VINCENZO GUANCI

Riprendiamo la parola al tavolo concludendo il giro. Non so chi vuole cominciare…

IVANA SUMMA

Se è possibile, per un motivo di pari opportunità, siccome ho preso poco tempo all’inizio perché sto alle consegne, non vorrei che alla fine poi non ne restasse.

Non è che abbia delle cose così importanti da dire, però, vedete, sia soprattutto il dibattito che i colleghi qui al tavolo, mi stanno facendo capire altre cose, sulle quali però spero di sbagliarmi.

La prima cosa. Non sottovalutiamo il fatto che il nostro Ministro è un esperto di implementazione di innovazioni, nelle aziende ovviamente, ma del resto sta trattando la scuola come un’azienda. Cosa voglio dire? Che per fare una riforma, come atto normativo, ci vuole ovviamente una maggioranza, e fin qui il Governo è in una botte di ferro.

Ma per realizzare una innovazione, che è altro dalla riforma, perché richiede trasformazioni di pratiche professionali e perché l’innovazione incorpora l’idea di miglioramento, la questione è diversa. Io non ho detto che gli insegnanti sono particolarmente resistenti al cambiamento. Tutt’altro. Sempre le innovazioni incontrano resistenza negli operatori di una determinata organizzazione,specie quando il nuovo non parte dal basso o,almeno, non si incontra con i cambiamenti già in atto. Non dimentichiamo che le pratiche sono difficili da modificare; le routines professionali sono le certezze di cui tutti abbiamo bisogno, perché non possiamo reinventarci il lavoro ogni giorno.

Allora iniziamo col dire che tutte le scuole sono diverse, poiché poggiano su routine e su pratiche professionali diverse. Io da 10 anni a questa parte giro tutta l’Italia, e di scuole innovative non ne ho trovate tante. Ci sono nicchie di innovazione dentro le scuole, ma non scuole tutte innovative, cioù predisposter, in modo endogeno, a cambiare.

E il nostro Ministro è così consapevole di questo, che il suo progetto di riforma non va incontro a quelle scuole e a quei docenti che hanno fatto della ricerca in funzione innovativa il loro modello professionale e di azione didattica, ma a quelle scuole e a quei docenti che, in questi anni appena passati, si sono aggrappati a pratiche tradizionali e ripetitive e a concezione dell’insegnare e dell’apprendere, ormai superate in questi ultimi cinquant’anni. Questo sentire rassicurante, peraltro, si salda in modo formidabile con il buon senso. Infatti, per comunicare la riforma, il ministro sta agendo su due livelli:

  • il primo è rappresentato dal cittadino - consumatore del bene privato scuola. Non c’è una visione aziendalistica in questa visione della scuola, c’è una visione familistica, che è qualcosa ancora più pericolosa. Pensate alla questione dell’anticipo. Io personalmente, che bambini vadano a scuola a 5 anni, a 6 o a 7, non la considera così tragicamente pregiudiziale, ma che siano le famiglie a decidere e non le scuole - permettetemi - questo significa togliere potere professionale alle scuole. Non è riconosciuta la professionalità delle scuole e degli insegnanti. Allora la riforma agisce sul "cliente consumatore". Sappiate che a giugno verranno addestrati non so quante migliaia di animatori da spiaggia – non sto scherzando, è vera questa cosa, è stata detta l’altro giorno a Bologna in una conferenza di servizio – che contatteranno i genitori dei bambini che andranno in prima, per fare marketing, propaganda sulla scuola. Che cosa poi sia questa scuola nuova, noi facciamo fatica a vederlo, anche se chi ha voluto questa legge ce l’ha molto chiaro.
  • il secondo pilastro su cui si appoggerà la politica implementativa di questo governo è un altro: il sistema di valutazione, il Grande Fratello della scuola. Qualcuno qui l’ha citato, non illudetevi, non illudiamoci che poi, tornati a scuola, si fa quello che si è sempre fatto. Come dicono alcuni miei amici: "Tanto io poi in classe faccio quello che mi pare…" No, no, attenzione! Attraverso la valutazione degli apprendimenti – se ne è parlato in questi giorni di negoziazione sul contratto per il personale della scuola - si calibrerà una parte sostanziale dello stipendio degli insegnanti, ma anche del budget di scuola, ed anche, ahimè, dei dirigenti scolastici, i quali dirigenti scolastici sono non a caso più ricattabili, e comunque si sta mettendo insieme tutto un sistema di ricattabilità a catena. Allora la valutazione diventa il controllo sulla capacità di esecuzione delle scuole.

