IVO MATTOZZI

Io ringrazio voi di essere qui ad ascoltarci, a partecipare e a dare un contributo a questo dibattito.

E’ la prima volta che viene convocata, rispetto alle proposte attuali, ma anche credo rispetto alle precedenti, una riunione di associazioni che si occupano di’insegnamento della storia, di fare ricerca sulla didattica della storia e di formare degli insegnanti. E ringrazio tantissimo la prof.ssa Summa e il prof. Fiorin, oltre a Maurizio logicamente, per avere dato il loro contributo che, già avete sentito, è qualificatissimo e sta dandoci la possibilità di arrivare forse ad un documento comune.

Perché questo dovrebbe essere lo scopo di questa riunione, cioè redigere un documento comune che tenga conto degli elementi di sfondo, degli elementi più specificamente riferiti alle indicazioni che riguardano la storia, magari se vogliamo allargando lo sguardo anche alla geografia, e magari all’uso dei beni culturali per l’educazione storica, un documento in cui si parli anche della formazione degli insegnanti.

Mi pare che gli interventi finora ascoltati siano stati molto interessanti perché sono stati anche complementari l’uno all’altro e delineano la possibilità di uno scheletro tematico del documento molto robusto.

Io condivido tutto quello che è stato detto; poi però si tratta di andare a controllare più dettagliatamente sui documenti certe affermazioni, così, quando scriveremo, dovremo essere molto più attenti, ragionare con più calma, e con più precisione di dati, anche su alcune questioni, come ad esempio l’orario.

L’orario è già scritto, purtroppo, nelle indicazioni: sono 891 ore per l’intero corso e poi, su richiesta delle famiglie, è prevista un’offerta opzionale facoltativa aggiuntiva fino ad un massimo di 100 ore annue. Se noi riuscissimo, faccio questo esempio, a capire cosa può succedere nella scuola elementare rispetto a questo monte di 891 ore, probabilmente vedremmo che la storia sarà una delle materie più penalizzate, sia nella scuola elementare che nella scuola media, e questo lo dovremmo denunciare.

Io vorrei aggiungere un mio contributo allo sfondo che è stato fatto: credo che un altro dei temi da mettere nel documento sia quello di definire qual è il mondo scolastico in cui queste leggi e soprattutto queste indicazioni vengono calate.

Lo sfondo che io percepisco, e che probabilmente è un po’ parziale e deformato dal fatto di avere a che fare, per fortuna mia, con insegnanti sempre molto in gamba (anche se poi io vado anche in giro a fare corsi di aggiornamento e quindi vedo anche insegnanti che fanno parte della scuola "comune", della maggioranza) è uno sfondo che mi pare si possa descrivere in questi termini: dopo tanti anni dall’adozione dei programmi del ’78, dell’85, dei programmi Brocca via via adattati ecc., io credo che non ci sia una situazione di attesa nella scuola, ma ci sia per la storia una situazione anche di grande fermento.

Io credo che una delle cose peggiori che farà la legge, o queste disposizioni programmatiche, sarà di stoppare un fermento e un movimento che era in atto verso approdi molto più avanzati rispetto a quanto non fosse successo nei primi tempi della messa in opera dei programmi citati.

Adesso stava maturando una certa situazione, stava maturando grazie alle equipe ministeriali, alla legge sul Novecento, ciascuna di queste cose ha dato una scossa alla scuola, grazie alle elaborazioni che man mano sono state approfondite. Quello che oggi noi diciamo sui programmi dell’85 o su quello della scuola media non è quello che dicevamo qualche decina di anni fa, quindi c’è stata un’offerta di elaborazione molto forte, e anche materiali innovativi, e c’è una rete di insegnanti, di iniziative, di produzioni di materiali disponibili…

Tanto per dire, Paolo Coppari mi ha donato, con mio grande piacere, una cassetta in cui c’è un’operazione molto nuova, originale, secondo me, io non la conoscevo, cioè una messa in scena –se ho capito bene – di una ricerca storico-didattica fatta su registri di scuole di Recanati degli anni ‘40-45, scene e luoghi di vita scolastica. I bambini, gli alunni hanno fatto la ricerca storico-didattica e poi, sulla base delle informazioni prodotte, hanno anche realizzato un film, con l’aiuto di un regista.

Perché lo cito? Perché questo è qualcosa di originale, ed è uno degli elementi di una quantità sterminata di produzioni che avvengono e man mano stanno crescendo nelle scuole. Tutto questo da una parte ci fa indignare perché sentiamo che le indicazioni di questi "clandestini" delle Commissioni non hanno tenuto conto di questa cosa, non ne hanno tenuto conto nella fase di inchiesta, e hanno emesso sentenze sulla scuola senza conoscerla a fondo (la Commissione Bertagna, che ha fatto l’inchiesta non fa parte delle Commissioni che attualmente stanno lavorando sulle indicazioni).

