GIULIO GHIDOTTI

Stamattina ho scoperto di essere anche un anticorpo, tra le tante cose (un "anticorpone").

E’ sì interessante sperare nelle resistenze naturali degli insegnanti, parlare di anticorpi e cercare di volgere al bello ciò che è insopportabile, ma in realtà poi bisogna che le idee e gli anticorpi li identifichiamo nella volontà, nelle azioni quotidiane di percorsi di persone in carne ed ossa, uomini e donne, che ogni giorno sono a scuola, perché altrimenti sono delle pie illusioni le nostre.

Sono contento che Ivo naturalmente abbia a che fare con gente, con colleghi e colleghe speranzosi di innovazione, purtroppo io ogni giorno a scuola vedo anche l’altra parte della medaglia, gente che dice: "Finalmente si ritorna".

E’ questa la riforma che è già passata, non c’è più bisogno di fare altri decreti delegati da parte del Ministro: anche senza far niente è già passata. Perché era quella parte di non detto, di non fatto che continuava a rappresentare il curricolo latente nonostante i nostri corsi di aggiornamento, perché i nostri corsi avevano come esito, quando andava bene, che su 20 persone 3 o 4 ci seguivano sulle varie piste di sperimentazione, mentre gli altri chiamavano con nomi nuovi le stesse cose.

E continueranno ad andare avanti così, con l’aggravante che gli anticorpi sono invecchiati, passa il tempo e vedo, per esempio nel bresciano, appannarsi una risposta che era stata limpida. Nessuna scuola statale in provincia di Brescia aveva ascoltato l’appello alla sperimentazione, sto parlando delle scuole dell’infanzia e delle scuole primarie. In generale l’ambiente bresciano è abbastanza innovativo, nessuna scuola dunque aveva aderito, solo le suore …

A settembre, quando abbiamo fatto quel convegno di cui vi abbiamo parlato ieri, c’era ancora entusiasmo. Ma man mano che si va avanti, anche le scuole che avevano consapevolmente espresso questa opzione sono disorientate e le disorientiamo anche noi, Ivo, quando diciamo che a settembre inizierà forse la prima e seconda classe. Non comincia niente a settembre!

L’ha scritto anche la Moratti quando nella lettera dice che bisogna attivare il confronto nel tavolo Stato-Regioni-Camera ecc.ecc. A settembre non comincia niente, se non siamo noi che induciamo la gente ad aspettarsi che debba cominciare. A settembre cambia solo che ci sono 4 ragazzini in più di età diversa che entrano in classe perché è non è costato niente farli entrare solo alle elementari.

Se noi induciamo a credere che la riforma sia effettivamente realizzata, anche nella speranza di voltare in positivo cose che sono negative, secondo me continuiamo a dare un elemento di disorientamento anche in chi potrebbe fare una resistenza naturale, e a questo punto la resistenza naturale non c’è più.

Dobbiamo allora svolgere un’analisi e vedere dove sono le realtà concretamente, storicamente innovative. E quali sono? Sono gli istituti comprensivi, per esempio, i soli che chiedono ancora formazione, se notiamo bene. Perché sono i soli? Perché sono nelle condizioni strutturali di mettere d’accordo i vari livelli scolastici, e lì si incarna il discorso del curricolo. Allora rivolgiamoci a quel tipo di istituzione, a quel tipo di realtà dove la resistenza è storica, non naturale. Oppure nella realtà dei tempi pieni, anche e non solo, ma andiamo a cercare quelle realtà lì, a partire dalle quali possiamo sperare di sostenere la resistenza, perché altrimenti secondo me, oltre al disorientamento, c’è la voglia di pensione, c’è la voglia di arrivare agli ultimi anni per andarsene dalla scuola pubblica e finirla lì.

Questo viene proprio dall’esigenza di fare i conti di quello che è maturato in questi anni. L’unica riforma vera è quella che è partita, si è maturata e si è sviluppata all’interno delle scuole. E’ questa riforma che è a rischio. Non so se i colleghi della scuola militante ogni giorno condividono questo problema. Io lo sento in modo particolare.

Allora, il ruolo delle associazioni diventa strategico a questo punto nel selezionare il campo e nel selezionare il tipo di intervento, il tipo di proposta, il tipo di lettura, una lettura chiara, una lettura evidente e non equivoca a sostegno di un’altra idea di scuola, un’altra idea di funzione docente. Dopo certo sopravviveremo, cercheremo di sopravvivere, ma non rinunciando a dire che è possibile, che ci sono i luoghi e le possibilità di una scuola diversa.