Ma c’è anche un effetto perverso di questo tipo di valutazione: è già risaputo che con le prove di verifica si standardizzano i curricoli. Questo aspetto per me è illuminante, perché significa ciò: "Tu fai i programmi, gli altri li svolgono, ma sai benissimo che la discrezionalità di cui godono tutti gli operatori, tanto più quando agiscono in modo professionale come gli insegnanti, quindi con decisionalità didattica molto forte e molto personalizzata, li allontana da ciò che viene formalmente richiesto… Quindi l’unico modo che hai, e che è previsto, peraltro, anche normativamente, è la questione del controllo". Attenzione, il controllo si farà sui livelli essenziali di prestazioni. Le indicazioni contenute nei documenti Bertagna , anche qui, configgono; infatti, non sono "indicazioni", ma prescrizioni, poiché, facendo riferimento alla legge costituzionale 3/01, sono cogenti.La legge di riforma costituzionale, infatti, prevede che lo Stato fissi i livelli essenziali di prestazione per le amministrazioni che erogano pubblico servizio. Allora, verrà controllata la scuola per vedere se sta erogando quei livelli essenziali di prestazioni, e il controllo degli apprendimenti degli alunni verrà utilizzato secondo questa prospettiva.

Perché dico questo? Perché, attenzione, il portfolio – lo sto guardando con l’occhio cattivo, a volte riesco a guardare anche con l’occhio buono però non duro più di pochi secondi – i piani di studio personalizzati proteggono anche gli insegnanti e la scuola dal dover fare qualcosa, a livello di mediazione didattica, perché tutti apprendano. Il piano di studio personalizzato, lo dico in zero secondi, è basato sulla parabola dei talenti, sostanzialmente: c’è chi ha avuto 1, chi 2, chi 5. Allora lui che ha avuto 1, poverino, lo mandiamo alla classe, o alla scuola, differenziale...

E’ l’eterna questione delle "attitudini" e delle "vocazioni". Allora la scuola diventerà – cito una cosa vecchissima– "apparato ideologico di stato". E la scuola media, soprattutto, farà da filtro fondamentale per mandare i ragazzi dalla scuola al liceo o all’istruzione di formazione professionale.

Questa mia convinzione è supportata perfino da un’intervista su Anna…(sì, è importante citarla, è importante perché i genitori non leggono Anthropos o l’Educatore, leggono Anna). Ed io leggo Anna ed è interessante notare come viene presentata la riforma, ma anche le note di dissenso di qualcuno che non era d’accordo neanche con la riforma Berlinguer- De Mauro. Per esempio, in questo servizio su Anna, c’è un’ intervista al prof. Lucio Russo, quello di "Segmenti e bastoncini". Egli dichiara di non essere d’accordo con questa riforma. Lui dice che questa storia di Internet è una stupidaggine, perché siamo di fronte a tecnologie in continua trasformazione, mutanti potremmo dire, per cui questo tipo di apprendimento strumentale, funzionale, non serve. Butterà fuori dal mercato del lavoro, dalla partecipazione alla cultura, e via dicendo.

Attenzione, qui siamo di fronte ad una stagione completamente diversa dal passato, perché sono scelte che riguardano anche il destino economico, di democrazia e di benessere sociale del nostro paese. Non so se è chiaro.

Passo ad altro: le condizioni della riforma. Non la faranno fallire, secondo me, ma porteranno inevitabilmente a quello che viene richiesto. E vi spiego subito. 891 ore + 100, se fate un po’ di conti sono il modello del tempo pieno della scuola elementare, o il tempo prolungato della scuola media, purgato dei tempi mensa. Questo significa che i genitori, comunque, potranno tenere i loro figli a scuola per essere "badati" e voi sapete che questa parola "badanti" è stata usata molto in qualche dichiarazione da qualche sottosegretario.

Quindi ci sarà il tempo pieno e il tempo prolungato. I ragazzini a scuola resteranno - probabilmente anche con interventi dei comuni, delle province, degli enti locali, delle parrocchie, quello che vogliamo, perché poi anche dei privati, perché qui deve circolare tutto – però il modello pedagogico è completamente diverso da quello che ha generato il tempo pieno ed integrato. Ma vi sembra una cosa preoccupante?

Quindi il maestro che insegnava storia, ve lo immaginate, dopo 20 anni che insegna storia, geografia, studi sociali, dover insegnare tutte le materie, tutte le discipline? Io ho amici maestri che da 25 anni insegnano nel tempo pieno e, come dicono, "insegnano lettere nelle scuole elementari, materie antropologiche o scientifiche", come si fa a passare dalle une alle altre? Ritorna l’insegnante tuttologo e pressappochista.

Ma evidentemente questo non è importante per il tipo di conoscenza che viene richiesto, perché appunto si tratta di un’alfabetizzazione che non è più culturale, ma solo strumentale, come è scritto nella legge di riforma.

