Presentazione
di
Penelope J. Corfield e Paolo Ferrari

 

  Ringraziamo Lawrence Toynbee per aver permesso la pubblicazione del saggio di Arnold J. Toynbee. Le ricerche che hanno portato all’individuazione di questo testo sono state condotte grazie all’ospitalità del Nuffield College (Oxford). Gli autori desiderano ringraziare i docenti, i ricercatori e il personale del College per gli aiuti forniti con rara generosità che riflette uno stile di lavoro ineguagliabile. Un ringraziamento va inoltre al personale della Bodleian Library e in particolare della Room 132 per la competenza con la quale ha favorito la ricerca. Fabio Rugge e Gianpasquale Santomassimo hanno infine in diversi modi contribuito a questo lavoro, che dedichiamo alla memoria di Vincent Wright.

 

Pubblichiamo nelle pagine che seguono un saggio inedito di uno dei maggiori storici del nostro secolo, Arnold J. Toynbee (1889-1975), che è stato considerato un esperto della storia comparata della nascita e del declino delle civiltà. Le sue numerosissime pubblicazioni gli hanno assicurato una grande reputazione, e alcuni studiosi lo hanno giudicato non soltanto un grande storico ma anche il grande filosofo novecentesco del cambiamento storico1. A lungo al centro di accesi dibattiti, l’interesse per Toynbee è attualmente comunque limitato2. Ma è interessante leggere oggi la risposta di uno storico di professione del suo valore, formulata nella parte finale della sua carriera, alle nuove questioni poste dalla nuova storia delle donne.

La domanda con la quale si apre il saggio rappresentava una vera e propria sfida. Si trattava infatti di capire quale fosse stata, per la donna, la migliore epoca della storia. Tuttavia, la lunga risposta di Toynbee, scritta alla fine degli anni sessanta quando l’autore era avanti negli anni, non venne mai pubblicata. Una nota conservata con il dattiloscritto spiega che il saggio era stato proposto a due riviste americane di grande diffusione, prima "McCalls" e poi "Horizon"3. Ma i redattori rimasero probabilmente stupiti dalla lettura del saggio e, se avevano sperato in una presa di posizione del grande storico sul nuovo movimento di liberazione delle donne, restarono senz’altro delusi4. Il testo di Toynbee, infatti, mescola una notevole quantità di informazione specialistica sul mondo antico con commenti in forma principalmente aneddotica sull’epoca contemporanea. Egli sembra non aver letto nessuna delle nuove ricerche che negli anni sessanta indavano la condizione femminile. Il risultato è un saggio dall’andamento diseguale, che non rappresenta in alcun modo un esempio di giornalismo polemico. La sua pubblicazione non fu approvata e il testo venne semplicemente archiviato tra le carte di Toynbee.

A distanza di tempo, tuttavia, il saggio ha acquisito un proprio particolare interesse sotto il profilo storico, tanto per lo stile che per il contenuto. Come esempio di analisi di un particolare tema, risulta anzitutto illuminante quanto all’approccio tipico di Toynbee, che affronta l’argomento ricorrendo a una gamma enciclopedica di riferimenti a diverse civiltà, muovendosi in epoche e luoghi lontanissimi tra loro. Si tratta chiaramente di un saggio dovuto allo storico che aveva già classificato le ventuno maggiori civiltà della storia, identificando inoltre cinque civiltà il cui sviluppo si era bloccato o aveva abortito e qualcosa come 650 società "primitive"5. Il contrasto con la specializzazione tematica e temporale oggi generalmente prevalente tra gli storici di professione non potrebbe essere più stridente.

Si può tuttavia cogliere un andamento irregolare nell’esposizione. Toynbee dimostra di sentirsi più a suo agio nel mondo antico, che aveva costituito il soggetto delle sue prime ricerche svolte da studente a Oxford6. Se i riferimenti alla Grecia classica costituiscono efficaci esemplificazioni7, riferite a elementi che fanno parte della formazione di ogni occidentale di cultura, lo stesso non può dirsi per altre parti del saggio. A un certo punto, egli cita la regina egiziana Hatshepsut come una delle "donne più famose della storia", e in questo caso Toynbee si è lasciato chiaramente trasportare dalla sua competenza specialistica. Anche se esistono diverse statue di Hatshepsut conservate al Metropolitan Museum di New York, è difficile credere che la regina egiziana possa occupare un posto importante in un qualsiasi elenco di donne famose. Ben pochi dei suoi potenziali lettori degli anni sessanta (e lo stesso vale oggi) ne avrebbero forse mai sentito anche soltanto il nome. In altri casi il discorso di Toynbee lega invece, come si è detto, tematiche contemporanee a considerazioni svolte ricorrendo a esempi tratti dalle più diverse epoche. Così, per esempio, Toynbee parla dei rapporti paritari tra i coniugi nell’Egitto del Terzo millennio avanti Cristo, ma ha probabilmente in mente anche il cosiddetto companionate marriage, cioè il "matrimonio cameratesco", che si basava appunto sulla parità tra marito e moglie in contrapposizione al matrimonio vittoriano "gerarchico ed emotivamente arido"8.

