Il Convegno SISSCO su "Storia contemporanea e scuola"
  Note a margine
di Antonino Criscione

    

Sul rapporto tra storia contemporanea e scuola non sono mancati, nel corso degli ultimi anni, interventi, proposte, prese di posizione da parte di vari soggetti a diverso titolo coinvolti o interessati al problema. Basti ricordare la discussione svoltasi nei primi mesi del 2001 sulle proposte di riforma del curricolo di storia elaborate e approvate dalla Commissione De Mauro, e le contrapposizioni emerse in quella occasione sul ruolo e la collocazione della storia del Novecento, sulla importanza della dimensione non solo nazionale o europea ma mondiale della storia da studiare a scuola, su metodi e prospettive dell'insegnamento della storia nella scuola italiana. Questa discussione, della quale c'è una consistente documentazione (cfr il Dossier ospitato nel sito della SISSCO e  la rubrica "sportello scuola" di questo sito), attende ancora di essere analizzata nei suoi vari aspetti e in relazione con dibattiti analoghi, che si sono svolti nella seconda metà degli anni '90 in vari altri paesi, come gli USA, la Spagna, la Francia. Che la questione del rapporto tra storia contemporanea e scuola sia ancora aperta lo dice l'attuale ministro dell'Istruzione, Letizia Moratti, secondo la quale la storia sarebbe una materia scolastica "svilita" e "mortificata" perché "troppo concentrata sullo studio del '900, troppo poco sensibile all'insegnamento delle radici classiche, cristiane e umanistiche della nostra civiltà" (intervista a Letizia Moratti, "Corriere della Sera", 29 marzo 2002, pag. 9).

Nel Convegno su "Storia contemporanea e scuola", organizzato a Perugia nei giorni 9-11 maggio 2002 dalla SISSCO e dal Dipartimento di Scienze Storiche dell'Università di Perugia, le relazioni hanno concentrato l'attenzione su alcuni specifici punti. La formazione degli insegnanti e i libri di testo sono stati i due temi principali di questo convegno, con una decisa prevalenza della questione dei manuali di storia ( cinque delle dodici relazioni previste e delle dieci relazioni effettuate), mentre nessuna relazione ha trattato il tema del curricolo di storia e del dibattito recente su di esso.

L'inserimento della contemporaneità nei programmi scolastici è stato trattato da Mauro Moretti (Scuola Normale Superiore di Pisa), il quale ha tracciato una panoramica dei programmi di storia e del loro significato dall'Unità d'Italia ad oggi. Parzialmente eccentriche rispetto alla cornice delimitata dalle linee di attenzione prevalenti nel Convegno sono state le relazioni di Alberto Cavaglion (Istituto Piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea) su "Memoria del Novecento e storia contemporanea" e di Paola Di Cori (Università di Urbino) su "Apprendimento e storia". Alberto Cavaglion, partendo da una riflessione sulla "didattica della Shoah", ha svolto alcune considerazioni sulla didattica della memoria e sulla relazione tra memoria e storia: se è vero che il lavoro in classe sulla Shoah può sviluppare occasioni di interesse e di interazione nuove, è altrettanto vero che spesso le aspettative vengono deluse per il carattere di eccezionalità e di "trascendenza" assegnato all'evento; in una società sempre più smemorata, nella quale l'amnesia tende rapidamente a evolversi in "amnestia", il ruolo dell'insegnante di storia diventa problematico, soprattutto se egli non è convinto del progetto di una scuola solo ed esclusivamente "memoriosa"; la "Giornata della memoria" nel nostro paese è stata istituita "dall'alto", senza una discussione ampia e profonda dentro la società civile. Paola Di Cori ha approfondito alcuni aspetti del rapporto tra modelli didattici e apprendimento della storia sottolineando come negli ultimi anni ad una maggiore attenzione nei confronti delle caratteristiche dell'apprendere storia corrisponda un allentamento dei legami tra "fare ricerca storica" e "insegnare storia". Un mutamento importante nel modo di insegnare storia consiste nel ruolo sempre maggiore svolto dalle immagini e dai supporti visivi: "fare" storia tende sempre più a diventare "far vedere" o "mostrare" storia. Nell'apprendimento l'elemento visivo acquista quindi un ruolo maggiore, mentre alcuni elementi importanti dell'identità della disciplina, come la causalità e la temporalità, vengono messi in discussione da questi cambiamenti.

Sulla formazione degli insegnanti si sono soffermate le relazioni di Pietro Causarano (Università di Firenze) e Elda Guerra (Laboratorio Nazionale per la Didattica della Storia): mentre Causarano ha ricostruito la storia della formazione e dell'aggiornamento nell'Italia repubblicana in relazione all'insieme della categoria degli insegnanti, Guerra ha ripercorso la travagliata storia delle Scuole di Specializzazione all'Insegnamento Secondario con particolare riferimento alla formazione iniziale dei futuri insegnanti di storia, sottolineandone gli aspetti problematici, legati in buona parte al rapporto con le struttur dell'Università, ma insistendo anche sugli elementi di novità e di positività che questa esperienza ha dimostrato fino ad ora.

