MAURIZIO GUSSO

Avete un documento firmato da Aurora Delmonaco, che è Presidente sia del Landis sia della Commissione Formazione dell’Istituto Nazionale per la Storia dei Movimenti di Liberazione in Italia (INSMLI), che è molto più argomentato, discorsivo, eccetera... Avete poi una traccia, che può servire anche per la mia comunicazione di adesso, di una relazione che ho fatto ad un seminario IRIS-LANDIS nel marzo scorso. Ci può servire perché è per punti, ed intervenendo come terzo, concordo con tutto quanto è stato detto prima, e quindi semplifico il mio intervento dicendo di volta in volta "su questo punto sono d’accordo con Italo Fiorin, o con Ivana Summa, e non mi soffermerò più a lungo". Magari procederò per integrazioni.

Allora, innanitutto anch’io utilizzo, come ha utilizzato Ivana Summa, la distinzione tra aspetti di metodo ed aspetti di merito. Il bilancio che la rete degli istituti fa è estremamante negativo; è critico, è articolato, coglie degli elementi anche positivi, ma è nel complesso preoccupantemente negativo su entrambi i fronti.

Troviamo a dir poco scandaloso il fatto che nel metodo si sia proceduto ad una operazione così poco pluralista: io dirò delle parole molto dure, mettendoci anche del mio, di personale, ma per essere molto franco.

Per quanto riguarda storia, si tratta di racomandazioni, di indicazioni "figlie di N.N."!

Questa è la prima cosa clamorosa: non si riesce a sapere chi le ha scritte. Bertagna si rifiuta di dirlo, circolano leggende metropolitane, ma non si sa... Non si è mai visto, in nessuna commissione precedente, che non ci fossero i nomi dei componenti della commissione e del gruppo. Io ho partecipato al "Gruppo Brocca" per i programmi di storia, e i nomi (allora non esisteva un "sito") erano scritti da qualche parte. Nel sito del Ministero andate a vedere se ci sono i nomi di qualsivoglia indicazione o raccomandazione di qualsivoglia materia. E la pervicacia di un potere che dice "noi non vi rispondiamo", vuol dire che qui stiamo passando dall’ ipse dixit al nemo dixit o allo status dixit o al "non so che cosa" dixit.... Non di possono accettare pure "autorevolezze" o "autorità" dietro le quali c’è solo il simulacro del potere, non c’è null’altro...

A questo punto il giudizio si fa più frastagliato, nel senso che c’è una parte centrale di tutte le proposte, quella di tipo metodologico, che se non altro ha alcuni valori, è firmata, è riferibile a qualcuno, non sono extraterrestri, sono docenti di pedagogia. Non sono abbastanza pluralisti, non hanno chiamato tutte le componenti: è stata criticata all’epoca la Commissione De Mauro che aveva trecento persone, o il gruppo di area geo-storico-sociale che ne aveva 52, perché non erano abbastanza pluralisti, e adesso alcuni ignoti, per quanto riguarda le parti relative alle materie, scrivono delle cose senza consultare le associazioni, se non a buoi già scappati dalla stalla, e si dice che è un’operazione pluralista.

Si ripete in questa vicenda la stessa operazione degli stati generali: sabbia negli occhi ed operazione mediatica. Grande democrazia e trasparenza: la Commissione Bertagna (lì almeno i nomi c’erano...) viene sconfessata da tutti i membri, viene sostituito il documento da un’altra versione depurata dal Ministero, e tutto questo viene chiamato "democrazia". Non ci stiamo: "il re è nudo" su questo...

Allora, c’è una parte centrale, quella pedagogica (e condivido tutte le osservazioni fatte prima) discutibile ma che non sbarca da Marte: proviene da un dibattito con delle accentuazioni, se ne prende la responsabilità chi le ha fatte, ma vengono dal dibattito dei pedagogisti.

Però ci sono una parte a monte ed una parte a valle che smentiscono quanto c’è nel centro.