GIUSEPPE MURA

Io non entro nel merito delle cose dette perché condivido gran parte delle cose. Il mio intervento sarà un pochino diverso e forse si riallaccia un po’ di più a quello che diceva Giulio adesso, anche se sposto il ragionamento. Intanto sono tra quelli che ha già deciso di andare in pensione, e comincio da un dato biografico perché secondo me però ha un certo collegamento con quanto volevo dire.

Ieri raccontavo a dei colleghi di come, quando sono entrato io nella scuola nel ’71, le cose erano chiare. Per dirla con una metafora, da un lato c’era chi stava con Don Milani e dall’altro c’era chi stava contro. La misura si è colmata quando Don Milani è stato utilizzato per tradirlo, nella lettera e nello spirito, dal documento Bertagna. Allora ho detto: "Qua non si capisce più niente. Si è rovesciato tutto". Allora noi eravamo con Don Milani per l’innovazione, e anche qualcosa di più, della scuola contro la conservazione, oggi ci si oppone una rilettura di Don Milani come una innovazione rispetto a noi che siamo la conservazione. E questo mi pare alquanto paradossale.

Però, voglio dire, attenzione perché queste operazioni non sono rivolte principalmente a noi. E’ anche troppo facile sapere che noi le rifiutiamo, che abbiamo gli strumenti culturali per opporre a questo una lettura ben più corretta filologicamente. Ma queste operazioni sono operazioni in gran parte di immagine, mediatiche, rivolte ad una generica popolazione di insegnanti. Noi certo costituiamo una punta in grado a volte di orientare i colleghi, ma non illudiamoci che gli altri siano sul nostro stesso piano, e soprattutto bisogna considerare che si tratta di un’operazione che ha come finalità quella di diffondere un senso comune didattico regressivo tra gli insegnanti.

Noi sappiamo che nei processi di innovazione, nella nostra militanza attiva nella scuola, noi abbiamo trovato come uno degli ostacoli principali le resistenze della famiglia e del senso comune didattico diffuso, cioè, oltre alle difficoltà di costruire percorsi innovativi, dovevamo convincere che questi percorsi erano didatticamente, formativamente e culturalmente migliori dell’offerta tradizionale.

Con alterne vicende, a volte siamo riusciti anche ad orientare in questo senso, ma io credo che oggi queste condizioni stiano peggiorando. Con queste misure, anzi prima ancora che siano in vigore, sarà più difficile per un insegnante rispondere al genitore che dice: "Ma di Muzio Scevola non ne parlate? Come mai mio figlio non sa le guerre puniche?".

Allora io credo che se l’obiettivo è questo, ampliare la frattura tra gli "anticorpi" presenti nella scuola e l’insieme del restante mondo scolastico, che è composto dall’insegnante medio comune e dalle aspettative delle famiglie, io credo che la resistenza sia giusta.

Dobbiamo però stare attenti ad un pericolo, un pericolo che io vedo in maniera abbastanza chiara: secondo me a noi non impediranno di costruirci delle "riserve indiane": è infatti vero che la legge consente che noi possiamo, appellandoci alle norme sull’autonomia, continuare a fare determinate cose. Questo non ce lo impediranno, il problema è che rischieranno di diventare nicchie che non comunicano con il resto, con l’insieme del sistema scolastico.

Allora il problema è che questi documenti vanno bene, ma il nostro lavoro deve essere indirizzato ad uscire fuori da noi, a coinvolgere anche altri, a far capire che quella scuola è una scuola non adatta per le esigenze, i bisogni, i desideri formativi dei bambini, delle bambine, dei ragazzi e delle ragazze. Non è che non è adatta per noi insegnanti, non è adatta per quelli che sono i soggetti principali della scuola. Allora noi lo dobbiamo far capire non al nostro interno, non al Ministero, ma lo dobbiemo proprio comunicare ad un ambiente più vasto, mostrando che un’altra scuola è possibile.

LUCIANA COLTRI

Io ringrazio per l’analisi che questa mattina i relatori ci hanno consentito di fare, che si è aperta a ventaglio su tutti gli aspetti possibili di queste indicazioni. In particolare riprendo una sollecitazione, che mi è venuta in modo indiretto dal prof. Mattozzi, proprio per quel tipo di analisi che riguarda il panorama degli insegnanti che stanno in classe. Giulio e Giuseppe hanno parlato di momenti di vita scolastica, di ambienti adesso all’avanguardia, che prima non lo erano e adesso lo stanno diventando.