I libri di testo di storia sono stati, come già detto, al centro di questo Convegno, e ad essi sono state dedicate le seguenti relazioni: Luca Baldissara (Università di Pisa), "Le alterne sorti del manuale di storia"; Giovanni Belardelli (Università di Perugia), "Il fascismo nei manuali"; Alessandro Campi (Università di Perugia), "Il comunismo nei manuali"; Falk Pingel (Georg-Eckert-Institut für Internationale Schulbuchforschung, Braunschweig), "Europe in European history textbooks"; Teresa Bertilotti (University of Essex), "Le donne nei manuali europei".

Per molto tempo si sono alternati, a proposito dei manuali di storia, modi diversi di intendere il loro ruolo nonché vari approcci alla loro analisi. Il manuale di storia è stato di volta in volta considerato principalmente come prodotto storiografico, come veicolo fondamentale di acculturazione politica e quindi portatore di valori e di "educazione civica" in senso lato, come strumento di lavoro in contesti di insegnamento/apprendimento della storia. La caratteristica principale del dibattito italiano su questi temi a partire dagli anni '50, sul quale si è soffermata la relazione di Baldissara, è stata il suo progressivo spostarsi da un'impostazione prevalentemente ideologica, fortemente legata ai temi emergenti nella sfera politica o politico-istituzionale, ad un'impostazione prevalentemente didattica,  legata alla riflessione sulle condizioni che rendono possibile un insegnamento e un apprendimento della storia efficaci e verificabili e al ruolo, secondo alcuni negativo, del manuale in tale contesto. Se in una prima fase l'attenzione era stata orientata dalla denuncia della mancata defascistizzazione dei manuali di storia per il prevalere in essi di contenuti nazionalistici, a partire dagli anni '70 la discussione si è incentrata sulla validità e l'utilità del manuale, ponendo domande precise sugli aspetti epistemologici della questione più specificamente legati alla didattica della storia. Nel corso dei decenni successivi questa discussione si è inserita nel più ampio dibattito sui curricoli di storia e sulla riforma della scuola e ha determinato un certo rinnovamento della produzione editoriale. A partire dagli anni '90 possiamo osservare come due elementi siano intervenuti a complicare il quadro e a scompigliare le carte: da una parte la fine della guerra fredda e del Novecento, dall'altra parte la diffusione di massa delle nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione. Tutto ciò pone non pochi problemi agli insegnanti di storia e, in seconda battuta, agli autori di manuali e alle case editrici, se non altro sul terreno dell'aggiornamento delle informazioni, della verifica di concettualizzazioni, della proposta di documenti o di spunti adeguati di analisi e interpretazione, dell'innovazione nelle forme comunicative. Buona parte dei manuali oggi in circolazione ha subito trasformazioni consistenti sia nei contenuti (molteplicità di "storie" e di spazi, attenzione alla storia del Novecento, ampliamento delle basi documentarie) sia nella struttura ( forme di organizzazione interna che richiamano l'ipertesto, accorgimenti grafici, attività di laboratorio, ruolo delle immagini, accoppiamento con Cd-rom e videocassette o siti Web) fino al punto di "esplodere", moltiplicando volumi e strumenti di lavoro nonché disseminandosi in varie forme. Il manuale si è così trasformato assumendo una struttura più vicina a quella dell'enciclopedia, più utile ed efficace per opere di reference che non per finalità propriamente didattiche. La consultazione di un'enciclopedia presuppone infatti che il lettore sia già in possesso di quadri concettuali, strutture, regole di funzionamento conoscenze significative, propri del campo del sapere oggetto di studio. In un contesto di insegnamento/apprendimento tutto questo non può essere presupposto ma rappresenta l'ambito specifico dell'intervento. Si viene così a determinare un singolare paradosso: da una parte l'innovazione didattica spinge a rendere centrale il ruolo del soggetto che apprende, dall'altra parte l'utilizzo di questi nuovi strumenti rende centrale il ruolo del docente che guida lo studente nello studio e nell'utilizzo dei materiali didattici innovativi adottati.

Le relazioni di Pingel e Bertilotti hanno presentato informazioni e spunti di riflessione sui nuovi termini in cui la questione dei manuali si pone, nonché rispetto al modo in cui alcuni temi (l'Europa, le donne) vengono presentati e al ruolo svolto dai testi scritti, dalle immagini, dalla relazione tra testo e immagini. Particolare attenzione è stata dedicata al rapporto del manuale con i concreti processi di insegnamento/apprendimento che si svolgono in classe e quindi all'uso che l'insegnante ne fa come strumento di lavoro, insieme ad altri strumenti. Attraverso un'analisi impostata in termini comparativi su libri di testo di vari paesi europei sono state individuate alcune caratteristiche emergenti, come la maggiore importanza dedicata alla storia del '900 oppure la tendenza ad allontanarsi dalla storia nazionale per dare maggiore spazio all'Europa e al mondo. In molti casi, è stato osservato, all'innovazione nella struttura del manuale e nel ruolo delle immagini non corrisponde una reale innovazione sul piano dei contenuti, mentre sul piano dell'idea di insegnamento/apprendimento della storia a cui il manuale rimanda sembra a volte prevalere una concezione ancora incentrata sul ruolo del docente.