La parte a monte sono le scelte di politica scolastica, di svuotamento dell’autonomia, di svuotamento degli organi collegiali e le scelte di politica finanziaria: tutte queste cose non hanno i mezzi. Il MIUR non è neanche un ministero senza portafoglio, ma una dipendenza di Tremonti. Tutte le norme applicative sono sub judice: se Tremonti non firma non passano. L’autonomia della scuola è sparita al vertice, perché non esiste un ministero autonomo; non sto parlando della finanziaria sto parlando di cose peggiori, perché la finanziaria è una legge quadro, però rispetta le autonomie.

Qui tutto è sub judice: in teoria leggiamo che l’insegnante prevalente dovrebbe occuparsi del portfolio, non solo, ma dovrebbe leggersi il portfolio di tutti i cicli successivi, seguire lo sviluppo della carriera scolastica dei suoi 25 o 30 (e forse più) ragazzi, lungo tutto il curricolo verticale. Chi fa questo, in quale tempo con quali finanziamenti, con quali riconoscimenti? Dio solo lo sa.

Quindi molte cose, che pedagogicamente sono bei principi, che si possono anche sottoscrivere, non hanno le condizioni per essere realizzate.

A valle poi queste proposte pedagogiche vengono declinate in proposte di didattica disciplinare fuori dal mondo: il giudizio che diamo nel Forum delle associazioni disciplinari, che ne raggruppa una ventina, la maggior parte della associazioni di didattica disciplinare del paese, è che i contenuti e gli obiettivi ci fanno tornare indietro di cinquant’anni. E’ un ritorno agli anni ’50, neanche un ritorno ad un pre-’85 o aun pre-’79, ma a prima della stagione in cui, in qualche modo, le didattiche disciplinari hanno trovato delle commissioni, dei gruppi di lavoro che si sono ispirati a un dibattito.

Questa parte è presa da Marte, e perciò non è firmata: o c’è un rigurgito di vergogna ("l’ho scritta, ma non dite che l’ho scritta io..."), oppure c’è un nudo potere che ti dice "ti dico questo ma non chiedermi nemmeno come mi chiamo...". Ma scherziamo?

Se poi andiamo a vedere nel merito, il rischio ad esempio di un’esclusione da una valida formazione storica di base degli studenti del sistema della formazione professionale è una cosa veramente scandalosa. Le associazioni di didattica disciplinare hanno individuato questa metafora: è un po’ come quando nelle scuole si fanno certe esercitazioni di antiinfortunistica, si segue il percorso con la freccia, si arriva al terzo piano e poi uno si lancia nel vuoto, perché non c’è la via d’uscita.

Allora si dice, da parte del Ministero: "...stacchiamo dal sistema dell’istruzione il pezzo della formazione professionale, non solo, gli diamo di più di quello che gli danno le regioni adesso perché gli diamo una valida formazione culturale, storica ecc..."

Poi si va a vedere: le regioni hanno pronto qualcosa? hanno le competenze, hanno formato il personale, hanno i fondi? Nulla di tutto ciò: non hanno i fondi, o non hanno pensato di dirottarli in questa direzione, non hanno cominciato a fare la formazione degli insegnanti, non c’è nessuna struttura predisposta, si parla (ho seguito un po’ le vicende della commissione sui licei) addiritttura di un’erosione (non viene detto questo apertamente...) che non riguardo solo gli istituti professionali, ma riguarda anche i tecnici industriali e commerciali, perché tutti gli indirizzi che non sono liceali, che non sono cioè prevalentemente teorico-metodologici, ma che hanno applicazioni sul mercato del lavoro, potrebbero essere sussunti sotto la formazione professionale.

Questa è una frana sconsiderata e pesantissima. Questo è quasi peggio del ritorno all’avviamento: è un canale che ci preoccupa, sia per l’aspetti di carattere generale, sia per l’aspetto specifico della formazione storica dei cittadini.

Un’altra cosa clamorosa, passata quasi sotto silenzio, dopo grandi discussioni tra un ciclo unico di storia generale, due cicli bilanciati, quattro più quattro o cinque più cinque... è uscita dal cervello di Minerva una cosa che non esiste in nessuna altra parte del mondo, cioè due cicli di storia generale, uno di sette anni e uno di cinque...