Allora, vedete, tutte le cose possono essere prese in positivo, anche le indicazioni che provengono da questa nuova legge possono essere usate positivamente. Però – e questo è un suggerimento - secondo me bisogna rivendicare l’autonomia delle scuole. L’autonomia, appunto, è dentro una legge costituzionale, e quindi, a livello di fonti normative, è superiore alla riforma, però va riempita di contenuti: autonomia didattica, organizzativa e di ricerca: dentro questo quadro vanno interpretate le nuove norme.

Vi faccio un esempio: il tutor, l’insegnante tutor degli alunni e coordinatore dei suoi colleghi, fa da solo i portfolio e i piani di studio personalizzati, i quali piani di studio personalizzati, non ci vorrà molto per farli, dal momento che tempo in più per la collegialità non ne verrà riconosciuto in questo contratto. Poi comunque anche qui c’è un rapporto privatistico con gli alunni e con le famiglie, perché gli uni e gli altri si fanno con gli alunni e con le famiglie, sentiti gli altri insegnanti, che non è il modello di collegialità e di lavoro di gruppo che le scuole hanno cercato di realizzare in questi ultimi trent’anni, anche se non sempre con successo.

Pensiamo ai consigli di classe e a tante altre cose: sono d’accordo con chi è intervenuto qui, che poi un certo modo di fare scuola, di "essere scuola", si salda con un comune sentire del "pubblico", come direbbe il nostro Presidente del Consiglio, ma anche con quello di una parte di insegnanti che è molto rassicurata da un sapere autarchico, autoconcluso, che non è fatto di ricerca, che è contenuto dentro i manuali. Non dimentichiamolo, questo è valido per tutti gli insegnanti, di tutti gli ordini e di tutti e tre i gradi.

Il tutor io non lo vedo in negativo. Guardo con l’occhio buono, ma un conto è essere tutor di 25 alunni, che non significa niente di positivo considerato impossibile il carico di lavoro richiesto, un conto è invece avere un gruppo docenti e affidare il tutoraggio di 10 alunni a ciascuno. In questo caso diventerebbe una cosa seria e frutto della progettualità della scuola. La parola progetto non c’è mai in questa legge.

Io nella mia vita ho fatto la direttrice didattica e ho applicato la riforma del ’90. Mell’anno scolastico ‘93-’94 abbiamo utilizzato in una classe, l’insegnante prevalente perché lo richiedeva la progettualità di quella classe: avevamo una bambina autistica, avevamo dei grossi problemi che potevamo risolvere soltanto con una forte capacità progettuale per mettere a punto un modello il più possibile adeguato alla situazione.

Ora, invece, il modello viene imposto, secondo un’idea di razionalità assoluta, di ottimalità prevista dall’alto. Quindi anche il portfolio potrebbe essere una cosa buona. Così com’è, siccome non c’è la continuità curricolare, è un dossier di spionaggio nei confronti degli alunni. Verrà impedito loro di cambiare.

Cosa voglio dire? Che l’effetto alone, l’effetto Pigmalione, si realizza molto bene con noi insegnanti. E allora, se non è controbilanciato da politiche di continuità educativa, è soltanto un modo per confermarlo uleriormente.

A parte, poi, che con questo portfolio che comincia a 2 anni e mezzo e finisce a 18-19 anni, le scuole devono comprare delle valigie per ogni bambino. E’ paradossale questa roba qui!

Si impedirà di cambiare, ma anche di migliorare o di modificare…. Non esistono cose buone o cattive di per sé. L’autonomia non è una cosa buona o cattiva di per sé, dipende dall’uso che se ne fa. Certo, però, che un’automobile messa in mano ad un autista o a un altro non è la stessa cosa; oppure, un taglio di tessuto pregevole messo in mano a un sarto o per esempio a me.

Quindi attenzione, perché comunque il cerchio si chiuderà rispetto alle scuole. Non ci saranno gli spazi di prima..

Fiorin metteva bene in evidenza la discrasia fra il dichiarato e ciò che sostanzialmente saremo costretti a fare. Su questo mi sembra di aver detto alcune cose. Però è anche vero che non ci si può disperare. Bisogna poi dire, a un certo punto, che cosa si può fare. L’unica cosa sulla quale bisogna veramente insistere, non solo per questa legge ma anche per un’altra mina vagante che secondo me per certi aspetti è anche peggiore, è quella di rivendicare l’autonomia della scuola.

Qual è l’altra mina vagante? La legge non dice quale sarà la quota regionale del curricolo. Allora, il Veneto che ha già fatto i libri di testo per la scuola elementare? La Lombardia, che dice che vuole il 50% del curricolo? Attenzione, poi, il disegno di legge La Loggia/Bossi fa passare – e ahimè a questo punto io sono anche d’accordo, visto che lavoro e vivo in Emilia Romagna – tutta la scuola alle regioni. Vi immaginate?

