IVANA SUMMA

Buongiorno a tutti.

I partecipanti a questo convegno sono più focalizzati sulle indicazioni dei programmi, quindi sui contenuti che dovranno andare a riempire la riforma del nostro sistema scolastico. Però penso che non sia di poco rilievo soffermarsi anche sulle prospettive istituzionali che si aprono con questa legge. A me fa particolarmente impressione il fatto che nella scuola gli insegnanti facciano un po’ di confusione fra ciò che è già legge e ciò che invece legge ancora non è (ad esempio le indicazioni e le raccomandazioni per la scuola elementare, che hanno comunque un loro valore per le classi che quest’anno hanno sperimentato, ma che ora sono documenti e basta, non sono legge).

Io mi limito a dire alcune cose sulla legge, sulle prospettive di incertezza che si aprono proprio a partire dal testo di legge, dalle nuove finalità sociali assegnate alla scuola. La legge è una legge delega, e questo vuol dire qualcosa, perché una legge delega sostanzialmente si fa quando si tratta una materia molto complessa che non può essere contenuta fin nei dettagli (se vi ricordate una legge delega famosa fu quella che portò agli organi collegiali nella scuola nel ’73).

Però a quei tempi c’era un sistema di partecipazione di tutte le componenti parlamentari di maggioranza e di minoranza, per cui si arrivava alle leggi delega con testi concertati, contenenti criteri che avevano l’apporto di tutti, insomma c’era più pluralismo. Oggi, invece, in pieno regime maggioritario, la legge delega non si è avvalsa di questa possibilità di concertare anche con le minoranze le posizioni e si è arrivati sostanzialmente ad una legge che contiene principi e criteri che non sono del tutto condivisi, neanche all’interno della stessa maggioranza; da qui si spiega l’enorme mole di ordini del giorno e di raccomandazioni al governo che sono state fatte sia alla camera che al Senato.

Per noi del CIDI questa questione della delega è molto grave. E’ proprio una questione di metodo che diventa sostanziale, perché la scuola è una questione centrale della democrazia di ogni paese, non è una questione qualsiasi: l’istruzione non riguarda solo la scuola e gli insegnanti, ma riguarda tutti. Dovremmo essere più preoccupati per il modello di società e di economia che c’è dietro questa riforma e meno preoccupati per la scuola, perché ritengo che la scuola abbia degli anticorpi, per cui la naturale resistenza degli insegnanti alle innovazioni questa volta ci garantirà dalle trasformazioni acritiche, dalle bieche e cieche applicazioni.

Questo significa che ci troviamo di fronte ad una legge che ha principi e criteri non da tutti condivisi, e poi davvero molto generali. Vi faccio notare che ci sono alcuni principi e criteri nella legge delega molto condivisibili, che sono stati desunti anche da documenti europei, ad esempio l’apprendimento per tutto l’arco della vita, le pari opportunità, il diritto alla formazione per 12 anni…, poi ci sono però alcuni principi che non solo non sono condivisi da tutti, ma segnano un ritorno indietro e minano in modo quasi carsico la nostra Costituzione.

Mi riferisco ad esempio alla "formazione spirituale e morale" contenuta nella legge delega, e a quella frase "anche ispirata ai principi della Costituzione" (su quell’"anche" c’è stata una grossa battaglia anche in Senato…).

La cosa che ci fa più specie, e lo dico sia a livello personale sia come associazione, è che proprio la Costituzione qui non c’è, e quando c’è è per essere utilizzata in malo modo, in modo residuale. Questo vuol dire che mandiamo a mare almeno cinquant’anni di pluralismo.

Un’altra cosa molto grave è la questione che riguarda l’obbligo scolastico, che secondo me non è stata presa nella dovuta considerazione: l’altra citazione che c’è nella legge, riferita alla Costituzione, riguarda la "ridefinizione e l’estensione dell’obbligo" scolastico: in realtà con questa legge si torna indietro ad un obbligo scolastico di otto anni. C’è qualcuno (ed io fra questi) che afferma che anche l’obbligo formativo viene cancellato (ma chi fa ermeneutica giuridica non è sempre concorde, e ci sono molti pareri….), proponendo un più "moderno" (mai la modernità è così raccapricciante come in questi casi…) "diritto-dovere all’istruzione". Voi capite che mentre l’obbligo è perseguibile, un diritto-dovere è una potestà, quindi ciò significherà che chi vuole può uscire comunque dal sistema di istruzione e anche di formazione. Questo è grave perché l’Italia era fanalino di coda rispetto all’obbligo scolastico e adesso ci ritorna tranquillamente.