Per quanto riguarda poi l’insegnamento dell’ultimo secolo, grosso modo, non dico che il ‘900 occupasse tutto l’orizzonte della quinta elementare, ma si sapeva che c’era uno spazio per la storia contemporanea nella quinta elementare. Se vogliamo calcolarlo approssimativamente, un terzo dei tre anni, ad essere ottimisti. Se vogliamo essere buoni, dopo il decreto Berlinguer si era attribuita una "stanza tutta per se" al novecento nella terza media del passato: un altro terzo. Questo vale a dire che complessivamente un terzo dell’intero ciclo di sei anni era dedicato alla storia del XX secolo.

Adesso che cosa avete? Avete la proposta di insegnare l‘800 e il ‘900 nell’ultimo anno del ciclo settennale, vale a dire che la storia del ‘900 è, se va bene, un quattordicesimo (a voler essere bonari, perché io so bene che coa succede quando nello stesso anno si fanno ‘800 e ‘900: il ‘900 si fa male, per non parlare del secondo dopoguerra...). Si passa quindi da un terzo ad un quattordicesimo: questa è una perdita secca, micidiale, tanto più che poi intorno ci sono operazioni di uso pubblico della storia pesantissime..

Stiamo tornando all’idea che la storia contemporanea non è insegnabile, non si può fare ricerca scientifica. In questo senso vanno tutte le polemiche, da quelle sui manuali a quelle sul revisionismo storico, a quelle sulla memoria, innescate dallo schieramento governativo, fortunatamente non tutto, ma una parte consistente di essso. (Io temo anche la logica del bastone e della carota: se ti va bene ti devi affidare a quelli della carota. Io non voglio né bastoni né carote...)

Sulla questione dell’area ha già parlato Italo Fiorin: io volevo rimarcare una cosa: sono spariti gli studi sociali, e mi sembra un’altra cosa molto preoccupante, come poi sparisce il liceo delle scienze sociali.

Guarda caso ci sono due grandi tabù, più un terzo che è quello della scientificità, e le associazioni delle discipline scientifiche hanno ancora più rimostranze da fare, perché qui ovviamente prevalgono modelli di magia degradata (non di buon solido pensiero magico) e prevalgono a livello delle vannemarchi delle televisioni, come le vannemarchi della politica e della democrazia nel nostro paese, e sono molte. Questo però riguarda la parte scientifica della formazione storica, che pure a noi sta a cuore.

Però ci sono degli altri aspetti che trovo molto preoccupanti. Per esempio, non solo scompaiono gli studi sociali ma, in teoria, c’è l’educazione alla convivenza civile: guardate che cosa c’è dentro all’educazione alla convivenza civile. Si dicono delle cose pedagogiche perfette, tipo "l’educazione alla convivenza civile non è una materia; c’è una solidarietà reciproca tra questo e l’interdisciplinarietà": cose bellissime dal punto di vista teorico, contraddette da ciò che c’è scritto dentro gli obiettivi e dentro i contenuti dell’educzione alla convivenza civile e delle materie che dovrebbero intrecciarsi con l’educazione.

Perché queste educazioni sono in realtà l’educazione alla cittadinanza, e l’educazione stradale è un sottocapitolo dell’educazione alla cittadinanza (non riesco a dargli uno statuto epistemico a parte), l’educazione ambientale, l’educazione alla salute. Voglio dire, una volta "ambiente" era legato anche a "sviluppo" o alla mondialità. C’era un discorso di educazione socio-ambientale o di educazione allo sviluppo sostenibile. Lo sviluppo è scomparso, è rimasto l’ambiente, poi andiamo a vedere la banalità delle osservazioni e delle indicazioni. La salute alimentare (quando c’era il progetto del referente per l’educazione alla salute, l’alimentazione stava dentro l’educazione alla salute) non vale due, vale uno. Dentro l’educazione all’affettività c’era l’educazione sessuale.