Il tono generale adottato da Toynbee è simpatetico nei confronti delle donne, e le sue idee liberali emergono in tutto il saggio. Toynbee non era, com’è noto, un reazionario contrario al suffragio femminile e all’uguaglianza dei diritti. Egli esprime inoltre comprensione per i problemi che deve oggi affrontare nel mondo occidentale una donna lavoratrice, rappresentata dalla sua stessa nuora, costretta a lavorare in maniera particolarmente intensa, dovendo badare a una numerosa famiglia e alla casa e svolgendo al contempo un lavoro impegnativo, il tutto senza alcun aiuto domestico9. Nonostante questo, i presupposti sociali del ragionamento di Toynbee sono conservatori. Chiaramente non ritiene che i padri, e neppure i nonni come lui, possano o debbano condividere i lavori domestici con la propria partner, né si dimostra in queste pagine un profeta della trasformazione dei rapporti tra i sessi che caratterizza la fine del nostro secolo. La (lenta) rivoluzione in corso nei ruoli maschili e femminili all’interno delle moderne mura domestiche non gli appare ancora evidente, né considera l’esistenza di movimenti femminili e femministi un fattore di trasformazione dei rapporti fra i sessi. Va però sottolineato che Toynbee affronta una questione, quella della "differenza sessuale", che continua a suscitare appassionati dibattiti.

Ma cosa si può dire, infine, della questione generale affrontata da Toynbee in questo saggio — e cioè l’individuazione, in una prospettiva storica, della migliore epoca della storia per la donna e, più in generale, dell’esistenza di una "età dell’oro" per la donna?

A questo proposito Toynbee sottolinea che la risposta non può essere semplice. Egli nota — così come facevano le femministe negli anni sessanta — che lo status della donna non può essere misurato rifacendosi semplicemente ai diritti legali. Tali diritti possono risultare significativi, ma le condizioni reali dell’esistenza — quelli che chiama facts —, la realtà dell’esperienza quotidiana, possono essere significativi in un senso del tutto differente. Così la donna emancipata moderna che vive nella realtà urbana e industrializzata dell’Occidente ha ottenuto il diritto di voto, ma è ancora soggetta a molti condizionamenti. E la sua sorella non ancora emancipata che viveva in una società apparentemente più opprimente poteva viceversa esercitare un’influenza indiretta da dietro le quinte o esercitare un ruolo significativo nell’economia familiare, a ulteriore prova che la storia non è rappresentabile in termini di progresso continuo.

Toynbee non commette l’errore di parlare del lavoro femminile come di un prodotto dell’epoca contemporanea, e considera nel loro insieme le attività lavorative — dentro e fuori le mura domestiche — svolte dalla donna10. Vuole in ogni caso parlare della condizione femminile nel suo complesso e non soltanto del lavoro delle donne, e a questo fine coniuga storia e sociologia e inserisce tra le variabili cruciali nella valutazione della condizione femminile quella dei poteri effettivamente esercitati e, in particolare, la disponibilità dell’aiuto fornito da altre donne nel lavoro domestico. Una disponibilità che la prevalente struttura del nucleo familiare contemporaneo e la stessa valorizzazione del lavoro extradomestico femminile hanno reso sempre più difficile ottenere. Si tratta di un elemento spesso dimenticato o sottostimato nella valutazione della condizione femminile, a favore di altre variabili, dal reddito, alla qualità dell’abitazione, all’organizzazione del lavoro domestico di tipo americano (a partire dal Domestic Science Movement sorto negli Usa prima della grande guerra), ai servizi collettivi di cui le donne possono disporre11.

Di notevole interesse, poi, il giudizio espresso a proposito dei dispositivi meccanici per il lavoro domestico (mechanical gadgets), una delle manifestazioni più evidenti della completa trasformazione del lavoro domestico avvenuta in Occidente dopo la fine della seconda guerra mondiale come effetto anche di una prolungata crescita economica. Toynbee — da sempre critico della American way of life — non si illude sul fatto che la meccanizzazione di molti lavori possa di per sé rappresentare una trasformazione della condizione della donna, nonostante i messaggi consumistici che nel secondo dopoguerra ne suggerivano ossessivamente l’importanza. E la ricerca successiva ne ha sottolineato l’ambiguità, in quanto se i dispositivi meccanici possono eliminare una parte considerevole della fatica fisica, possono anche essere inseriti in una nuova definizione dei doveri domestici più onerosa in termini di tempo12.