Voglio dire che, rispetto a queste cose, tutto ciò che ci resta da rivendicare è l’autonomia, che nei fatti ci è stata tolta. Non è che io non sia d’accordo con Fiorin, ma di fatto non c’è. Guardate, non c’è neanche quella di spesa, perché obbligano le scuole a comprare tutto, anche le penne biro, tramite la Consip.

Comunque l’autonomia è qualcosa che c’è, soltanto se uno se la prende. Ma a volte le scuole si trovano come quegli adolescenti cresciuti con mamme molto chiocce o molto autoritarie, che poi, nel momento dell’autonomia, non sanno come regolarsi. Io sono all’IRRE, faccio ricerca, e andando in giro ho visto che l’autonomia per gli insegnanti coincide con la dirigenza ai capi d’istituto, con il loro potere decisionale. In base ad una ricerca di cui ho appena concluso la prima parte con Romei, sui capi d’istituto, abbiamo rilevato che se si chiede loro, cosa si aspettano dall’autonomia e dalla dirigenza, rispondono: "Più potere decisionale". Quindi ve la immaginate l’autonomia della scuola? Ci sarà l’autonomia dei dirigenti e ci sarà l’autonomia dell’insegnante come libertà di insegnamento singolo, ricattabile dai genitori, che è altra cosa dalla libertà della scuola, se non vado errata. Quindi è importante rivendicare le condizioni di autonomia della scuola.

Un’altra ricerca che sta facendo il Ministero ma che noi in Emilia Romagna abbiamo già fatto sulla flessibilità del curricolo, mi dice delle altre cose: se non ho disponibilità di risorse, non c’è flessibilità. Se io ho le cattedre di 18 ore, e non posso sostituire l’insegnante quando si assenta per 15 giorni, mi dite come faccio i progetti, come rendo flessibile l’orario?

Un’altra mina vagante (perché per capire che cosa succederà nella scuola bisogna guardare anche fuori dalla scuola, quei provvedimenti che gli insegnanti non conoscono…) ci sono più di settemila insegnanti "ex articolo 113". Voi mi direte: "Cosa ci azzecca con la scuola?". Ci azzecca, perché questi insegnanti "113" sono persone malate, affette da malattie fisiche o psichiche, che andranno a scuola, e già anche in autunno. Sono persone non adatte ad insegnare, come ha stabilito un qualche collegio medico che le ha visitate e che le ha dichiarate inidonee. Torneranno a scuola e con quali effetti, ce lo possiamo immaginare.

Allora voi capite: questo fatto, insieme alle 18 ore, niente soldi per gli insegnanti, tutto ciò scardinerà l’autonomia scolastica. Poi non parliamo del codice deontologico e di tutto ciò che si sta preparando.

Si orna indietro di cinquant’anni, a Gentile, a Bottai, e anche più indietro: sono stati gettati via settant’anni di psicopedagogia. Ma il curricolo, vi sembra una cosa da poco? C’è una letteratura sterminata a livello internazionale sul curricolo. Una mia amica direttrice didattica, bravissima sul piano pedagogico, mi ha detto "Ivana, sono andata alla ricerca dei piani di studio, ma non ho trovato niente...". Perché non c’è niente di ricerca su questo. Ciò significherà che gli insegnanti faranno i piani di studio individualizzati utilizzando le riviste che usciranno con cose come "Tipologia A: un talento; Tipologia B: due talenti;....". Sì, perché è questa poi la scuola di tutti i giorni. Per quanto riguarda il portfolio ci metteremo due disegnini, d’accordo con gli studenti e con i genitori, e questa sarà la riforma.

Chi potrà, sia nel senso di potere di spesa, sia nel senso di capacità critica e conoscenza, andrà in altre scuole, perché la scuola statale resterà la scuola della socializzazione, la scuola di coloro che non si potranno permettere altro. Questo è il modello: l’istruzione non più un bene sociale, un bene per la democrazia di un paese, ma un bene privato che chi ha potere d’acquisto acquisterà.

VINCENZO GUANCI

Grazie dell’appassionato intervento. Direi che la parola spetta sempre prima agli ospiti: Italo Fiorin.

ITALO FIORIN

Grazie anche per gli interventi che ho ascoltato, compreso questo ultimo, che certamente condivido, e che danno un quadro che obbliga sempre a collocare nel contesto tutte le riflesioni. Io cercherò di dire molto brevemente alcuni elementi che secondo me sono ulteriormente descrittivi di questo quadro.

Molte volte quando mi trovo in questi incontri uso come metafora il passaggio dal Ministro De Mauro al Ministro Moratti. Entrambi "tecnici", ma, al di là delle persone, delle loro capacità, uno preso come tecnico dalla scuola (che è come dire:il sapere sulla scuola ce lo dà la scuola), l’altra anche è tecnico, ma qui cambia la tipologia del tecnico. Non è come Sirchia e Veronesi: può piacere più l’uno o più l’altro, ma sempre di medici si tratta. Qui al posto del professore entra il manager.