Poi, passando ai criteri in base ai quali verranno fatte le indicazioni, è sconcertante come non si ritrovi quello che ormai fa parte della cultura della scuola: la continuità, ad esempio. E’ gravissimo: voi che praticate la disciplina storia, sapete che niente come la storia ha bisogno di curricoli in verticale, di continuità. La continuità non è mai contemplata, si richiama una sola volta, all’articolo 3 della legge delega, a proposito della continuità di permanenza del personale scolastico in un’istituzione, che invade peraltro il campo dello stato giuridico degli insegnanti. Così degli istituti comprensivi si tace, non si sa del tempo scuola: le indicazioni nazionali, i programmi, sono importanti, ma un conto è calarli in 100 ore di storia all’anno, un conto dentro 50-60 ore di storia. Nella scuola media, di fatto, l’insegnamento delle materie letterarie, tra cui la storia, diminuirà fortemente, perché da 11 discipline si passa a 13.

Non c’è nessun richiamo ai tempi della scuola: di quante ore sarà la scuola elementare, la scuola media, la scuola superiore, tempo minimo e tempo massimo; e poi invece si scende in modo "raccapricciante" in alcuni particolari, i cosiddetti "periodi" didattici, che per la scuola elementare sono 1+2+2, per la scuola media sono 2+1 e per la scuola superiore sono 2+2+1. Una legge delega non dovrebbe scendere così nei particolari. Io ho fatto parte della Commissione De Mauro e mi ricordo che in tutti gli incontri io mi sono sempre opposta al fatto che una norma dicesse alla scuola come dovesse scandire i suoi tempi. E mi opponevo in nome dell’autonomia della scuola, che deve poter progettare se stessa senza troppi contenimenti.

Io sabato scorso ho fatto un incontro con alcuni colleghi capi d’Istituto per fare un documento che denuncia il fatto che l’autonomia della scuola non viene affatto rispettata: non c’è autonomia organizzativa, perché sono già fissati i cicli ed i periodi didattici; non c’è autonomia didattica, perché se noi andiamo a vedere le attuali indicazioni nazionali per i piani di studio personalizzati, queste impongono anche una pedagogia ed una didattica di un certo tipo. Si parla di lezione frontale e di laboratori, dove i laboratori ovviamente non sono parte laboratoriale delle discipline fatte anche con lezioni frontali, ma sono le discipline a diventare laboratoriali. Quindi emerge una gerarchia tra le discipline, tra gli insegnanti, e anche tra gli alunni.

Per quanto riguarda la scuola media, i piani di studio personalizzati non sono l’individualizzazione, perchè l’individualizzazione è un percorso calibrato: a partire da punti di partenza diversi e differenziati, si cerca di far arrivare tutti – non uno di meno - a quelli che vengono chiamati livelli essenziali o saperi irrinunciabili. Il termine personalizzazione apparve per la prima volta riguardo all’handicap: la personalizzazione è un "percorso adatto, non adattato", non per arrivare a obiettivi irrinunciabili, ma dove è possibile. Che in una legge si parli di "attitudine e vocazione dei ragazzi" a proposito della scuola media, a me sembra una cosa negativa perché va proprio a favore di una personalizzazione così intesa. Ricordiamoci che le leggi non sono testi letterari: se c’è scritto lì, vuol dire che ha una valenza giuridica, vuol dire che dopo si trasformerà in comportamenti. Quando per la scuola media si parla di "differenziazione delle didattiche", io comincio a temere che poi l’ultimo anno si facciano le classi differenziali per chi andrà all’istruzione professionale e per chi andrà ai licei.

Quanto poi ai licei, c’è anche lì una gerarchia, non solo fra licei e istruzione-formazione professionale, ma anche all’interno dei licei, dove ovviamente il liceo classico rappresenta il liceo alla seconda potenza (io non so cosa significhi, non avendo mai coltivato studi matematici, ma non mi sembra positivo distinguere facendo delle classifiche, poichè la differenza passa attraverso la specificità.