Certamente il dinamismo del
ricordare e del narrare, la tessitura del ricordo e dell'oblio, sono il codice
fondamentale di queste fonti, orali e scritte, ma , specie nelle seconde, va considerato
il peso dell'ex post, della memoria ufficiale e pubblica e dei suoi stereotipi,
di quella particolare forma dell'uso pubblico della memoria che mi è capitato di definire
il senso comune reducistico, che si alimenta attraverso una ricchissima
produzione memorialistica, in cui predominano le pubblicazioni "grigie", a
circolazione locale, limitata e chiusa, contigua ai riti e alla cerimonie patriottiche, e
che spesso è diventata l'unica, impropria via di incontro con i testimoni diretti o con
la memoria di guerra proposta alle scuole.Eppure anche in questo vasto pelago e
soprattutto mediante le fonti orali, si possono trovare elementi di contraddizione
rispetto alla memoria codificata, e preziose vie di accesso a itinerari didattici
verso il presente. Perchè la guerra di aggressione alla Russia e la spaventosa ritirata
sono raccontabili, perchè sono diventate un'epopea eroica, mentre sull'occupazione
italiana in Jugoslavia, sulle operazioni antiguerriglia, sulla repressione che colpisce la
popolazione civile, si preferisce tacere o si rompe il silenzio con sofferenza e disagio?
Ascoltiamo, dopo quarant'anni, il racconto dei reduci: "Facevamo azioni di
rastrellamento, ma poche..."; "Erano posti di passaggio, non di concentramento
dei partigiani..."; "Gli jugoslavi erano simpatizzanti per noi come italiani...i
tedeschi non li potevano vedere perchè i tedeschi erano crudeli, noi non eravamo
crudeli...", "Le cose che facevano qui certi partigiani, è vero, provocavano
reazioni....dovevamo reagire! Erano un po' gli italiani e un po' i tedeschi..."(29) .
Emergono in tal modo alcuni dei nodi del rapporto storia - memoria ai quali abbiamo
accennato e su cui queste fonti ci consentono di lavorare, tracciando itinerari che
riconducono al presente: le strategie di alleggerimento delle responsabilità concrete
attraverso l'affabulazione e la sacralizzazione patriottica della guerra di Russia; il
mito del buon italiano che giustifica il mancato esame di coscienza a proposito della
guerra fascista e dei suoi crimini, la responsabilità della memoria e la responsabilità
morale individuale, il problema della scelta. Una scelta, in condizioni diversissime, che
si pone ai partigiani in Italia, alla massa enorme dei militari prigionieri in mano
tedesca e, con differenti connotazioni, a quelli in mano alleata, e che attraversa tutte
le fonti di memoria.
E' possibile interrogare le fonti della memoria autobiografica dei soggetti e
organizzare percorsi didattici, anche sulla scorta di esperienze già positivamente
condotte, attorno al nucleo della scelta. Occorre però compiere alcune
operazioni: sottrarre questa tematica all'impropria dilatazione della pur importante
componente politica consapevole e soprattutto alla considerazione moralistica e retorica
della ritualità ufficiale, restituendo il problema della responsabilità morale
individuale alla sua incandescenza sfrangiata e drammatica : la scelta
"chiara e difficile", coma l'ha definita Claudio Pavone, fa i conti con la
sostanza oscura della guerra, con il nodo della violenza.
Si aprono scenari molto ricchi, che è impossibile qui sintetizzare in modo adeguato.
Accontentiamoci di qualche fuggevole richiamo, per quanto riguarda la Resistenza, agli
intrecci del racconto autobiografico con le dimensioni dell'autorappresentazione, con la
memoria pubblica formalizzata, con i miti e simboli dell'immaginario partigiano
che ha le sue specificità (basti un cenno ai nomi di battaglia, che sono talora uno
straordinario concentrato di autorappresentazione e, insieme, sintetizzano la proiezione
di aspirazioni avventurose, eroiche, trasgressive, l'aspirazione verso un ruolo
eccezionale, che riscatta dall'anonimato, dalla lunga catena di umiliazioni, di soprusi,
di torti subiti ). Pensiamo alla memoria del tempo di guerra, con la dominante della
presenza femminile e dei suoi ruoli nella Resistenza civile ( non resta che
rinviare al ricco filone della storia di genere e dei suoi ormai consistenti sviluppi
didattici (30) ); al filone delle scritture
dei giovanissimi che crescono negli anni di guerra, un settore che si presta
particolarmente a coinvolgere gli studenti, in quanto li può aiutare a partire dal loro
presente per rivolgere domande al passato (31)
e per percepire qualche scheggia di realtà delle guerre attuali, al di là della loro
rappresentazione attraverso i mezzi di comunicazione di massa.