Io invece vorrei parlare di una situazione di totale normalità, nella quale l’avanguardia sono solo io, o almeno mi sento solo io, e dove devo adeguarmi ad una situazione che potremmo definire "normale", di una normalità nella quale gli insegnanti, con giudizio e con molta serietà, svolgono il loro compito di insegnanti, ma che non sono ancora arrivati all’idea del curricolo, non sono arrivati ad un’idea di curricolo che non è solo un’idea mentale, ma è una pratica di curricolo.

Vorrei proprio ricordare che esiste anche tutta questa parte della scuola elementare. Io insegno in una scuola elementare e mi sento di dover parlare di questa scuola elementare, sia in modo diretto che in modo indiretto come tutor di ragazzi che fanno il tirocinio presso le scuole.

C’è una zona molto ampia che nel gruppo di Clio viene percepita, viene sentita ormai come quella che sta al confine perché noi siamo gli insegnanti che stanno portando avanti delle sperimentazioni, ma sono molti gli insegnanti che comunque vivono il disorientamento generato da queste indicazioni, e lo vivono quasi come una sorta di allarme.

E l’allarme viene soprattutto da quel blocco biennale delle prove che devono preparare per i bambini. Quindi tutti i discorsi sul portfolio, sulle indicazioni, sulle preparazioni, sugli argomenti, sui contenuti, passano assolutamente in secondo piano perché c’è questa richiesta di fare una prova di passaggio biennale. Questo è il fuoco, è la lente con la quale gli insegnanti con i quali io convivo quotidianamente stanno cercando di leggere queste indicazioni.

Quindi io proponevo anche un’altra sorta di lettura, che è quella delle prove elaborate secondo i canoni nazionali. In questo periodo stanno infatti girando le prove di qualità, ci sono cose nella scuola che sono assolutamente contraddittorie, secondo il mio giudizio, e che però stanno creando una sorta di terreno che preparerà queste prove di verifica – io le chiamo così perché secondo me così verranno interpretate – su bambini già in seconda elementare, al passaggio tra la prima e la seconda elementare, e poi al passaggio tra la terza e la quarta elementare.

DONATO ROMITO

Ciao a tutti. Io sono di Pesaro e sono qui con Mauro Annoni di Clio di Pesaro. Ho imparato molte cose stamattina su cui non avevo riflettuto abbastanza. Un quadro generale probabilmente va fatto, nel senso che questo governo doveva ringraziare gran parte dei suoi elettori di due anni fa. Noto che gran parte dei docenti di scuola media e scuola elementare hanno votato per il governo Berlusconi non foss’altro perché si affossava la legge di riforma Berlinguer, che evidentemente era una legge non abbastanza spiegata e accettata dagli insegnanti. Infatti la scuola media mi sembra che rimanga inalterata nella sua struttura; la scuola elementare viene sconvolta, ma confermo anch’io che esistono quelli che dicono: "Finalmente si ritorna alla bella scuola elementare di una volta".

Io faccio il maestro e posso confermare che questa è l’aria che tira un po’, però ci sono delle contraddizioni su cui bisogna ragionare. E’ vero, sentirsi anticorpo forse può essere un po’ strano, specialmente quando era contro di noi che 30 anni fa scattavano gli anticorpi, cioè noi eravamo il virus pericoloso del laicismo, del criticismo, dello storicismo che entrava nella scuola e che la faceva finita con l’istruzione cattolica a coronamento dell’istruzione primaria… non so se vi ricordate.

Ora siamo noi gli anticorpi perché noi vogliamo difendere la scuola pubblica, questo è il discorso. Cioè non vogliamo che l’insegnamento di Don Milani finisca per diventare "si può fare scuola, e buona scuola, fuori dalla scuola pubblica", perché Don Milani diceva anche questo.

Oltre alle cose belle che faceva, era l’esempio di come si potesse fare scuola, una buona scuola, per i figli del popolo fuori dalla scuola pubblica che respingeva i figli del popolo. In maniera molto subdola, chi strumentalizza Don Milani dice proprio questo: la scuola pubblica è una delle possibilità di formazione oggi esistenti. E’ possibile fare della scuola di formazione al di fuori della scuola pubblica.

