Io
ringrazio Anna Beltrametti e vorrei proseguire aggiungendo qualcosa a quello che ha detto,
che condivido in gran parte. Seguivo molto volentieri il suo flusso di pensiero, la sua
esposizione, perché mi ritrovavo in parecchi punti della sua riflessione. Mi ricollego
proprio a una sua affermazione, a proposito di Toynbee come del protagonista di una
storiografia capace di presagire in qualche modo quella che noi definiamo storia delle
donne. Mi limiterei alla storia delle donne, e non alla storia di genere, perché
questultima ci conduce un passo ancora più in là. "Storia delle donne"
mi pare un concetto più semplice, più chiaro, più accogliente in qualche modo. Con la o
le "storie di genere" entriamo in un campo che ci porta dentro e fuori la
storia, che ci porta al confine e oltre il confine con altre discipline, soprattutto forse
con la filosofia, con cui nascono poi rapporti complessi.La domanda che Toynbee si pone è dunque quale sia stata per le
donne la migliore epoca della storia. Mi chiedo se negli ultimi trentanni
anni settanta, anni ottanta, anni novanta del Novecento, in cui si è affermata la storia
delle donne le storiche si siano poste questa domanda. Direi di sì, ma non come
interrogativo centrale. Mi pare che si tratti di un interrogativo che ha percorso la
storia delle donne e la riflessione della cultura femminista per vie trasversali,
emergendo di tanto in tanto per poi essere di nuovo sommerso. Faccio un esempio: in Italia
non cè stata una grande riflessione su unetà delloro matriarcale,
sullesistenza, vera o presunta, di un matriarcato primitivo. Ci sono state negli
anni settanta e ottanta singole riflessioni, per esempio quelle di unantropologa
come Ida Magli, orientate a confutare la tesi del matriarcato primitivo. Forse più
nellultimo decennio si è fatta strada invece una decisa rivalutazione di questo
concetto non tanto da parte delle storiche, quanto piuttosto da quei filoni della cultura
femminile/femminista del nostro paese che provavano grande interesse per la psicanalisi
soprattutto junghiana; era molto apprezzata, per esempio, Esther Harding, che mi pare sia
stata una delle più creative allieve di Jung, e dalla quale molte donne hanno ricavato in
parte questa idea di una ipostatizzazione del "femminile"1.
Si trattava comunque di una riflessione nata un
po al di fuori di quello che è lambito storico in senso stretto, dentro un
filone di psicoanalisi che, almeno per un po di anni, fra laltro, anche nel
nostro paese, è stato considerato eretico rispetto al più classico filone freudiano. Ne
sono risultate così trasposizioni spesso troppo semplicistiche dalla psicanalisi alla
storia. Si sono affermate, in altre parole, quelle ipotesi femministe
"essenzialiste" che ci costringono, diciamo, a una serie di precisazioni, di
ricerca di cautele, nel parlare del passato remoto delle donne, a cui Anna Beltrametti si
richiamava quando denunciava alcuni pericoli di questa impostazione.
Si è già ricordato che
lanno di stesura del testo di Toynbee è il 1969 e potremmo interrogarci anche su
questa data: è scritto a ridosso di un fenomeno europeo e "mondiale", almeno
per quanto riguarda i paesi occidentali, che è il Sessantotto, e con alle spalle la
presenza sul mercato culturale di alcuni libri dirompenti sulla condizione femminile che
non vengono citati dallo storico inglese (per esempio quello di Betty Friedan, The
Feminine Mystique, che esce nel 1963 ed è quasi immediatamente tradotto in italiano2). Nellatmosfera postsessantottesca,
dunque, si comincia a parlare in termini non solo di condizione della donna, ma nasce una
nuova ondata di vero femminismo come fenomeno anche politico, che allarga il discorso a
una possibile "liberazione" delle donne.