Questo secondo me segnala uno spostamento di paradigma: è finito il paradigma pedagogico (in un editoriale di qualche mese fa Panebianco diceva che la pedagogia è aria fritta) e c’è un nuovo paradigma, che è ilparadigma economicistico. Questo provoca degli spostamenti di "logica". Per esempio, dal primato del percorso al primato della destinazione. dal primato della diversità al primato della standardizzazione, dal primato dell’accompagnamento al primato della certificazione, tanto per leggere in maniera molto sintetica degli spostamenti. Il curricolo non è semplicemente un richiamo verbale, ma anche il curricolo è dentro la logica della scuola che passa dalla "comunità" all’"azienda" (anche se di vecchio stampo: concordo su di un miscuglio di familismo e di aziendalismo....).

Quindi, il curricolo. Ma il curricolo è uno strumento di negoziazione sociale, mentre il piano di studio è da un lato un cascame del programma centrale: nei programmi del 1955 della scuola elementare, ad un certo punto, dopo aver presentato, in maniera anche interessante nel contesto del tempo, alcune cose, si dice poi: "Spetta all’insegnante compilare il suo personale piano di lavoro…". Quindi troviamo anche le parole: "compilare", quindi compilativo; il "suo personale", quindi individuale, "piano di lavoro", quindi che esegue delle indicazioni. Quindi c’è uno spostamento lessicale. Mentre il curricolo è possibile soltanto se è frutto di un confronto, di una condivisione, anche difficile, di carattere comune. Io sono d’accordo con quanto diceva il Prof. Mattozzi: il curricolo dà la "mission", i valori guida, i punti di riferimento, che non sono individuali, nei quali ci si riconosce.

Per mio conto da tempo dico che il Piano dell’Offerta Formativa è il curricolo, perché al suo interno abita quella parte didattica del curricolo che è appunto quello che più comunemente noi chiamiamo "curricolo". Però è "curricolo" nel senso proprio che abbiamo imparato dagli inglesi, cioè non soltanto il didattico ma, come diceva Stenhouse, "l’educazionale". Cioè c’è un contesto.

Allora questo colloca diversamente tutte le azioni; ma noi abbandoniamo il curricolo, benché la legge dica che tutte le indicazioni nascono dal curricolo.

Terzo punto: il portfolio. Dove nasce il portfolio? Nasce negli Stati Uniti d’america, all’interno di un movimento molto interessante, che comincia addirittura con Postman, ed arriva oggi, con altri autori, ad una riflessione complessiva, che comprende anche la valutazione e non solo, e nasce come reazione alla logica dei test. Il portfolio è nella sua natura un altro modo di vedere la valutazione (la chiamano la cosiddetta "valutazione autentica") ed è una reazione alla logica dei test, che fanno sì che nella scuola i curricoli dichiarati non servono più, perché i curricoli veri sono i manuali dei test: la scuola degli Stati Uniti è questa. Da qui nascono i punteggi, dai quali dipende l’iscrizione a questo o a quell’istituto superiore, a questa o a quella Università. C’è una letteratura americana molto ricca che dice queste cose qui. Allora è problema è: come convive il portfolio con la logica dell’INVALSI? Questa è una contraddizione molto forte.

Il portfolio suscita amore e odio: dipende se io lo colloco dentro la "valutazione autentica" come uno degli strumenti, non l’unico, sicuramente può essere uno strumento interessante. Anche qui ci sarebbe da dire che piove sulla testa di quasi tutti gli insegnanti, che adesso scoprono questa parola, quindi anche questo è discutibile; però è interessante, se collocato in questa maniera.

Ma dentro questo quadro cambia natura: ancora una volta abbiamo le parole che dicono delle cose buone, e dei fatti che le contraddicono.

Io penso, e qui termino il mio intervento, che uno dei problemi che noi abbiamo è che anch’io condivido il fatto che l’autonomia è sovraordinata, che c’è, che bisogna tenersela e utilizzarla, ma non è facile, però, perché tutto questo sistema di ricattabilità esiste. Per mia fortuna faccio un altro mestiere ora, ma ho fatto l’ispettore (non ho cambiato certo per il Ministro Moratti, perché ho cambiato prima…) e incontro amici, tra l’altro ispettori di grande qualità, molti li conoscete, che sono molto peggio che sottoutilizzati. Uno mi dice: "Io sono ridotto a fare la funzione obiettivo, nel senso che mi danno da interessarmi dell’educazione stradale…"; non dico il nome, ma è una persona di grande spessore…