Ok, fatte queste considerazioni, cosa manca? Mancano bazzecole, tipo l’educazione interculturale, l’educazione alla pace, l’educazione allo sviluppo, l’educazione alle pari opportunità. La cosa delle pari opportunità è particolarmente clamorosa ed è significativo che sia io, un maschio, a dirlo, quando le donne potrebbero dirlo cento volte meglio di me. Cioè, dove compare il genere? E’ scomparso. C’è solo il sesso. L’unico riferimento alla differenza di genere, è la differenza sessuale. C’è una nota che dice: "D’ora in poi invece che dire "fanciullo o fanciulla" diremo "fanciullo" per risparmiare (sottintendendo "alberi dell’Amazzonia")" . Poi, dentro l’educazione all’affettività c’è un sottocapitolo intitolato "educazione sessuale" e lì trovate le donne. Le donne sono sesso e non genere. Questo è gravissimo. Esiste un Ministro alle Pari Opportunità che non dice: "Questo è contro le pari opportunità.".

Poi andate a vedere cosa c’è e non a caso saltano proprio delle parole chiave come pace, intercultura ecc. Andate a vedere cosa c’è nelle indicazioni di storia, per esempio nella scuola media, e trovate delle cose clamorose. Sapevamo che riguardo all’uso pubblico della storia c’erano personaggi dello schieramento governativo che dicevano che bisogna abolire dai manuali la parola "imperialismo" perché marxista. Ignoranti come capre, perché i primi testi sull’imperialismo sono dei liberali. Però, voglio dire, da questo la velina è diventata che non si può più dire nemmeno "industria". Guardatevi i contenuti delle indicazioni per la scuola media. C’è "agricoltura", ma non c’è nessun termine riferibile a "industria", non dico "rivoluzione industriale" perché alcuni storici non amano questa espressione, ma "industrializzazione", "società industriale". Si passa dall’agricoltura a non si sa bene che cosa. Proponiamo quindi, come associazioni, che la Confindustria si ribattezzi Confazienda, perché "azienda" si può dire, "industria" no.

Non solo, il povero Todorov avrebbe qualcosa da ridire perché lo sbarco di Cristoforo Colombo all’isola di Guanahani dà avvio alla "scoperta dell’altro": è scomparso "colonia", "colonizzazione", "colonialismo", è scomparso "pace e guerra", ci sono delle perle del tipo che c'è la caduta dei muri ma non c’è la guerra fredda. Allora chi ha costruito questi muri? E via dicendo.

Si fanno affermazioni pseudoglobali in cui ci si dice che "bisogna esaminare ogni evento dal punto di vista… "e giù una serie di aggettivi, ma mancano sempre "ambientale" e "demografico" da una parte e "politico" dall’altra. Si citano termini di storia politica dicendo, in sostanza: "Non potete esaminarli dal punto di vista politico". Chi è che ha scritto queste cose? Fuori i nomi.

La Commissione De Mauro aveva trovato un bilanciamento che a me sembrava il migliore di tutti i documenti ministeriali degli ultimi tempi rispetto alle varie dimensioni – locale, regionale, nazionale, europea, mondiale – dell’identità, dello spazio e dei fenomeni storici. Dopodiché la dimensione mondiale è scomparsa. Cioè non è semplicemente che non è bilanciata, ma nelle elementari è scomparsa, e questo è gravissimo. E’ scomparsa, non c’è, cioè ci sono tutte e quattro le dimensioni precedenti, ma la mondiale è stata cassata. Allora questa non è semplicemente un’attenuazione, è un’omissione, che è molto più grave di uno squilibrio, è proprio negare il diritto di cittadinanza ad una cosa.

E poi come diavolo si possa fare storia in questo modo nella scuola elementare di via Giusti a Milano, dove da 15 anni i cinesi sono di più degli italiani, questo solo Dio lo sa.

Io sono preoccupato, nel senso che capisco tutta la questione degli anticorpi, però sono più pessimista, e non so se sono più realista in questo senso. Cioè io penso che ovviamente molti di noi continueranno a fare quello che facevano prima, però il clima peggiora, peggiora bruscamente.

Sono convinto che le case editrici scolastiche continueranno a parlare della rivoluzione industriale anche se scompare dalle indicazioni, però ci saranno dei ridimensionamenti; sono convinto che ci continuerà ad essere la parte del Novecento, però ci saranno dei ridimensionamenti; tutte le cose che non sono automaticamente dette non sono automaticamente escluse, ma sono sub iudice.