Le relazioni di Belardelli e Campi hanno invece scelto un approccio basato sull'analisi testuale di alcuni manuali di storia italiani considerando anche, soprattutto nel caso di Campi, le variazioni intercorse tra le successive edizioni dello stesso manuale. I risultati di questo lavoro, ricavati da un ricerca in corso con finanziamenti pubblici, non sono sembrati particolarmente degni di nota, se si considera che il tema del seminario era la storia contemporanea a scuola e non l'evoluzione delle posizioni politico/storiografiche di alcuni esponenti del ceto intellettuale italiano. L'aspetto meno convincente di queste relazioni stava comunque nell'approccio e nel metodo scelti, che sono sembrati riportare il dibattito sulla questione dei libri di testo di storia su un terreno prettamente politico/ideologico, così come è stato posto dalla mozione su questo tema, votata dal Consiglio Regionale del Lazio alla fine del 2000. Questo orientamento, oltre a proporre una versione casareccia del politically correct impegnata a contare quante righe vengono dedicate nei manuali alle foibe o ad altri misfatti del comunismo, assegna di fatto all'insegnamento della storia nella scuola il ruolo di trasmettere una memoria storica condivisa degli italiani e formare una coscienza storica nazionale unitaria nonché "pacificata". Se è chiaro il senso politico di questa operazione, non è altrettanto chiaro che cosa tutto questo abbia a che fare con la problematicità e la criticità propri della disciplina storiografica e di una conoscenza storica che aspiri a diventare scienza.

In molti interventi nel dibattito svoltosi nel corso del convegno sono emersi problemi e preoccupazioni di taglio ben diverso, con riferimenti espliciti ai due grandi assenti dalla cornice definita dalla maggior parte delle relazioni: parlare di storia contemporanea e scuola vuol dire anche interrogarsi sul rapporto tra la storia contemporanea e gli studenti, da una parte, e gli insegnanti di storia dall'altra. Che in entrambi i casi si tratti di un rapporto problematico è per molti aspetti evidente, anche se non sempre è facile individuare i modi di manifestarsi e le radici dell'indifferenza degli uni o del disagio degli altri. Da dove nasce il deficit di conoscenza storica e/o di prospettiva storica, soprattutto per quanto riguarda il Novecento, presente non soltanto tra gli studenti ma anche tra gli insegnanti? Come può essere modificata questa situazione? Riproporre l'esistente in termini di curricolo di storia, scansione dei contenuti, metodi, organizzazione del lavoro può essere considerata una soluzione credibile, ancorché paradossale? Come può l'insegnamento della storia nella scuola confrontarsi con le domande di conoscenza che il tema della globalizzazione e delle trasformazioni in atto pone con forza? Le risposte delle istituzioni che governano la politica scolastica del nostro paese sono abbastanza chiare: la scuola deve promuovere "lo sviluppo della coscienza storica e di appartenenza alla comunità locale, alla comunità nazionale ed alla comunità europea" (art.2, comma b del Disegno di legge-delega del governo) espungendo ogni riferimento alla dimensione planetaria ed ogni prospettiva di "educazione alla mondialità" . In un documento firmato da 50 docenti universitari di tutte le aree politico-culturali, e presentato da "Il Sole 24 ore" del 7 aprile 2002 (senza l'elenco delle firme) si richiede che "i valori dell'universalità romana e cristiana siano considerati come guida e ispirazione della risposta che il Popolo Italiano deve dare alla sfida della globalizzazione". Il 17 aprile 2002 l'Assessore (AN) all'Istruzione della Provincia di Milano ha presentato il progetto "La Storia e la Verità. Nuovi strumenti per l'insegnamento della Storia nella scuola media superiore". Tale progetto prevede che la Provincia promuova la diffusione nelle scuole dei libri della collana "L'Altrotesto", prodotta da "Il Cerchio", casa editrice di impronta "tradizionalista" o, per usare un termine tecnico, "reazionaria"(da De Maistre ad Evola, per intenderci), e dall'Associazione culturale Identità Europea, vicina a Comunione e Liberazione. L'orientamento che emerge da questi tre esempi sembra ben definito: la storia a scuola ha il compito di formare una coscienza storica ancorata al tema dell'identità (locale, nazionale, europea), declinato secondo una prospettiva essenzialista e un orientamento che privilegia l'esclusione. E' lecito dubitare non soltanto della validità e della originalità di una siffatta proposta di deriva identitaria dell'insegnamento della storia, ma anche della sua congruenza in sede didattica, a meno che non si ritenga che un insegnamento/apprendimento della storia imperniato sulla biografia dello stato-nazione e sull'esaltazione dell'italianità, oltre che ristretto nei confini dell'eurocentrismo, possa costituire una risposta efficace alle sfide che la didattica della storia contemporanea oggi si trova ad affrontare in classe.