Se, infine, è mai esistita un’epoca caratterizzata dalla netta egemonia femminile, ciò è avvenuto molti millenni fa. Secondo Toynbee, il periodo nel quale le donne hanno goduto del miglior status è stato quello dell’agricoltura primitiva basata sulla zappa, circa sei o sette millenni fa, prima che gli uomini soggiogassero gli animali costringendoli a muovere l’aratro e assumessero così il controllo delle pratiche agricole13. Si può trovare una eco di questa tesi nelle affermazioni di Rosalind Miles, secondo la quale le società umane erano inizialmente governate da una delle varie versioni del principio femminile, delle "grandi dee", comprese le famose regine guerriere come Hatshepsut nell’antico Egitto. Ma a un certo punto (Miles non è precisa sulla cronologia), l’orticoltura gestita dalle donne venne soppiantata dall’agricoltura degli uomini, che pose le basi del patriarcato e del predominio fallico14. Una tesi che si può valutare in rapporto alle recenti ambiziose ma del tutto stravaganti argomentazioni proposte da Leonard Shlain, secondo il quale fu invece l’introduzione da parte dell’uomo della capacità di scrivere e leggere secondo un alfabeto che spodestò la conoscenza su base intuitiva propria delle donne, circa cinquemila anni fa, ponendo così le basi per l’ascesa del patriarcato e del declino del principio femminile15.

Si tratta insomma di ipotesi che non hanno in alcun modo ottenuto il consenso generale da parte degli storici specialisti del periodo: è difficile essere categorici a proposito dei ruoli maschili e femminili nelle società primitive, soprattutto quando gli elementi di giudizio giunti fino a noi sono così ridotti. Questo resta comunque un tema di grande interesse per l’antropologia storica. Il concetto di una età dell’oro per le donne sembra avere un significato prevalentemente mitico, specialmente considerando che è collocato così lontano nel tempo, e che la maggior parte degli storici ha oggi abbandonato la ricerca relativamente a quell’epoca specifica. D’altra parte, cercare the best of times, l’epoca migliore per tutte le donne, è, come direbbero i francesi, une question mal posée. Non è credibile che esista una sola risposta; in particolare, è oggi materia di dibattito per storici e teorici il fatto che siano sempre esistite "sfere separate" per gli uomini e le donne16. Il che significa focalizzare l’attenzione sulle dinamiche, molto più interessanti, del mutamento delle relazioni e delle identità di genere nel corso dei secoli. Ma si tratta di nuovi dibattiti e nuovi approcci all’interno di una storia dell’umanità concepita in una dimensione temporale di "lunghissima durata"17. Arnold Toynbee, con il suo amore per le grandi questioni, li avrebbe sicuramente apprezzati.

NOTE

1 Per una presa di posizione in questo senso si veda Charles Gregg Singer, Toynbee, Philadelphia, PA., Presbyterian & Reformed Publishing Co., 1965, p. 9. torna su

2 "Solo nell’ultimo quindicennio quella immagine negativa ha cominciato lentamente a dissiparsi": G. Santomassimo, Toynbee e l’Occidente, "Passato e presente", 1993, n. 28, p. 112. Si veda comunque tutto il saggio a proposito della fortuna di Toynbee nei vari paesi. torna su

3 Cfr. il dattiloscritto di 12 pagine conservato alla Bodleian Library (Oxford), Toynbee Papers, materiali non catalogati. Una nota manoscritta dello stesso Toynbee, allegata con una graffetta al dattiloscritto, dice: "Per favore conservare nel caso possa, prima o poi, servire per soddisfare altre richieste". Un’altra nota, scritta successivamente e con diversa calligrafia, suggerisce che la data di stesura del testo sia l’ottobre del 1969. torna su

4 Toynbee fu peraltro un attentissimo osservatore e studioso delle vicende a lui contemporanee, come dimostra fin nel suo ultimo lavoro, Mankind and Mother Earth, pubblicato l’anno dopo la sua morte e che "testimonia la [sua] nuova profonda sensibilità ecologica" (G. Santomassimo, Toynbee e l’Occidente, cit., p. 142). torna su

5 Nell’ambito della sua enorme produzione, si veda Arnold J. Toynbee, A Study of History, 12 vol., Londra, Oxford University Press, 1934-1961. torna su

