e di militanza.

     Nella scuola invece devono crearsi le condizioni per il lavoro d'équipe e interdisciplinare; la mancanza di questa possibilità preclude l'integrazione dei saperi e lo sviluppo di abilità trasversali, fondamentali nella nuova concezione della cultura e nella comprensione del mondo contemporaneo.

     Riteniamo limitativo non tenere conto del dibattito svoltosi finora sulla centralità educativa della storia e sulla programmazione curriculare di valore interdisciplinare. E’ importante la valorizzazione di quel patrimonio di riflessione che in questo campo è stato già portato avanti da persone competenti e non da esperti improvvisati di questioni scolastiche che non hanno alcuna esperienza didattica. Chiediamo la valorizzazione dell'impegno profuso nella riflessione sugli standard di preparazione, sulle scelte curriculari, sul tipo di formazione necessaria a sostegno del lavoro degli insegnanti. Ciò è importante per consolidare le pratiche dell'autonomia

     Riteniamo inoltre negativa la concezione di una cultura elitaria di stampo classico umanistico per una parte dell'utenza destinata ad essere classe dirigente e l'idea di una cultura esclusivamente professionale per chi ha necessità di inserirsi in tempi più o meno brevi nel mondo del lavoro. Ci si rifà a un concetto di cultura ormai superato, una cultura funzionale solo a mantenere una separazione fra i ceti sociali già distinti dalle diverse possibilità economiche, alcuni dei quali sono timorosi di perdere i loro privilegi. Ma come reagiranno gli emarginati quando la forbice fra chi ha e chi non ha, fra chi sa e chi non sa diventerà insopportabile?

     Una scuola democratica deve assolutamente contrastare la tendenza alla privatizzazione e alla esclusione dalle conoscenze perché la sua missione è quella di garantire, in una logica di pari opportunità, l'accesso di tutti alla conoscenza qualificata, che è fatta di reale incontro tra cultura umanistica e cultura tecnologica, di formazione integrale, di competenze trasversali.