Ecco perché cade il discorso dell’obbligo, ecco perché viene scompaginato l’impianto della scuola pubblica, ecco perché i finanziamenti alla scuola privata. Don Milani si trova purtroppo, inconsapevolmente, senza averne nessuna colpa, ad essere responsabile di un avallamento, con un trasferimento ideologico abbastanza perverso, degli interessi di questo governo.

Io vado un po’ a salti perché ho preso degli appunti.

I programmi prescrittivi: questa è una vecchia malattia della scuola italiana, programmi prescrittivi, centralisti, e poi magari si creano delle riserve indiane. Però qui si parla, forse per la prima volta, di livelli di prestazione, non solo di obiettivi formativi, ma di livelli di prestazione, delle performance vere e proprie che i ragazzi devono dimostrare di saper fare, e c’è qualcosa che si chiama "INVALSI". Io toglierei anche la "L", potrebbe diventare "invasi", cioè verremo invasi da test da somministrare ai nostri alunni che poi verranno rispediti al livello centrale per vedere come va.

Occorre una riflessione, secondo me, anche su un aspetto che si intreccia fortemente con la riforma e che è la battaglia sulla Costituzione, che è legata alla regionalizzazione e che a sua volta è legata alla devolution. Cioè ancora oggi non è chiaro che fine faranno gli insegnanti della scuola pubblica attualmente statale.

Chi sarà il nostro datore di lavoro? Sarà il Ministero o saranno le Regioni? E con quali fondi? E quanto potranno influire le Regioni nel decidere i programmi delle scuole di loro competenza, compresa anche la storia? E qualcuno, sapete bene, ha intenzione anche di riscrivere i programmi di storia, anche a livello regionale, non in un quadro nazionale.

Mi ricordo in uno dei convegni più recenti che, reduce da un’esperienza in Spagna, Ivo ci parlava dell’autonomia degli insegnamenti della storia di alcune regioni spagnole come esempio positivo di leggere, però ci vuole un impianto generale che sappia valorizzare le storie regionali e le storie locali. Qui rischiamo di andare invece contro la Storia con la S maiuscola di quella regione, e delle altre chi se ne frega.

E’ vero, non sono leggi, sono soltanto indicazioni, ma la scuola italiana ha il brutto vizio di ragionare con il "come se". Non sono leggi, ma facciamo finta che siano già legge. Questo è un vizio che si trova negli atti amministrativi dei comuni, cioè ci sono norme ancora non legge nero su bianco, che vengono considerate come se già lo fossero e quindi in base a quelle si va avanti.

Ecco perché temo fortemente che quegli elementi di cui si sta parlando a settembre vengano considerati come se fossero già attivati. E i dirigenti scolastici stessi si comportano sempre in questa maniera, e ci vuole sempre l’anticorpo di oggi, l’ex kamikaze di una volta, che alzi la mano in Collegio per dire: "Guardi che non possiamo fare così perché la legge non ce lo consente. Lei vorrebbe, ma non è possibile, bisogna aspettare che diventi legge. Non possiamo anticipare nulla perché altrimenti cadremmo nell’illegalità".

E chiaramente è faticoso ogni volta svolgere questo ruolo bivalente di chi si occupa di una disciplina perché è appassionato, perché la studia, e poi questo ruolo tra il sindacale e l’opposizione politica interna al collegio dei docenti. Però il rischio è questo.

Abbiamo recentemente avuto interessanti discussioni a livello di curricolo verticale tra scuole dell’infanzia, elementari e medie. Ebbene, questa questione del fare due volte il programma 5 anni considerando gli ultimi 2 della scuola elementare più 2+1 della scuola media, anche se dalla scuola elementare è una responsabilità piuttosto grossa quella di occuparsi dall’età antica fino all’anno 1000, però dà la possibilità negli istituti comprensivi, per la prima volta forse, di ragionare veramente sulla curricolazione di un percorso di storia e formazione, perché finora i comprensivi hanno avuto sulla carta la scuola elementare che finiva col ‘900 in quinta e poi si ricominciava con l’età antica in prima media.