A questo proposito il discorso si dovrebbe allargare e approfondire verso il presente e
verso altri tipi di fonte, le immagini e soprattutto, appunto, i mezzi di comunicazione di
massa (32); non è evidentemente possibile,
neppure per sommi capi. Vorrei solo indicare le linee generali di un problema che si va
affacciando alla considerazione degli storici e degli studiosi più sensibili e che gli
insegnanti, per altro, si trovano di fronte probabilmente tutti i giorni. E' ancora
l'intreccio tra storia e memoria, nella sua connotazione inquietante e stringente di legame
tra "volontà di giustizia e giudizio storico, tra ricostruzione della
verità e punizione dei responsabili delle efferatezze" dei conflitti attuali -
riprendo qui una recente riflessione di Marcello Flores (33)- "conflitti che hanno visto riproporsi i fantasmi peggiori di
questo secolo: bastino per tutti i nomi del Rwanda o della Bosnia". Memoria e
narrazione non possono eludere, anzi convergono verso la "questione della
verità", scontrandosi con tanti altri problemi e ostacoli, primo fra tutti l'uso
politico della storia e della memoria, le straordinarie capacità di interferenza e di
persuasione dei mezzi di comunicazione di massa. Il dovere della testimonianza è
l'obiettivo esplicito o facilmente intuibile di molta produzione memorialistica della
guerra, della Resistenza , della deportazione; in questi casi - al di là di ogni giudizio
di merito sui singoli testi - conservare la memoria significa compiere un atto di
giustizia nei confronti delle vittime degli orrori e delle ingiustizie del secolo. L'esame
delle testimonianze della Shoah, una massa enorme e in ulteriore
espansione, induce Annette Wieviorka a riflettere sulla funzione sociale e sull'evoluzione
del testimone, a riaprire il capitolo storia - memoria, proprio a partire dalla produzione
delle fonti di testimonianza: "la memoria della Shoah è diventata, bene o male, il
modello della costruzione della memoria, il paradigma a cui quasi ovunque si fa
riferimento per analizzare il passato o per tentare di installare nel cuore stesso di un
evento storico che si svolge sotto i nostri occhi, come di recente il caso della Bosnia, e
che non è ancora divenuto storia, le basi del futuro racconto storico"(34) .
Una ragione in più per potenziare un uso consapevole delle fonti di memoria nella
didattica della storia: le testimonianze conservano le tracce delle sofferenze e degli
orrori della guerra, ma anche gli elementi dell'opposizione, i conflitti delle memorie
diverse e divise, dei vincitori e dei vinti, delle vittime e dei colpevoli, non
trasmettono di per sè la storia degli eventi che hanno prodotto quelle circostanze nè le
spiegazioni compiute, non generano automaticamente, taumaturgicamente, ripudio della
violenza e del conflitto, ma ci aiutano a capire - lo dico con le parole di Giovanni
Miccoli che "ogni processo del presente, per quanto ineluttabile possa apparire, ha
alle sue origini atti, scelte, operazioni di uomini e donne, lotte, vittorie, sconfitte,
sopraffazioni e atti di libertà che ci hanno condotto fin qui"(35).
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Note
29. A. Bendotti, G. Bertacchi, M. Pelliccioli, E. Valtulina, "
Ho fatto la Grecia, l'Albania, la Jugoslavia.". Il disagio della memoria, in L'Italia
in guerra 1940-43, a cura di B. Micheletti e P.P. Poggio, "Annali della
Fondazione Luigi Micheletti", n. 5, Brescia, 1992, pp. 289-308. torna su
30. Di particolare interesse per il nostro contesto il volume di
A. Bravo e A. M. Bruzzone, In guerra senza armi. Storie di donne. 1940 - 1945,
Roma-Bari, Laterza, 1995. Per le proposte didattiche imperniate sulla storia delle donne,
si veda C. Colombelli e L. Derossi (a cura di) Genere/storia/scuola. Sei percorsi
didattici, Torino, IRRSAE Piemonte e Istituto piemontese per la storia della
Resistenza e della società contemporanea, 1999. torna
su
31. Su questo tema si veda M.T. Sega, Raccontare la vita.
Biografia e didattica della storia, "Storia e problemi contemporanei",
n.17, 1996, pp. 103-114. Per quanto riguarda la pubblicazione di testi autobiografici di
adolescenti e la produzione di video destinati alla scuola, si rimanda alle segnalazioni
contenute nel dossier, in particolare per l'Istituto di Torino ( Leletta D'Isola, Il
diario di Leletta. Lettera a Barbato e cronache partigiane dal 1943 al 1945, Milano,
Angeli, 1994 ) e per l'Istituto di Trento, che ha curato con specifica attenzione questo
filone ( P. Pedron, N. Pontalti, G. Torri, Il fucile di latta. Storie e sguardi di
ragazzi sulle guerre di ieri e di oggi, Trento, Museo storico in Trento, 1996;
Grazie Adolf! La rappresentazione cinematografica del bambino e dell'adolescente in guerra,
videosaggio curato dal Laboratorio didattico del Museo, 1993; Ragazzi in guerra.
Storie di guerra e Resistenza. Trentino 1943-1945, a cura del Laboratorio
didattico del Museo, in collaborazione con l'Istituto Parri di Bologna, audiovisivo). torna su
32. Per un orientamento generale: G. De Luna, L'occhio e
l'orecchio dello storico. Le fonti audiovisive nella ricerca e nella didattica della
storia, cit.; P. Ortoleva e C. Ottaviano, Guerra e mass media: strumenti e modi
della comunicazione in contesto bellico, Napoli, Liguori, 1994. torna su
33. M. Flores, Introduzione. Verità e giustizia nel Sudafrica
democratico, in M. Flores (a cura di), Verità senza vendetta. L'esperienza della
Commissione sudafricana per la riconciliazione, Roma, manifestolibri, 1999, pp.39
-40. torna su
34. A. Wieviorka, L'era del testimone, cit., p. 16. torna su
35. G. Miccoli, Genocidio: una parola nuova del nostro secolo,
"Qualestoria", n. 2, dicembre 1997, p.101 torna
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