Il grande interesse di un piccolo inedito

Anna Beltrametti

 
Non sempre la pubblicazione degli inediti rende un grande servizio all’autore. Spesso le carte inedite sono anche impubblicabili per incompiutezza, per provvisorietà o scarsità di dati, talvolta anche per abbagli d’interpretazione. Anche queste pagine di Toynbee sono sicuramente pagine minori. I curatori ne mettono giustamente in luce il carattere occasionale e divulgativo: Toynbee aveva pensato questo intervento per offrire, in chiave giornalistica, uno sfondo storico a un problema che alla fine degli anni sessanta si imponeva per rilevanza sociale ancora prima che per rilevanza teorica1.

È l’ottobre del 1969 a Londra. Il mutamento delle condizioni femminili non è più un fatto di qualche sparuta élite, intellettuale o politica, di donne diverse dalle altre. Non è più neppure un fatto di mentalità in evoluzione. Esplode nel costume e investe la società: minigonne e jeans diventano i segni esteriori e vistosi di una vera e propria mutazione antropologica che si compie con l’accesso massiccio e normalizzato delle donne alla scuola e al lavoro, che si misura con la progressiva alterazione dei più consueti e assestati equilibri familiari. La preoccupazione per un presente affollato di donne oberate, schiacciate sotto il doppio impegno professionale e familiare, l’inquietudine per una società trasformata dal doppio ruolo delle donne — Toynbee la osserva e la paventa rispecchiata e condensata nel suo stesso microcosmo familiare incentrato su una nuora divisa tra la professione di medico e i compiti di madre poco aiutata di sei figlie — si rivelano presto come il vero movente e il filo conduttore di questa corsiva ricostruzione storiografica.

Compilato con la volontà di ricondurre un tema, la vita della donna — nel singolare del titolo Toynbee annulla la pluralità e le differenze delle donne riconducendole all’unicità astratta di un degno oggetto storiografico e insieme del rassicurante mitologema del femminino —, scottante in quel momento, in una prospettiva storica che lo ridimensionasse e con l’urgenza di contrastare presso un pubblico vasto, di lettrici più che di lettori, l’illusione che la trasformazione femminile fosse un reale progresso, lo scritto non si gioca su informazioni storiche di grande peso o novità. Scopre però carte importanti e rivelatrici degli interessi e del metodo di Toynbee. Come tutti gli scritti meno sorvegliati e meno scientificamente protocollari dice meno degli oggetti esplicitamente affrontati e molto di più sul soggetto della ricostruzione storiografica, svelandone le inclinazioni implicite e i percorsi sottotesto.

Toynbee avvia la sua esposizione che, sebbene destinata alla pubblicazione, ha tutti i toni della conferenza, con due domande: retorica, per la prevedibilità della risposta, la prima — quanto può essere soddisfacente la vita di una donna nell’America di oggi o in altre parti del mondo occidentale contemporaneo? —, ma funzionale a motivare nel presente occidentale l’esplorazione che seguirà; strutturale la seconda — avrebbe una vita migliore se vivesse nell’odierna Africa occidentale o in Birmania? O se fosse nata ai tempi di sua nonna o nel Medioevo o nell’Antico Egitto o nella Grecia classica? —, che imposta anche questo tema circoscritto del femminile secondo le coordinate del tempo e dello spazio che ordinano anche i più celebri lavori della sua ricerca comparatistica.

Seguono dunque alcuni quadri, rapidamente tratteggiati, delle società birmana e ibo, alcuni accenni alla sottomissione cerimoniale delle donne indù e cinesi, alla Turchia dei sultani e al ruolo di Era nella società olimpica, rapidi riferimenti alle grandi regine e imperatrici, a Caterina di Russia, Elisabetta I d’Inghilterra e, infine, a Hatshepsut che aveva conteso la sovranità al faraone Tutmosi III. Dovunque, in queste società tradizionali del passato o di contemporanee enclaves conservative, Toynbee crede di poter riconoscere per le donne condizioni di vita più favorevoli e persino più prestigiose di quelle che garantisce loro il moderno Occidente dei diritti legali e della tecnologia domestica.