Questo ci indigna, d’altra parte però non possiamo non tenerne conto noi: dobbiamo cioè pensare che probabilmente ci sono nella società scolastica attuale degli anticorpi, che si sono formati sulla base di quello che è stato elaborato in questi decenni. Questa è l’altra faccia della medaglia che noi dobbiamo valorizzare.

Per quanto riguarda poi le cose dette, anch’io cercherò di essere complementare e di non ripetere ciò che è già stato anticipato molto bene dagli amici che sono intervenuti: io vorrei dire una cosa davvero che mi ha scandalizzato e di cui vorrei scrivere, perché i pedagogisti pare che non vogliano scrivere contro Bertagna, per solidarietà di corporazione mi immagino. Le cose che Bertagna ha scritto a proposito del curricolo sono cose miserevoli, perché ha detto che la parola curricolo – ha fatto anche un’analisi semantica - noi l’abbiamo ripresa anche dagli inglesi, ma non serve ecc. ecc.

Invece c’è stata un’elaborazione, anche da questo punto di vista, che certo ha richiamato quella del mondo anglosassone, ma che poi è diventata un’elaborazione originale, che è stata fatta propria da tanta gente, dai pedagogisti ma anche dai didattici disciplinari, per cui la didattica disciplinare si è qualificata attraverso l’idea del curricolo, attraverso l’idea di riuscire a pensare progressioni di apprendimenti che potessero sviluppare le competenze cognitive, le conoscenze, ecc. ecc.

 

Invece questo signore si permette di liquidare con poche battute un’idea che ancora nella scuola non si è incardinata bene, che nella mente degli insegnanti però stava sfondando, tant’è vero che gli insegnanti chiedono corsi sul curricolo e sulla programmazione curricolare.

Questo è un segno, secondo me, di incultura pedagogica, di chi non sa interpretare il mondo intorno a lui. Ma qual è la cosa peggiore? E’ che c’è una contraddizione: si valorizzano i piani di studio personalizzati e si valorizzano le unità di apprendimento, ma come si fa ad organizzare il piano di studio personalizzato e le unità di apprendimento senza una visione curricolare, cioè senza una visione continuativa, di continuità dei processi di insegnamento e di apprendimento? E’ qualcosa di davvero fuori dal mondo, secondo me. Un insegnante o fa questa riflessione, oppure il piano di studio personalizzato lo farà casualmente, senza prospettiva. Perché il curricolo è un impianto che rende possibile all’insegnante vedere il punto in cui sta e la prospettiva in cui deve marciare con i ragazzi.

L’altra contraddizione è che poi si sono elaborate delle indicazioni che, tutto sommato, hanno un curricolo latente, non esplicito, al solito modo, al quale poi i produttori dei manuali si atterranno alla lettera… o meglio, recepiranno le cose più facili da recepire e, per stare in regola, per non farsi concorrenza o per non rischiare di non vendere libri, offriranno anche loro il loro curricolo latente, che non viene messo in crisi da nessun’altra idea di curricolo.

Un’altra questione è quella dell’educazione alla convivenza. Giustamente Maurizio ha rilevato tutte le mancanze e tutte le insipienze che sono dentro le indicazioni riguardanti l’educazione alla convivenza, e io vorrei rilevare quest’altra cosa. Si parla di ambiente, giustamente, però non è più una questione importante, l’ambiente vuol dire che si conosce qualcosa del proprio territorio, che c’è la possibilità di capire che non bisogna sporcare l’ambiente… queste sarebbero cose banali.

Ma in rapporto con l’ambiente, se pure ci sono anche alcune indicazioni minime riguardanti i beni culturali, non c’è niente che riguardi l’educazione al patrimonio, l’educazione ai beni culturali, che è stato un punto di forza, un punto alto della scuola italiana attraverso tante iniziative, come "adotta un monumento" e via di seguito. C’è, anche in questo caso, tutta una serie di elaborazioni teoriche, di riflessioni, di raccomandazioni dell’UNESCO, di raccomandazioni del Consiglio d’Europa, che non vengono tenute in considerazione.

Anche in altre questioni questi programmi mostrano di essere senza riferimenti ad elaborazioni e a documenti di organizzazioni come l’UNESCO, o come il Consiglio d’Europa.

Il Consiglio d’Europa dice anche che bisogna dare un’educazione europea, una coscienza europeistica, e dice che questo bisogna farlo senza ricadere nei vizi del nazionalismo, senza perdere di vista la mondialità, cercando di mettere in gioco le dimensioni dal locale al mondiale. Le indicazioni invece aboliscono questa prospettiva e mettono qualche riferimento assolutamente contraddittorio tra gli obiettivi e i contenuti, perché mettono nelle indicazioni per la scuola media che gli alunni devono riconoscere la dimensione locale, macroregionale, mondiale della storia, ma senza che ci sia neppure un’indicazione – come ha detto giustamente Maurizio – su conoscenze a scala mondiale, e anche le conoscenze a scala locale, pur essendo presenti, non sono molto ben valorizzate, non si capisce molto bene cosa si deve fare con la storia locale.