Io mi aspetto, sulle cose non dette – è già successo sul mondiale – attacchi, attacchi ad oltranza. Non ci sono le emigrazioni continentali, non se ne parla. C’è un uso pubblico della storia. Io credo che noi dobbiamo lottare contro l’anomalia del caso italiano. La storia è una anomalia nel panorama comparativo, perché non credo che ci siano molti paesi in cui sono caduti Ministri della Pubblica Istruzione sul programma di storia come è successo alla Falcucci, che oltretutto non era certo una pivellina, ma una persona che sapeva navigare bene e conosceva la scuola.

Allora l’anomalia è l’eccezionalismo, e Bertagna è la stessa persona che, quando ho avuto occasione di lavorarci insieme nella Commissione Brocca, sosteneva ovviamente che la proposta non era di una scuola unica. Era una scuola "unitaria e differenziata", e sosteneva la seguente versione: "ogni materia dovrebbe avere una parte unitaria e una parte differenziata". Peccato che soltanto a due materie venisse imposto col fucile puntato alla tempia di fare la differenziazione: storia e matematica. Non si capisce perché l’eccezionalismo. O vale per tutte le materie che ci sono delle curvature di indirizzo o non vale per nessuna. Ma perché per alcune sì e per altre no, e perché per alcune prevale una logica funzionalista e per altre prevale una logica di controllo?

Io credo che poi, alla fine, se alcune battaglie che sembravano chiuse, grazie al secolo scorso, si riaprono, è perché c’è un tentativo pesantissimo di uso pubblico della storia, come è pesante nelle scienze, e come è pesante nelle altre discipline.

C’è un’altra cosa, ed ultima in questo primo giro, che è pesantissima: l’affidamento unilaterale e totalizzante della formazione iniziale in ingresso e in servizio degli insegnanti alle Università.

Questa è una materia ancora in corso, ma sappiamo che ci sono spinte o a eliminare la figura del supervisore nei corsi di laurea, o a conservarla ma con quelle gerarchie, per cui si dice che alle elementari sono una cosa, alla secondaria di primo e secondo grado sono un’altra, lì prevalgono gli aspetti disciplinari.

Voi sapete cosa vuol dire l’Università. Se prevalgono gli aspetti disciplinari, vuol dire che un povero Cristo che si è laureato si vedrà riinfliggere un semplice trasferimento di contenuti di storia medievale, storia moderna o al massimo storia della storiografia, o metodologia della ricerca storica se gli va proprio di gran fortuna, al posto di laboratori. Questi sono trasformismi.

Allora, io dico, in linea di principio è fondamentale che l’Università si occupi di tutte e tre le cose, però l’Università si è occupata pochissimo, se non per eccezioni che sono arcinote - da Ivo Mattozzi a Antonio Brusa, l’elenco potrebbe raggiungere probabilmente la ventina – di formazione iniziale degli insegnanti, fino alle SSIS, e pochissimo anche di formazione in servizio.

Adesso l’Università doveva occuparsi di tutte queste cose, e l’unica scappatoia per dire lo si fa con più soggetti, è che comunque l’autonomia scolastica è subordinata, ma non è citata. Infatti il documento del CNP diceva: "C’è l’autonomia scolastica". Piccolo rilievo al documento del CNP è che il CNP non aveva detto una cosa importante, che aggiungerei: ci sono le associazioni di didattica disciplinare. Io credo che la formazione sia una cosa da concertare, e poi le responsabilità giuridiche possono essere di natura diversa, ci possono essere agenzie formative di primo grado e di secondo grado, però bisogna utilizzare tutte le risorse. Allora, non citare l’autonomia scolastica è una perla clamorosa, cioè vuol dire "fa tutto l’Università tranne le cose in convenzione", ma le convenzioni… a parte che fra l’altro si dice che l’Università deve occuparsi anche della formazione dei tutor interni alle scuole, cioè che tutto ciò che riguarda le figure intermedie è di dominio dell’Università, che non se ne è mai occupata. E non si citano le associazioni che se ne sono occupate, i rami dell’amministrazione scolastica, e in alcuni casi perfino sovrintendenze o le direzioni regionali che se ne sono occupate, e non si citano le associazioni.

Questa è una cosa estremamente preoccupante, a mio avviso.