Soltanto l’Atene classica, la città democratica del V secolo segnata dal trionfo della politica, quella città che per noi è, pur non essendolo, tutta la Grecia antica, ma che, senza dubbio, è il luogo delle nostre origini, delle prototipiche istituzioni basilari delle democrazie occidentali, conduce le donne — secondo Toynbee — al livello infimo della loro storia, relegandole nella casa, nell’oikos, con una operazione di esclusione progressiva che Aristotele nel primo libro della Politica arriverà a sancire anche teoricamente. Studioso, ai suoi esordi, di antichità classiche e docente di filologia classica a Oxford dal 1912 al 1915, Toynbee riserva un particolare approfondimento al mondo greco antico anche in questo scritto in cui distingue opportunamente tra Atene, Sparta e Argo, in cui, ancora più opportunamente, contrappone la Grecia delle città all’Egitto dei Faraoni, alla Creta minoica e implicitamente dunque a tutte le società del vicino Oriente.

Senza che Toynbee lo rilevi, i suoi esempi confermano, uno dopo l’altro e per sinergia, che proprio l’invenzione della politica e il principio di cittadinanza segnano l’inizio dell’inferiorizzazione delle donne. Non a caso infatti, Toynbee, dopo l’età dell’oro delle donne che crede di riconoscere nell’agricoltura della zappa precedente la tecnica dell’aratro del Neolitico, ritrova altri momenti e luoghi di splendore femminile nelle società aristocratiche e regali delle regge e dei palazzi, siano essi quelli antichi dell’Egitto o di Creta, ma siano anche quelli più modesti di Sparta2, siano essi quelli dell’Europa moderna o della Turchia fino alla prima guerra mondiale e al disfacimento dell’Impero ottomano. Anche senza che Toynbee lo sottolinei, è evidente che egli riconosce nella dimensione pubblica delle democrazie occidentali, antiche e moderne, l’ordine più estraneo all’esercizio di quell’influenza femminile che, nell’ombra dei palazzi, poteva invece condizionare le scelte del sovrano, sposo o figlio, e che per lui continua a essere il vero potere femminile, di fatto anche se non di diritto. Ed è, per contro, altrettanto evidente, anche se sottaciuto, che il prestigio delle regine, oltre che delle donne improntate al modello della regina, citate da Toynbee, sia strettamente connesso al principio di legittimità, intesa sia come purezza della discendenza sia come continuità del lignaggio, intorno al quale ruotano e sul quale si giustificano le ideologie delle società del sangue e del diritto dinastico.

In questa densa e veloce sintesi geostorica, l’intento di moltiplicare gli esempi fa sì che non tutti gli esempi siano allo stesso modo circostanziati e documentati e che quelli direttamente desunti dalle fonti greche — da Tucidide, Senofonte, Aristofane — siano anche i più risaputi. Ma non è sulle notizie, alcune delle quali scontate e altre piuttosto approssimative — lo si era già rilevato —, e neppure sulla superficiale visione del suo presente anglosassone, ricondotto alla sua comunque privilegiata famiglia e impegnata nuora, che si misura l’interesse di questo scritto. L’importanza dell’inedito è quella di far risaltare, nella brevità e nella concisione della trattazione di un tema unitario, regole e propositi storiografici meno evidenti negli scritti maggiori. Il tema femminile, qui assunto in via occasionale e quasi pamphlettistica, appare quanto mai organico ai modi storiografici di Toynbee. Sembra esplicitare un aspetto mai dichiarato, ma importante e costante degli interessi di Toynbee per le culture tradizionali, indagate in The World and the West del 19533, e per i legami dell’umanità con la Madre-terra, che sono il motivo unificante e il filo conduttore del postumo Mankind and Mother Earth del 19764. E, se per un verso esso si inscrive con estrema naturalezza, valorizzandone gli assunti e gli snodi, in questo campo di indagine comparatistica, per l’altro esso si avvantaggia di una ricerca che ha le sue coordinate specifiche nella lunga durata e nel vasto raggio.