6 "My spiritual home [is] in the Graeco-Roman World": cfr. A.J. Toynbee, Experiences, Londra, Oxford University Press, 1969, p. 417. Si veda inoltre William H. McNeill, Arnold J. Toynbee: A Life, Oxford, Oxford University Press, 1989, pp. 29-31. torna su

7 Sulla contrapposizione, sotto il profilo considerato da Toynbee, tra Atene e Sparta, cfr. per esempio Giuseppe Cambiano, Diventare uomo, e James Redfield, L’uomo e la vita domestica, e in generale tutto il volume nel quale i saggi sono inseriti: Jean-Pierre Vernant (a cura di), L’uomo greco, Roma-Bari, Laterza, 1991. Va comunque ricordata l’assenza di fonti dirette sulle spartane (e sugli spartani), costrette a essere rappresentate — come sottolinea Toynbee — sulla base delle valutazioni di appartenenti ad altre città-stato (cfr. per esempio Claude Mossé, Les femmes dans la Grèce antique, Parigi, Albin Michel, 1983, ed. italiana La vita quotidiana della donna nella Grecia antica, Milano, Rizzoli, 1988, pp. 83 sg). Si veda inoltre Pauline Schmitt Pantel (a cura di), Storia delle donne in Occidente. L’antichità, Roma-Bari, Laterza, 1990. torna su

8 Cfr. Nancy F. Cott, La donna moderna "stile americano": gli anni venti, in Françoise Thébaud (a cura di), Storia delle donne in Occidente. Il Novecento, Roma-Bari, Laterza, 1992. torna su

9 Jean Toynbee, che sposò Lawrence, figlio di Arnold J. Toynbee, nel 1945, era nipote di Herbert Asquith, primo ministro britannico dal 1908 al 1916: cfr. W.H. McNeill, Arnold J. Toynbee: A Life, cit., p. 200-201. torna su

10 Il saggio è quasi contemporaneo al pionieristico lavoro di Evelyne Sullerot, Histoire et sociologie du travail féminin, Parigi, Editions Gonthier, 1968 (edizione italiana La donna e il lavoro. Storia e sociologia del lavoro femminile, Milano, Etas Kompass, 1969), concepito in una prospettiva di lungo periodo anche se incentrato sul Novecento. torna su

11 N.F. Cott, La donna moderna "stile americano": gli anni venti, cit. torna su

12 Questo sia perché in alcuni casi erano riportati "all’interno della casa alcuni servizi che la generazione precedente di famiglie urbane aveva pagato perché fossero fatti fuori" (p. 104), sia perché gli apparecchi domestici fin dalla loro prima diffusione alleviarono la fatica ma spinsero a "elevare gli standard di pulizia e di ordine". Così non diminuiva il numero di ore dedicato alla casa, come conseguenza del condizionamento sociale e dell’affermarsi di nuovi modelli di consumo. Cfr. N.F. Cott, La donna moderna "stile americano": gli anni venti, cit. torna su

13 Più di recente, inoltre, Ester Boserup ha dimostrato il contrasto esistente nei paesi in via di sviluppo fra il sistema di coltivazione femminile, basato sulla zappa, e il sistema maschile basato sull’aratro, pur sottolineando come nessuno dei due costituisca un sistema statico né sia ideale per le donne. Cfr. Ester Boserup, Women’s Role in Economic Development, Londra, Allen & Unwin, 1970, pp. 16-36 (edizione italiana Il lavoro delle donne. La divisione sessuale del lavoro nello sviluppo economico, Torino, Rosenberg & Sellier, 1982). torna su

14 Rosalind Miles ha proposto una sintesi sul tema con The Women’s History of the World, Londra, Paladin, 1989, in particolare pp. 64-66. torna su

15 Leonard Shlain, The Alphabet versus the Goddess: Male Words and Female Images, Londra, Allen Lane-Penguin Books, 1999. torna su

16 Si veda Amanda Vickery, Golden Age to Separate Spheres? A Review of the Categories and Chronology of English Women’s History, "Historical Journal", 1993 (36), pp. 383-414. Per il dibattito teorico, si vedano le discussioni pubblicate sulla rivista "Signs", per esempio Mary Hawkesworth, Confounding Gender, "Signs", 1997, 22/3, pp. 649-685, e le risposte alle sue tesi sullo stesso e sui successivi numeri della rivista. torna su

17 Penelope J. Corfield, History and the Challenge of Gender History, "Rethinking History", 1997, 1, pp. 241-258. Per l’influenza sulla "lunga durata" braudeliana, cfr. G. Santomassimo, Toynbee e l’Occidente, cit., p. 117. torna su