Questo è lo "spoil system". Ma i dirigenti scolastici hanno paura, non hanno coraggio, mentre c’è bisogno di coraggio in questa faccenda qui. Pochi parlano bene, e non solo in contesti più o meno amicali, ma anche in contesti pubblici oppure in contesti scolastici: questo è un altro problema molto forte. E allora io penso a quello che diceva il Prof. Mattozzi: parlare alle scuole. Poi c’è tutta la fenomenologia dell’innovazione, della conservazione: è vero che l’innovazione provoca resistenza, ma non essendo questa un’innovazione, è uno stravolgimento, ma è percepito come rassicurazione, e quindi la resistenza di chi forse la faceva su cose più serie,non c’è, e c’è lo sconcerto di chi forse faceva altre cose, e adesso non sa da che parte cominciare.

MAURIZIO GUSSO: due citazioni brevissime:una è di Giacomo Noventa che dice: "A uno a uno, ogni nostra tragedia è una farsa", quindi, siccome esiste il "divide et impera" il primo problema è una strategia delle alleanze, una convergenza tra diversi soggetti a favore della innovazione, a favore della democrazia e cose di questo genere.

Io credo che già avere intorno a un tavolo in questo momento, esponenti di associazioni generaliste degli insegnanti, come è il CIDI, e come possono essere anche l’MCE, la FNISM, l’UCIM, ecc..., avere esponenti di associazioni di didattica disciplinare come Clio ’92, avere esponenti dell’Università, avere esponenti di istituti che si occupano di ricerca didattica e documentazione, divulgazione e formazione degli insegnanti come gli istituti storici della Resistenza, sia un piccolo microcosmo che andrebbe moltiplicato.

Tante volte succede che ognuno ha un proprio campo di azione: faccio un esempio pratico, io da tempo, facendo parte del coordinamento del Forum delle associazioni, propongo una consulta non solo delle associazioni di didattica disciplinare, ma di tutte le altre forze, per esempio le associazioni generali nazionali degli insegnanti, e quelle dei genitori per esempio. Perché se il progetto è quello di morattizzazione della scuola, allora noi, più che gli anticorpi, dovremmo essere i "ghost busters", i "de-morattizzatori" della scuola.

La seconda citazione è quella di un vecchio proverbio pugliese, ripreso da Gaetano Salvemini più volte: "Chi si fa pecora, il lupo se lo mangia". Voglio dire con questo, che credo che, pur lavorando all’interno della rete degli istituti storici della Resistenza, io credo che bisogna andare oltre il "resistere, resistere, resistere", bisogna andare oltre la logica delle nicchie di sopravvivenza, finché le condizioni storiche ce lo consentono. Quella è proprio l’ultimissima spiaggia.

E quindi, non volendo usare termini bellicistici come "controffensiva", che pure mi verrebbero in animo d’impulso, parlerei di gestione dei conflitti, conflitti che sono politici. Allora, a seconda delle caratteristiche della loro storia, io credo che le associazioni, che hanno dei campi molto tecnici, possano comunque o fare politica scolastica come associazioni, oppure perché sono composte da persone, e le persone possono fare politica, perché di questo c’è bisogno in questo momento.

Detto in altri termini, per esempio, una piccola contraddizione:in questo momento ci sono credo 19 associazioni di didattica disciplinare che hanno convenzioni con il Ministero. Sta succedendo una cosa, che a mio avviso è molto preoccupante: normalmente (io ho esperienza di aver fatto parte di un comitato paritetico di gestione di una convenzione INSMLI-LANDIS con il Ministero) nel triennio precedente i comitati paritetici sono stati nominati subito; in questo momento non sappiamo ancora, a distanza di ormai 7-8 mesi dalle convenzioni, chi sono i membri nominati dall’amministrazione per i comitati paritetici. Questo è importante, perché ogni associazione dice: "... ci sono dei problemi, l’ala più innovatrice del ministero è un’ala fortemente minoritaria, ha le sue difficoltà, alcune direzioni sono più favorevoli, ma il contesto generale non c’è...."

Però qui il problema è che queste convenzioni non partono, il problema è che alle associazioni di didattica disciplinare si chede di fare i lavori sporchi; penso che quando c’è il tappabuchi, come è stata l’operazione, che per carità aveva la sua dignità, il suo rigore culturale, di immettere in ruolo i 60.000, allora bisognava fare la formazione, in parte a distanza, e allora alcune associazioni hanno "tappato il buco", cercando di fare una cosa il più intelligente possibile, ecc...