Laltro punto che anche a me aveva
estremamente colpito allinterno del testo è questo senso di praticità, questo
senso di concretezza che lo storico manifesta quando costruisce il suo discorso sul
contrasto tra quelli che sono i diritti legali e quello che è il piano della reale
capacità di esercitare un potere. E mi sembra questo un discorso estremamente moderno,
attuale, pieno di interesse per noi, nel senso che sa parlare a una contemporaneità come
la nostra. Toynbee insiste su questa situazione in cui, perlomeno a livello formale, si
cominciano a enunciare e riconoscere come universalmente validi alcuni principi,
soprattutto sul terreno dei diritti e delleguaglianza, ma poi la realtà dei giochi
di potere si rivela estremamente più complessa e non sempre a sfavore delle donne, tra
laltro. Perché il discorso sul potere, come sappiamo, è un discorso delicatissimo,
che tocca non soltanto il livello politico, ma anche quello che è il livello dei rapporti
interpersonali nel micro e nel macro.
Ho accennato dunque a questi punti del testo di
Toynbee che mi hanno colpito. Vorrei proporre ancora però tre elementi del suo discorso
che vedo al centro di questa sua "lezione" e che mi sembra rappresentino anche
il punto di convergenza con alcune istanze espresse dalla storia delle donne in questi
anni.
Prima di tutto, la sua capacità di coniugare una
grande visione complessiva con il piano dellesperienza personale mi sembra una
lezione valida, che può "funzionare", anche se nella disciplina storica appare
difficile da realizzare; molti tentativi di questi ibridismi, lo sappiamo, sono destinati
a produrre ambiguità, confusione, insuccessi. In questi tentativi forse si gioca la
capacità di ricerca degli storici di oggi e soprattutto delle donne storiche, le quali
vanno in questa direzione in un certo senso costrette dai postulati stessi della storia
delle donne.
Riguardo a Toynbee, osare una scrittura fluida,
una scrittura capace di essere confidenziale mantenendo però un livello alto della
ricerca, mi sembra oltretutto uno dei grandi meriti della storiografia anglosassone. Una
scrittura fluida di questo genere rivela un tratto in comune con la storia delle donne:
vuol dire spesso aver adottato una metodologia fluida, una metodologia di confine,
utilizzando magari anche incroci complessi tra le fonti, che osano lavorare, quando appare
necessario, sulla lunga e sulla lunghissima durata.
Sto pensando, per esempio, al
richiamo a un testo di Eric A. Havelock, La musa impara a scrivere3, che Luisa Passerini fa in un suo libro metodologico, Storia e
soggettività4, quando parla della
sua "acuta percezione del rapporto tra vicende autobiografiche e scoperte
scientifiche". Questa capacità di tenere assieme molte discipline però lavorando
con la strumentazione della disciplina storica, questo far ricorso a un incrocio tra
tecniche qualitative e quantitative così da creare ricerche "contestuali, coinvolte,
socialmente rilevanti, ricerche inclusive di emozioni e di eventi sperimentati"5, mi
pare che sia abbastanza confortante per noi, quasi legittimante, ritrovarla anche in uno
storico della portata di Toynbee, uomo e appartenente a generazioni precedenti la nostra.
Sono andata a rivedere alcuni suoi testi, in cui
parla della sua visione della storia; qui le donne non centrano, ma ho ammirato la
sua capacità di lavorare tenendo presente il suo sguardo di ricercatore e la sua vicenda
umana personale. In un suo libro, in particolare, ci racconta di quando, ragazzino, aveva
assistito a una manifestazione celebrativa della cultura vittoriana al suo apice; davanti
ai suoi occhi scorreva un mondo che poi era destinato a mutare profondamente e a entrare
in crisi, ma che, in quel momento, esprimeva delle certezze oggettive e soggettive per
ogni cittadino britannico, che nessuno sembrava mettere in dubbio. Mi piace molto pensare
a questo storico ormai maturo, che va indietro nel tempo e rivede il suo sguardo di
bambino, con la consapevolezza di aver saputo mantenere dentro di sé per anni quel
ricordo e soprattutto di aver trovato il modo di interrogarlo.