Allora ecco cosa deve fare l’anticorpo. L’anticorpo – ci facciamo carico della bontà della scuola pubblica, ripeto, in questo ruolo di anticorpi – deve riconoscere qual è il virus che deve combattere. Se il virus che noi inoculiamo in piccola quantità in questo momento è un programma di storia che è fatto due volte, 5+5, e i primi cinque anni sono a cavallo di due ordini di scuola, forse è l’occasione buona per cominciare a ragionare sul fatto che questa volta possiamo veramente curricolare in verticale. Perché se il collega della scuola media, in prima, parte dal 1001, non può non sapere come è stata fatta la storia in quinta e in quarta elementare. Bisognerà pur poggiare delle basi storiche solide a cavallo di quarta, quinta elementare, prima media, se lei/lui, il docente di storia della scuola media, intende continuare un percorso di un certo tipo. E quindi bisognerà per forza parlarsi, per forza decidere insieme.

E allora qui alcuni nostri strumenti importanti probabilmente vanno, sul piano metodologico prima ancora che su quello dei contenuti, riportati grandemente alla luce. Il grafico temporale ci serve o non ci serve? E allora se ci serve io comincio a farlo in terza elementare e dire che diventa fondante per tutto l’approccio che tu hai al programma di storia fino alla terza media. Lo stesso vale per la tematizzazione. Usare le fonti, da quelle orali a quelle archivistiche, se io lo faccio alla scuola elementare perché fa parte della mia esperienza di docente della scuola elementare, se devo curriculare con te - e non posso non farlo, perché il programma è "a ponte" – sono costretto finalmente, almeno per la storia, a dovermi mettere intorno ad un tavolino e a dire: "l’età antica la faremo – la "faremo", plurale – così, perché tu, collega della scuola media, quando attacchi con il 1100 d.C. devi sapere che questi alunni hanno fatto l’età antica, almeno fino al 1000, in questa maniera altrimenti non ti ci ritrovi.

Cioè per la prima volta nella scuola media i coleghi devono rinunciare, devono cedere competenze su di una parte del curricolo perché questa viene fatta nella scuola elementare. Sempre che le cose restino così. Ma se restano così, sono d’accordo con Ivo, è un’opportunità da sfruttare a nostro vantaggio, e non è riserva indiana, ma diventa applicazione a tutto campo nei comprensivi, che non sono sicuramente pochi in Italia, in cui noi possiamo agire come elementi di riflessione sul fatto che non possiamo giocare a compartimenti stagni: finisce la quinta, comincia la scuola media. No, dobbiamo per forza ragionare su un curricolo-ponte.

Sui famosi LARS, sui laboratori, io non avrei molta speranza per la storia perché i sono stati pensati per i reietti del programma. La povera geografia resta lì. Semmai avrei speranza sul fatto che vadano a incrementare quelle 100 ore facoltative.

Vado velocemente a conclusione. E’ vero, abbiamo dei problemi, abbiamo il problema del mito che ritorna, Muzio Scevola e le guerre puniche, però a me sembra che sia uno degli elementi statutari di Clio proprio quello di riprendere il mito per insegnare ai nostri alunni come si costruiscono i miti, come si costruisce una tradizione, occidentale in questo caso, e come su quella costruzione bisogna lavorare.

Perché nei programmi di storia, se li leggete fino alla fine, il richiamo alle tradizioni occidentali, il fatto che bisogna studiare la Grecia fino ad Alessandro (non mi ricordo programmi di storia in cui sia mai stato scritto "la Grecia fino ad Alessandro" ) dimostra chiaramente un uso pubblico, cioè il fatto che bisogna dare ai nostri alunni delle fondamenta chiare, occidentali, cristiano-greco-romane. C’è il riferimento anche all’Islam, l’unica concessione che c’è. Però qui noi dobbiamo rivalutare la nostra capacità di saper decodificare i miti, le tradizioni occidentali, perché queste fanno parte anche del fare storia, e fanno parte di quell’elaborazione di pensiero critico che oggi è complessivamente, fortemente messa in discussione da quell’approccio più funzionalistico rispetto alle discipline.

Chiudo con "funzionalistico" perché mi riporta direttamente all’inizio, cioè al fatto che qui si chiedono i livelli di prestazione, non siamo più in una formazione di tipo olistico, siamo tornati alla formazione fatta per piccoli segmenti: si fanno delle piccole cose, e un po’ alla volta si rischia di banalizzare. Sul portfolio io avrei delle grosse perplessità, perché può essere usato come uno strumento di controllo, ma può anche diventare una sorta di banca dati preziosissima.

Perciò accetto la sfida, sono pronto ad accettare la sfida, anche se è vero che non si sa chi dovrà compilare il portfolio, con quali tempi e con quali soldi soprattutto.