Tutti i film del dopoguerra
raccontarono la Resistenza portando sullo schermo i medesimi
protagonisti, la medesima società e le medesime circostanze. La
differenza stava nel modo in cui gli elementi erano messi in scena,
ossia nel diverso modello storiografico proposto. Dalle opere
realizzate negli anni dal 1945 al 1949 emergono sostanzialmente due
concezioni storiografiche: la Resistenza come lotta popolare
interclassista, vista come "l'impeto unanime di una nazione
compatta non solo nel rifiuto dell'oppressione ma anche nell'azione
militare" e la Resistenza come una fase significativa dello
scontro di classe.
Sono le due interpretazioni fornite dalle pellicole più
rappresentative: Roma città
aperta di Roberto Rossellini e Il
sole sorge ancora di Aldo Vergano (1946).
La
visione unitaria della lotta antinazista è esemplificata in, Roma
città aperta, dall'impegno comune di comunisti e cattolici e
dalla figura del prete - don Pietro - che fa da collegamento fra i
vari elementi. Nel film di Rossellini quasi tutti gli italiani sono
combattenti della Resistenza. Il ruolo principale è sì quello dei
poveri (la sora Pina, Francesco, i ragazzini del rione Predestino) ma
compaiono impegnati nella lotta anche commercianti, artigiani agiati
(come quelli a cui don Pietro fa visita), borghesi (come il
proprietario di un ristorante che aiuta Manfredi), operai. Ne Il
sole sorge ancora, i contadini e i fornaciai combattono per
difendere il proprio lavoro e il proprio avvenire e si scontrano con
l'indifferenza del proprietario terriero e dei suoi amici,
indifferenza che solo nel finale si tramuta in appoggio alla
Resistenza. Per buona parte del film, dunque, i nemici principali sono
i padroni, visti come profittatori del fascismo e come servi dei
tedeschi. Portavoce della classe proletaria - contadina e operaia
insieme - che partecipa alla Resistenza contro i borghesi che invece
collaborano con i nazisti, è Laura, "sulle cui labbra - nota
Federico Cereja - sono messi i discorsi più importanti delle ragioni
di lotta".
L'immagine
di popolo che le due pellicole riflettono è molto diversa. In Roma
città aperta, il popolo appare come una massa indifferenziata,
portatrice di valori generici, quali la solidarietà e l'umanità; ne Il
sole sorge ancora è, invece, più articolato e composto da gruppi
ben definiti, tutti sostenitori di precise rivendicazioni sociali e
politiche: gli operai, i contadini - che si distinguono a loro volta
in affittuari e salariati - i piccoli borghesi sfollati. Anche le
conclusioni a cui giungono i film sono totalmente contrastanti: in un
caso, l'oppressione continua e l'estremo sacrificio di don Pietro
sembra essere inutile; nell'altro, l'oppressione finisce e i
partigiani hanno la meglio sui tedeschi.
Le
categorie messe in scena dal cinema resistenziale del dopoguerra sono
dunque quella della lotta di Liberazione, che coinvolge un intero
popolo - "quando vediamo Roma
città aperta, pensiamo che tutti gli italiani che non erano
fascisti appoggiavano i partigiani", ha notato Pierre Sorlin - e
quella della lotta di classe.
È praticamente assente l'immagine della Resistenza come guerra civile
- scontro di italiani contro italiani -, come testimonia il diverso
ruolo assegnato nei vari film ai nazisti e ai fascisti.
Nella maggior parte dei casi l'avversario principale dei partigiani è
il nazista, lo straniero che occupa il suolo nazionale e da cui
bisogna liberarsi. Egli è raffigurato come incarnazione del male,
nemico del genere umano; verso di lui non si può provare né
comprensione né pietà, tanto atroci e disumane sono le sue azioni.
L'identificazione del nazista con la malvagità assoluta è ben
evidente, ad esempio, - come ha notato Vittorio Spinazzola - nel
finale di Vivere in pace (1947), di Luigi Zampa, in cui i motociclisti tedeschi uccidono
zio Tigna e spariscono velocemente così come sono apparsi, elevandosi
a "simbolo del male che non ha né un nome né un volto".
Ma il film in cui la rappresentazione della ferocia nazista appare più
esplicita è ancora Roma città
aperta. I lineamenti rigidi e la statica smorfia dei personaggi
tedeschi esprimono tutta la crudeltà di cui il nazismo era capace e
si contrappongono all'umanità dei tratti e dei gesti di chi lo
combatteva.
Le immagini degli ufficiali tedeschi che bevono, ascoltano musica e
giocano a carte tranquillamente mentre nella stanza accanto il capo
del C.L.N Manfredi viene torturato a morte, forse illustrano
lorrore del nazismo in maniera molto più efficace di tante scene
di fucilazione. Ad accentuare l'estraneità e l'arroganza degli
invasori c'è poi l'espediente linguistico - individuato da Federico
Cereja - utilizzato in tutti i film: far parlare i tedeschi, tra di
loro e con la popolazione, in tedesco, così che il tono aspro e il
significato oscuro delle parole li rende ancora più temibili agli
occhi degli italiani.
I
fascisti sono invece quasi del tutto assenti nei film considerati.
Quando compaiono, non vengono mai demonizzati o assimilati ai nazisti
e si distinguono per la loro mancanza di coscienza politica. In Roma città aperta, sono subalterni ai tedeschi, non hanno
responsabilità dirette nelle rappresaglie, nelle torture e nei
rastrellamenti, mentre il prefetto della città è totalmente servile
nei confronti degli occupanti. Pierre Sorlin ha individuato in
particolare due episodi del film in cui i fascisti denotano il loro
scarso spessore politico: quando incontrano Francesco che torna a casa
e appaiono come dei "poveri cretini"; quando circondano, per
conto dei tedeschi, l'edificio in cui Pina e Francesco vivono e
cercano prima di tutto di scorgere le gambe delle donne.
È assai significativo, poi, che nella scena finale non sia il plotone
fascista a infliggere il colpo mortale a don Pietro, ma l'ufficiale
tedesco. Nelle due pellicole di Luigi Zampa Vivere
in pace e Anni difficili (1948),
il fascista è descritto in maniera parodistica, trasformato in alcuni
casi in una vera e propria macchietta, perdendo così definitivamente
ogni connotazione negativa: valga per tutte la scena di Vivere
in pace in cui il segretario fascista in stivaloni e pigiama tenta
un improbabile discorso notturno dal balcone. I pochi fascisti
rappresentati nei film non assumono in nessun caso l'aspetto dei
nemici spietati e non suscitano odio, a riprova che l'ipotesi
storiografica della guerra civile era ancora lontana dall'essere presa
in considerazione, e non soltanto dal cinema.
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