Il paradosso è che il Ministero ha delle convenzioni con delle associazioni di didattica disciplinare, e le chiama solo per le basse opere, mentre con i ministeri precedenti ci chiamavano a dire la nostra sui curricoli. Questa è una cosa delicata: è vero che le associazioni che hanno una convenzione rischiano di sentirsi dire: "voi sputate nel piatto in cui mangiate...", ma in primo luogo sono stati tolti tutti i finanziamenti, quindi non esiste più un piatto in cui mangiare, in secondo luogo non convocano nemmeno i comitati paritetici. Non è semplicmente uno stillicidio, è un sistema. Io sono pienamente d’accordo con tutti gli interventi di prima, ed in particolare con la sottolineatura fatta da Ivana Summa, sul fatto di dire "non illudiamoci". Io lo so che ci sono tanti colleghi che dicono: "Tanto in Italia le leggi non si applicano mai...". Non è così! Comunque l’editoria ne risente in un certo modo, e sappiamo che molti insegnanti seguono i manuali, non seguono i programmi.

Poi siamo degli storici: ha senso che diciamo semplicemente che si tratta di 160 pagine di "polvere negli occhi", che si tratta di un "contentino pedagogico", per cui non vale la pena di leggere questi documenti? Bisogna dire che la gente li legga!

Io vedo che nelle riunioni, nei corsi di aggiornamento (io sono stato i realtà molto periferiche, molto complesse nelle quali c’era chi mi diceva "guarda che vai nella fossa dei leoni, guarda che ti fischieranno quando dirai certe cose...") io semplicemente ho documentato, ho fatto controinformazione, ed ho avuto solo applausi, cioè le persone che avrebbero dovuto fischiare non avevano più appoggio a cui appigliarsi. Dall’altra parte non c’è un’altra concezione della democrazia, un’altra concezione della ricerca, c’è un analfabetismo della democrazia ed un analfabetismo delle competenze tecniche. Una persona che si permette di liquidare vagonate di bibliografia sul curricolo con delle battute, come fa Bertagna, è la stessa cosa di quei manuali sedicenti di didattica della storia nelle SSIS, nei quali non c’è una riga, una citazione bibliografica, dove c’è una stroncatura dei programmi dell’istruzione professionale, e non c’è uno straccio di bibliografia di didattica della storia. Questo è il "fronte opposto": allora io credo che la prima cosa da fare sia un’alleanza fra più forze. Secondo me l’alleanza su cose specifiche come storia include anche i girotondi, solo che vanno in qualche modo precisati gli obiettivi; quando a Milano si è trattato di fare un girotondo sulla scuola hanno sbagliato l’obiettivo, perché chiamare gli insegnanti a fare un girotondo attorno ad un’innoqua, inoffensiva, interessante ma non caratterizzata scuola (l’Istituto Cattaneo) solamente perché era centrale, non voleva dire assolutamente nulla. Facciamo una campagna del tipo "adotta un monumento": in questo caso il monumento da adottare è un istituto professionale di stato. Facciamo la campagna "adotta un istituto professionale di stato; adotta un’IRRE che in quel momento viene sottoposto ad uno spoil system, avremmo dovuto adottare Guasti, avremmo dovuto adottare tutte le spoliazioni che sono state fatte, adottare Paola Carucci, la più famosa dirigente in Europa degli archivi, che è stata sostituita da un amministrativo, e l’archivio di stato funziona con un amministrativo. E’ inconcepibile ilsilenzio assordante che c’è: quando si trattava di fare le pulci a De Mauro, gliele hanno fatte in tutte le maniere, quando si è trattato di fare le pulci agli esperti di didattica della storia universitaria, sono stati oggetto di un massacro. Allora bisogna rinfacciare anche alle persone che sono scese in piazza contro De Mauro, e che avevano buoni motivi per farlo, che non scendono in piazza contro la Moratti.

Ci sono cose ancora più preoccupanti, tipo l’orario, che gli insegnanti non sanno, e pensano che avranno l’orario di prima, mentre l’orario è dimezzato in partenza. Allora, c‘è la controinformazione, bisogna individuare un modo per rinserrare le fila tra tutti i soggetti che a diverso titolo, dai rappresentanti delle forze sociali, a quelle professionali, a quelle politiche, a quelle delle categorie, i genitori per esempio, possono proporre qualcosa di diverso , non solo opposizione, perché hanno sperimentato qualcosa di diverso; abbiamo fatto delle cose, lo avremo fatto in una minoranza, ma erano minoranze intelligenti, erano minoranze attive e, come diceva Ivo, per la prima volta avevamo lo Stato che ci dava ragione, perché questo è il punto. Adesso abbiamo tutto che ci dà contro. E’ molto peggio degli anni ’60: siamo come minimo agli anni ’50, per non dire peggio.