Nello sforzo di ricostruire nella forma più rapida ed efficace le tappe salienti della "vita della donna", Toynbee anticipa e, per certi aspetti, risolve problemi che ancora oggi la recentemente istituzionalizzata storia delle donne pone5: i problemi di una periodizzazione che non sembra poter più coincidere con quella classica della storia dei grandi eventi; i problemi dei luoghi della storia che non sono più, esclusivamente, quelli delle battaglie, dei grandi trattati e, genericamente, della politica, ma comprendono gli spazi più estesi e meno connotati della vita quotidiana, dei culti, della cura dei corpi, delle nascite, delle malattie e delle morti non eroiche. Incrociando l’asse cronologico con l’asse geografico, Toynbee privilegia infatti sulla ricostruzione lineare ed eurocentrica della storia l’individuazione di aree culturali, intese come sistemi coerenti, analizzabili e confrontabili tra loro. In altri termini, sbozzando una storia delle donne che non è un progresso lineare verso il sempre meglio e neppure una vicenda di inferiorizzazioni continue e/o progressive, come alcune correnti del femminismo negli anni settanta amavano intenderla, Toynbee indica chiaramente il tema femminile come transtorico e transculturale, al contempo oggetto ideale e banco di prova del suo metodo comparativo.

Confrontando le donne del suo mondo, del suo tempo e del suo ceto, e quella che a lui, uomo di studi e diplomatico ancora ottocentesco, appare come una falsa emancipazione femminile, con le donne nigeriane e birmane contemporanee, poi con le donne antiche e le regine con le cittadine d’Atene, Toynbee innesta di fatto l’indagine antropologica sul racconto storico modificandone qualitativamente i ritmi e le finalità. L’attenzione storiografica a ricostruire le sequenze temporali appare del tutto subordinata alla descrizione dei diversi sistemi culturali: Toynbee li individua, ragionando tra velocità di mutamento nelle culture e velocità di comunicazione tra le culture, e li analizza alla luce di una serie di opposizioni binarie, riconducendoli a un modello teorico e predisponendo le condizioni della loro comparabilità. Là dove la storiografia classica mira a stabilire date assolute e cronologie relative delle carte dei diritti legali, Toynbee fa intervenire l’opposizione diritti legali vs condizioni reali e scopre che le condizioni di vita non migliorano affatto con l’estendersi dei diritti, che l’ingresso nella cultura dei diritti significa, quasi ovunque e sempre, per le donne, la fine dei privilegi loro riconosciuti nelle culture più arcaiche o arcaizzanti.

L’opposizione diritti-condizioni adatta al tema femminile un’opposizione più ricorrente negli studi di Toynbee, in particolare nei quadri di Il mondo e l’Occidente, strutturati sul binomio mutamento vs continuità e sui nessi derivati di eventi/credenze, tecnologia/religione o sfida/risposta6, secondo i quali vengono descritte le dinamiche di relazione e ridefinizione interne a una società e soprattutto tra una società e un’altra. Non solo, ma la storia delle donne, così ricomposta per spaccati culturali, valorizzati più per i fattori di coerenza che per gli elementi di contraddizione interna, sincronici per definizione e, nella diacronia, confrontabili tra loro, si pone come riflesso minore, ma illuminante, di una storia universale governata dall’analogia, che lega le culture in una rete di comparabilità totale, e alimentata dall’eclettismo degli approcci, che moltiplica i piani di osservazione e i punti di vista. Così, sul piano della storia delle donne, il potere di fatto delle donne delle società familistiche tradizionali di orientare l’azione degli uomini o anche, a seconda dei casi, di trattenerla-contrastarla, si oppone a quei poteri riconosciuti alle donne per diritto, ma impediti con un’emarginazione di fatto nelle società complesse, di intervenire direttamente nella sfera pubblica. Ma, sul piano della storia generale, in cui la storia delle donne si inscrive, il potere delle donne delle regge e dei palazzi trova il suo analogo. Qui al potere femminile corrispondono le tradizioni e i sistemi di credenze, tra cui quella che Toynbee chiama eresia comunista7, che frenano l’avanzata dell’Occidente tecnologico come pure la tecnologizzazione spregiudicata e progressiva dell’Occidente e che, di volta in volta, contribuiscono a modificare i limiti e la nozione di Occidente8.

La breve storia delle donne scritta nell’inedito mostra come il metodo di Toynbee, pur non essendosi registrato appositamente sul tema femminile sia di fatto predisposto ad accogliere questo tema come intrinseco e interattivo, nella sua specificità, con i temi storiografici più classici e praticati. L’apertura, con cui Toynbee lo fa proprio e l’eclettismo con cui lo tratta, riflesso dell’eclettismo con cui tratta i suoi temi maggiori, accentuano nella sua storiografia la funzione di vero e proprio antidoto ai pericoli più inquietanti che il sapere storico ha rischiato e rischia di correre, inseguendo uno specialismo sempre più castigato e cedendo, spesso, più o meno consapevolmente, alle fierezze nazionalistiche di ritorno.