Per concludere, io ultimamente sto cercando di presentare queste indicazioni al fine di giocare d’anticipo e per dire agli insegnanti: "Avete autonomia di interpretazione, avete diritto di ricerca, avete la possibilità di tenere d’occhio queste indicazioni, ma di interpretarle in modo positivo rispetto al fare e all’apprendere".

Io le ho lette, le ho chiosate, e quindi ho intrecciato indicazioni, raccomandazioni, obiettivi, le premesse generali di queste indicazioni, ma quando poi vado a leggere le indicazioni così come le trovo, il problema che riscontro è che veramente sono vacue, sono indicazioni vacue. Cioè gli insegnanti alla fine (io mi sono immedesimato negli insegnanti) perché dovrebbero leggere dei programmi formulati così?

Gli insegnanti in genere i programmi non li leggono, lo so, ma mentre una volta magari potevo dire: "Guardate, sbagliate a pensare che il manuale sia il programma e quindi leggete il programma e fatevene un’idea", ore se uno legge queste indicazioni senza un forte sfondo di ricerca, le trova assolutamente vuote, cioè non solo non dicono il "come si fa" – e diciamo per fortuna anche – ma per di più non sono chiare.

Io ho presenti i programmi della scuola francese che invece sono molto meno prescrittivi, ma danno molte tracce, danno la possibilità agli insegnanti di capire anche come poter realizzare una didattica virtuosa. Qui, invece non c’è assolutamente questo.

Allora rispetto a questa cosa dico: "Dove siamo? In che punto siamo?".

Siamo in un punto in cui le indicazioni non sono ancora legge, questa è la prima cosa. Forse non lo diventeranno neppure entro il 1° settembre. Anzi, questo è sicuro perché, secondo scalette che ho letto, probabilmente al 1° settembre comincerà la nuova scuola della prima e della seconda classe, e queste indicazioni non avranno ancora percorso tutto l’iter e ancora non saranno legge. Questo però non impedirà loro di diventare una sorta di punto di riferimento per le prime e le seconde classi.

Ora, per le prime e le seconde classi, a parte le critiche che possiamo fare circa la formulazione di certe cose, tutto sommato non c’è granché di diverso da quello che si poteva evincere dai programmi dell’85. Il seguito invece è preoccupante. Allora noi dobbiamo preoccuparci di essere capaci di orientare fortissimamente gli insegnanti verso approdi che probabilmente i "clandestini" della commissione non hanno previsto. Questa è una delle prime cose che dobbiamo fare, cioè dobbiamo cogliere quest’occasione in cui si rimetteranno in moto corsi di aggiornamento, per riuscire, con una sorta di rovesciamento degli scopi, ad incoraggiare gli insegnanti di storia ad assumere le prospettive che noi possiamo proporre.

Noi dobbiamo giocare da una parte sulla critica, anche impietosa, di ciò che è assolutamente inaccettabile per noi, e dall’altra parte però dobbiamo dare ampie prospettive di fare un buon insegnamento della scuola e un buon uso dei beni culturali per l’insegnamento della storia.

Un’ultima questione era quella che diceva anche il Prof. Fiorin. Ci sono alcune cose, che sono riprese da precedenti elaborazioni legislative, che possono essere per noi un grimaldello, una sorta di leva, e vi dico quali.

Per esempio l’idea di portfolio, l’idea di unità di apprendimento, l’idea della epistemologia delle discipline, perché ci sono affermazioni condivisibili nelle raccomandazioni, a proposito della disciplina dell’epistemologia, del rapporto tra epistemologia e insegnamento.

Tornando all’idea di portfolio, giustamente Maurizio faceva tutte quelle critiche, ma l’idea di portfolio può essere un elemento grazie al quale la storia finirà – è una speranza – di essere considerata una materia verbalistica, un flatus voci; gli insegnanti, per fare un portfolio, e per fare un portfolio non inutile, dovranno misurarsi con la elaborazione, da parte degli alunni, di prodotti, a partire da testi, da audiovisivi, da fonti ecc.

E c’è anche l’idea di laboratorio. Attenzione, tra i laboratori esplicitamente indicati nelle indicazioni non c’è il laboratorio di storia, però nelle raccomandazioni si dice: "Però certe cose si possono fare anche in laboratorio". Cioè se noi assumiamo queste cose che, ripeto, non fanno parte di un’elaborazione originale del Ministero: l’idea di portfolio io la uso con i miei studenti già da parecchi anni, prima di leggerla nei documenti Bertagna.

Ecco, se noi usiamo queste cose, insieme con le critiche e insieme con la proposta di una interpretazione in positivo, di una interpretazione che tenda a far recepire agli insegnanti le nostre proposte, noi giochiamo dei begli scherzi anche al Governo. Io ho questa speranza. Se non avessi questa speranza, chiuderei…

Io credo allora che un documento, se gli interlocutori saranno d’accordo su questo, potremmo farlo non tanto per mandarlo al Ministero –non riusciranno neppure a leggerlo, o non sapranno leggerlo, non so – ma per mandarlo agli insegnanti, per diffonderlo tra gli insegnanti. Questa è la cosa essenziale.