In altre parole, il suo ricordo conservato nel
tempo diventa capace di produrre ricerca, questo mi sembra il punto davvero intrigante
della faccenda. E, in fondo, anche una delle lezioni significative della storia delle
donne più recente forse non è stata soltanto quella di uscire dal vittimismo e trovare
strategie e forme di protagonismo femminile nel passato, quanto quella di far riaffiorare
voci femminili considerate ormai perse, dando ascolto a un "partire da sé", a
dialoghi autocoscienziali, ad andirivieni fra esperienze di oggi e interrogativi rivolti
al passato: utilizzare, come si va dicendo in questi anni, "sguardi diversi" per
fare dei passi avanti, per creare dei movimenti di ricerca non banali.
Un altro punto riguarda
lutilizzo dello studio comparato delle civiltà, per cui Toynbee venne in qualche
modo considerato uno storico "eretico" e fu da più parti accusato di operare
generalizzazioni eccessivamente vaste e imprecise. Questa esigenza può essere oggi
riscoperta e rivalutata, almeno come esigenza? Vorrei ricollegare anche questa domanda ad
alcune considerazioni relative alla storia delle donne. Alcuni anni fa Gianna Pomata,
studiosa di storia moderna, ha formulato lipotesi che lallontanamento delle
donne dalla ricerca storica si sia consumato nel momento in cui la storia, verso la metà
dellOttocento, ha man mano definito il suo statuto disciplinare staccandosi
definitivamente dalla letteratura e, in particolare, dal romanzo, adottando canoni rigidi6. Dove sono rimaste allora le donne intellettuali?
Sembra in altri campi di ricerca, come il folklore, o letnologia.
Faccio un esempio italiano, che ho incontrato nel
mio lavoro, citando il professor Angelo De Gubernatis, studioso delle teorie
comparativiste, infaticabile viaggiatore, che si recò in India più volte, seguace delle
teorie di Muller. Molte emancipazioniste italiane e straniere attive tra la fine
dellOttocento e il primo decennio del Novecento collaborarono con questo personaggio
simpatico, e considerato anche un po bizzarro; alcune scrissero di folklore,
tradizioni popolari, miti e leggende, nella "Revue Internationale" da lui
fondata. In effetti si ritrovano negli ultimi due secoli diverse esperienze culturali che
si collocano a cavallo tra la storia e lantropologia. In queste ricerche che
adottano metodologie fluide, comparative, ardite nel muoversi sulla lunga se non sulla
"lunghissima durata", molta cultura femminile ha trovato un suo spazio di
indagine, di espressione, ieri come oggi. Bisognerebbe capire le ragioni per cui anche la
cultura femminista del secondo Novecento si è in parte riconosciuta, quasi aggrappata, a
questi filoni, spremendo il pensiero e le ipotesi di autori e autrici non sempre
pienamente "ortodossi", il cui pensiero spesso eclettico, sincretistico, può,
fra laltro, portare in più direzioni.
Un terzo punto riguarda pericoli e legittimità
nella creazione di una filosofia della storia, con tutte le generalizzazioni, le
"congetture" che essa comporta. Ci si chiede oggi, per esempio, quanto
attraverso laffermarsi della "storia di genere" non si stia scivolando
verso la creazione di una o di tante filosofie della storia. Tuttavia, fermi restando i
gravi rischi in cui si incorre nel cercare un assoluto cui ancorare la storia, resta
legittima lesigenza di fare una storia non sganciata da interrogativi di largo
respiro.
Guardando al dibattito attuale nella cultura
femminista sul rapporto tra la storia delle donne e la storia di genere, si può dire che
il rischio, non tanto della prima quanto, sembra, della seconda, è forse quello di
arrivare a una destoricizzazione tale della "storia" tradizionalmente intesa che
la vediamo sfumare man mano in altre discipline, così che alla fine quasi non sappiamo
più quali siano gli oggetti e i soggetti della nostra ricerca. Ciò avviene, e questo è
curioso, mentre assistiamo, come a un processo tipico della nostra epoca, a una
storicizzazione progressiva di altre discipline. Oggi tutti, a livello giornalistico come
a livello scientifico, mettono a fuoco, proprio nel senso cronologico, la storia dei
viaggi spaziali, come la storia degli elettrodomestici o la storia degli occhiali, e via
dicendo.