Certo, gli echi che risuonano nelle analisi e nelle tesi di Toynbee lasciano anche alcune perplessità, soprattutto all’attenzione di chi ha familiarità con l’antico e con le concrezioni culturali che si sono depositate negli studi delle scienze dell’antichità. Nelle sue pagine sono evidenti e, in un certo senso, naturali le affinità con la scuola antropologica e ritualistica inglese, da Frazer a Cornford, alla Harrison e fino a Dodds — per fermarsi alle grandi linee. Non stupiscono neppure le suggestioni, già per altro corrette dallo strutturalismo di Lévi-Strauss, da Durkheim e Mauss, che avevano intrattenuto con l’antropologia britannica rapporti piuttosto costanti, sebbene controversi. Più sorprendenti risultano però i richiami, ora più ora meno espliciti, a Bachofen e certe, più coperte, tracce duméziliane. L’elogio della zappa come età dell’oro della donna, intonato nell’inedito, entra in inattesa risonanza con il vagheggiamento di "una società nuova dove non ci sarà né scita né giudeo né greco, né schiavo né libero, né maschio né femmina, ma tutti saranno uno in Cristo, Mitra, Cibele o Iside o uno dei bodhisattva, un Amitabha o forse un Avalokita"9, con cui termina Il mondo e l’Occidente.

Impossibile non provare turbamento se si accostano i due passi, impossibile non avvertire tra le righe di Toynbee un trasporto insidioso per le più regressive ideologie continentali elaborate contro l’affermarsi dell’American way of life e contro il comunismo. Indicare il ritorno a una spiritualità esoterica come risoluzione alla crisi dell’Occidente e il ritorno alla natura e al familismo come risoluzione al disagio delle donne emancipate non sottintende qualche fraintendimento? Non sottintende la confusione delle donne con l’eterno femminino, che delle donne è l’idealizzazione maschile, e l’equivoco di una fratellanza mistica scambiata per uguaglianza? Non implica, in ultima istanza, questa pacificazione nel regno delle madri, piccole e Grandi, e dei fratelli, piccoli e Grandi, la negazione finale della storia?

NOTE

1 Cfr. la nota dei curatori Penelope Corfield e Paolo Ferrari che, oltre ad essere una preziosa chiave di lettura dell’inedito, informa con attenzione intelligente sui luoghi e tempi del ritrovamento di queste carte, sulle circostanze della proposta di Toynbee e della mancata pubblicazione, sulla fortuna e sugli studiosi di Toynbee. torna su

2 Come Erodoto (VI 54-60) racconta e come i costituzionalisti di IV secolo (Platone, Senofonte, Aristotele) confermano, Sparta si mantiene, con il suo regime oligarchico culminante nella diarchia dei due re, molto più vicina al modello persiano, egiziano e orientale in genere della regalità. torna su

3 Il libro è stato tradotto in italiano con lo stesso titolo di Il mondo e l’Occidente soltanto nel 1992 per i tipi della Sellerio e riedito nel 1993 seguito da una nota di Luciano Canfora, Il sarto cinese, pp. 101-129. torna su

4 Il titolo della traduzione italiana, Il racconto dell’uomo (Milano, Garzanti 1977), disperde le informazioni del titolo inglese e soprattutto l’eco bachofeniana di Das Mutterrecht. torna su

5 Gli aspetti teorici della storia di genere e la sua interazione con la storia sono impostati con esemplare chiarezza e senza indulgere all’amor di tesi da P. Corfield, History and the Challenge of Gender History, "Rethinking History", 1997, 1, pp. 241-258. torna su

6 Cfr. L. Canfora, Il sarto cinese, p. 124 della nota a A.J. Toynbee, Il mondo e l’Occidente, cit. torna su

7 A.J. Toynbee, Il mondo e l’Occidente, cit., pp. 22-25. torna su

8 A.J. Toynbee, Il mondo e l’Occidente, cit., presenta un quadro dell’Occidente che si ridefinisce nei confini e nei contenuti a seconda dei mondi che si contrappongono ad esso. torna su

9 A.J. Toynbee, Il mondo e l’Occidente, cit., p. 96. torna su