Di fronte a questa logica familistico-aziendale, di fronte a una persona che è venuta per fare esattamente lo stesso lavoro che ha fatto alla Rai, il commissario di liquidazione della scuola pubblica, bisogna un po’ compattare le cose. Dopodiché si può lavorare sulle contraddizioni, sulle pieghe, ma non è sufficiente. Bisogna che accanto alle cose che io condivido, che diceva Ivo prima, di alcuni elementi che potrebbero essere in qualche modo curvati, ripresi acoraggio per le nostre cose, riprendiamo a fare anche politica, politica nel senso che ogni associazione può fare, e se le associazioni non se la sentono di farlo direttamente, l’appello è perché le persone che ne fanno parte lo facciano.

VINCENZO GUANCI: Grazie Maurizio.Passo la parola a Ivo Mattozzi per l’intervento conclusivo.

IVO MATTOZZI: Grazie. Mi tocca l’intervento conclusivo, ma non vuol essere conclusivo. Vuol essere invece di nuovo un invito a prendere nota di tutti gli argomenti che sono stati qui esposti per metterli alla base di un documento elaborato in maniera più tranquilla e più articolato, più argomentato, che noi potremmo comporre insieme dividendoci il lavoro, concordandolo, per poi emettere con la firma delle nostre associazioni.

Io dico che a questo punto però c’è una questione di metodo, cioè noi dobbiamo sicuramente fare un’analisi che vada oltre ciò che il documento ministeriale dice, per cercare di capire, giustamente, come le cose che vengono dette ambiguamente, le parole che si scontrano con le cose, possono produrre effetti negativi.

Però dobbiamo anche attenerci ai documenti, cioè dobbiamo fare in modo che i documenti siano conosciuti per quello che dicono, per quello che tacciono, per quello che dicono ambiguamente, ecc. ecc., quindi non dobbiamo assumere delle indicazioni, o meglio delle nostre visioni del documento da mettere alla base di questo documento che rivolgiamo agli insegnanti. Non possiamo dire che il documento parla del portfolio in un certo modo. Qui c’è tutta una serie di indicazioni sul portfolio, se noi vogliamo criticarlo dobbiamo farlo sulla base di quello che qui dentro è detto - non mi fermo assolutamente a leggerlo – per poi mettere in crisi quello che viene detto.

La stessa cosa vale per quanto riguarda la valutazione. A proposito della valutazione, il servizio nazionale di valutazione procede alla valutazione esterna riferita sia agli elementi strutturali di sistema sia a livelli di padronanza mostrati dagli allievi, ecc. ecc.

La valutazione esterna non ha lo scopo di esprimere giudizi valutativi sui singoli. Quindi non è che l’INVALSI poi decide del voto della valutazione del singolo studente. La valutazione interna invece si articola in autovalutazione di istituto, ecc. ecc. La stessa cosa per quanto riguarda, Donato, la questione del programma. Non si arriva al mille. Con la nuova formulazione si arriva alla caduta dell’impero romano. Questo è uno dei termini della storia generale.

Semplicemente faccio questi esempi per dire che conviene, ogni volta, assumere come base delle nostre critiche, delle riserve, delle rivendicazioni, i documenti per fare controinformazione, come diceva Maurizio.

Il ministro, ogni volta che lo sento, e anche Bertagna, ogni volta che lo leggo, davvero, trasecolo, perché sembra che abbiano inventato loro la scuola, perché prima o non c’era o era fatta dai comunisti, perché questa è l’idea, questa è ciò che è la scuola buona da inventare, perché la scuola di prima... boh, non so cosa... ecc.ecc.

Quindi una controinformazione va fatta, con documenti ma anche in tutti i corsi di aggiornamento che possiamo fare. Da questo punto di vista io credo che, allora, dobbiamo mettere in evidenza quello che il documento dice, come noi lo possiamo leggere e che cosa può succedere in rapporto con le condizioni strutturali e sistemiche e con le possibili proiezioni sulle capacità dei dirigenti e degli insegnanti di reagire o non reagire.

Allora, da questo punto di vista, per esempio questo è un rischio grande. Adesso io ho fatto vedere che cosa farebbe l’INVALSI secondo questa indicazione, però è vero, quello che Ivana Summa diceva è proprio vero, perché abbiamo esempi in Europa. La valutazione nazionale inglese ha comportato distorsioni terribili, perché alla fine gli insegnanti, per essere in pari, adottavano un sistema di insegnamento che consentisse agli studenti semplicemente di rispondere bene ai test, al sistema di valutazione.

Abbiamo questi esempi, quindi possiamo portare esempi e mettere in guardia contro queste cose. Adesso non entro nel merito di altri elementi, sia perché è tardi, sia perché credo che abbiamo raccolto già molte indicazioni da questa parte del tavolo e da quell’altra parte per poter costruire un documento comune che sia davvero capace di orientare i segnali, e che noi cercheremo di diffondere nel modo più ampio possibile, attraverso i nostri strumenti di comunicazione, e attraverso il nostro girovagare di corso in corso.