Infine Toynbee nel suo scritto fa
anche cenno a unesperienza personale familiare che riguarda una donna, sua nuora,
madre di sei bambine, e che, pur non avendo un aiuto domestico, continua a esercitare,
seppur a tempo parziale, la sua professione di medico. Lautore intende richiamarci
al limite del moderno, al limite dellemancipazione, e questo è molto interessante.
Cè questa ricerca del senso delle cose, e del benessere reale nel vivere, che
neanche il moderno con la sua idea di "progresso" sembra in realtà soddisfare e
garantire. Nello scritto aleggia un tono rousseauiano, quando lautore dice che
"fu un giorno nero per la donna quando luomo inaugurò la seconda fase dello
sviluppo dellagricoltura, strappando la zappa dalle sue mani e trasformandola in un
aratro"7. Mettere assieme la nuora e la
preistoria rivela un modo di procedere che non mi sembra lontano dai nostri interrogativi
di oggi e che rappresenta una scommessa non facile. Noi siamo in effetti in un momento in
cui la ricerca sulle donne oscilla tra un empirismo crescente, che produce ricerche
specifiche, spesso approfondite, ma anche troppo analitiche e "ristrette", come
le numerose tesi di laurea che le studentesse richiedono ai docenti nelle università,
anche in quelle non particolarmente aperte alla questione femminile, e le grandi visioni
teoriche, come si diceva, che ripropongono lesaltazione di un mito del
"Femminile" con la effe maiuscola.
Infine, come storica che si occupa
del rapporto tra donna e Cristianesimo, sono molto interessata al Toynbee cattolico
medievalista, per stare alla definizione che di lui diede Delio Cantimori, che analizza la
figura del sacerdote come baluardo simbolico della Chiesa, la quale tiene ben distinte e
non interscambiabili le immagini del maschile e del femminile. "Questultimo
caposaldo maschile è, inoltre, chiaramente condannato. Alcune intrepide donne hanno già
scalato i suoi muri divisori e si sono installate in maniera definitiva su una torre o
due, qua e là", afferma verso la fine del suo scritto8.
Su questo tema bisognerebbe trovare un altro suo inedito...
NOTE
1 Ida Magli, La donna
un problema aperto, Firenze, Vallecchi, 1974; Id. (a cura di), Matriarcato e potere
delle donne, Milano, Feltrinelli, 1978; M. Esther Harding, I misteri della donna.
Uninterpretazione psicologica del principio femminile come è raffigurato nel mito,
nella storia e nei sogni, Roma, Astrolabio-Ubaldini, 1973. Un commento al formarsi di
queste diverse tendenze nella cultura femminista in R. Fossati, La dea ebraica,
"Ricerche bibliche e religiose", 1980, n. 4. torna su
2
Betty Friedan, La mistica della femminilità, Milano, Edizioni di Comunità, 1964. torna su
3 Eric
A. Havelock, La musa impara a scrivere, Roma-Bari, Laterza, 1986. torna su
4 Luisa
Passerini, Storia e soggettività. Le fonti orali, la memoria, Firenze, La Nuova
Italia, 1988.
torna su
5 L.
Passerini, Storie di donne e femministe, Torino, Rosenberg & Sellier, 1991. torna su
6
Gianna Pomata, Commento alla relazione di P. Di Cori, in Maria Cristina Marcuzzo e
Anna Rossi-Doria (a cura di), La ricerca delle donne. Studi femministi in Italia,
Torino, Rosenberg & Sellier, 1987, pp. 112-122. torna su
7 A.J.
Toynbee, La vita della donna in altre epoche, cit., p. 422. torna su
8 A.J.
Toynbee, La vita della donna in altre epoche, cit., p. 427. torna su |