Che quella degli storici, e in particolare
degli storici dell'età contemporanea, sia una comunità
scientifica sull'orlo di una crisi di nervi è un dato evidente, se si
considerano le condizioni oggettive in cui essi svolgono il loro
lavoro e la dimensione soggettiva che il disagio assume: cambiamenti
in corso nelle strutture dellUniversità, un sempre più invasivo
uso pubblico della storia, sfide epistemologiche che investono
lo statuto stesso della disciplina, crisi dellinsegnamento di
storia nella scuola. Nella discussione svoltasi nel corso dell'ultimo
anno sulla riforma del curricolo di storia, poi seppellita tra la
soddisfazione e il sollievo di alcuni dai risultati delle elezioni
politiche del maggio 2001 nonché dal progetto di controriforma della
scuola in atto, sono emersi stili di confronto e di iniziativa non
sempre riconducibili al terreno del dibattito tra tesi diverse o
contrapposte; in molti casi è stato possibile percepire precisi
segnali di inquietudine di fronte a temute "novità" che
avrebbero potuto influire negativamente sul destino e il ruolo della
disciplina.
Il libro di Giovanni De Luna (Giovanni De Luna, La passione e la
ragione. Fonti e metodi dello storico contemporaneo, Firenze, la
Nuova Italia, 2001, pp.292, £ 39.000) si confronta con questo ordine
di problemi, delinea un percorso di analisi dei fondamenti del
"fare storia" della contemporaneità, indica prospettive di
metodo e linee di ricerca innovative. La struttura del libro ha un
classico impianto "manualistico" e tratta in modo
approfondito le questioni riguardanti lo
studio della storia contemporanea: che cosa si studia,
e cioè il Novecento; chi studia, e cioè chi sono, e chi
dovrebbero essere, gli storici come soggetti della conoscenza storica;
come si studia, e quindi le specifiche caratteristiche
delle fonti della contemporaneità; come si racconta, e cioè
il tema delle forme della comunicazione avente per oggetto la storia
contemporanea [vedi scheda di
lettura in "strumenti"].
Abbiamo chiesto allautore, via e-mail, di chiarire o di
approfondire alcuni dei temi trattati.
D.:
La narrazione, si afferma (Cap. 2), è importante non solo nella
comunicazione dei risultati della ricerca ma anche nel confronto con
le fonti. Ci si riferisce forse al fatto che la narrazione dovrebbe
contenere sia i risultati della ricerca sia il percorso effettuato per
giungere ad essi, oppure al fatto che la risonanza emotiva nel
rapporto tra lo storico e le fonti determina lintensità del suo
registro narrativo? Potrebbe chiarire questo punto?
R.:
Il bersaglio polemico della mia affermazione è una sorta di
taylorizzazione della ricerca, la pretesa di scomporla in tanti
segmenti, ognuno assistito dalle sue regole e dalle sue certezze:
prima la raccolta dei fatti e delle fonti, poi il loro racconto.
Positivista nella prima fase, idealista nella seconda lo storico
diventa una creatura ambigua, un ossimoro, oggettivo e scientifico
prima, soggettivo e empatico dopo. Non è così. Esiste un nucleo di
narrazione anche nellinterrogazione delle fonti, esiste un nucleo
razionale e filologicamente ineccepibile anche nella narrazione. Lo
storico sollecita le fonti attraverso formule narrative, deve
allacciare una relazione anche emotiva con le loro strutture
informative e far scaturire da questa relazione bilaterale le sue
conoscenze storiche. Sono poi le conoscenze storiche così acquisite e
formare loggetto del suo racconto; e quando racconta, il piacere di
raccontare una bella storia deve sempre fare i conti con un suo nucleo
razionale, con le sue prove intese come verifiche certe del
reale accadimento di un evento: in questo senso, lo storico non solo
deve dare un senso allavvenimento, ma deve anche accertare che esso
sia stato un avvenimento.
La
mia insistenza sullimportanza della narrazione è però legata
anche alla necessità che il racconto sia effettivamente in grado di
trasmettere conoscenza storica in competizione con gli altri
produttori di storia che affollano la grande arena delluso
pubblico: il rischio a cui sottrarsi è quello di una ricerca
storica interpretata come puro esercizio di narcisismo
intellettualistico, una sua dimensione corporativa e autoriferita.
D.:
Un elemento che caratterizza le nuove fonti è di non essere
testi scritti, e di porre quindi nuovi problemi ad una disciplina,
come quella storica, nata e cresciuta attorno a fonti prevalentemente
scritte. Questa osservazione ha una sua specifica validità per quanto
riguarda le fonti on line le quali, anche se si presentano in forma di
testi scritti, non hanno più le caratteristiche di fissità e
stabilità in genere associate al testo scritto tradizionale. Diventa
a questo punto decisivo il concetto di struttura informativa
della fonte che però, nel caso delle fonti on line, si trova di
fronte il problema della impossibilità di distinguere
linformazione dalla sua struttura. Potrebbe approfondire questo
tema?
R.:
Cè sgomento e curiosità nei confronti delle possibilità che per
la ricerca storica vengono dischiuse dalla rete. Molte di quelle che
sembrano traversìe, sono comunque delle vere opportunità.
Partiamo
dalle opportunità. Oggi, mentre sei comodamente seduto alla tua
scrivania, ti arriva in tempo reale la documentazione che andavi
cercando peregrinando in giro per gli archivi e le biblioteche. Certo
che perdi qualcosa: il senso della scoperta, la fisicità emozionante
del documento, la sua aura di irriproducibilità, e poi il rapporto
con gli archivisti (per due secoli è stato il prius misconosciuto ma
decisivo del lavoro degli storici di professione), con i testimoni,
tutte componenti cruciali che hanno nutrito per decenni la soggettività
degli storici. Il rimpianto è però superato dagli enormi vantaggi
che derivano non solo dalla celerità delle acquisizioni, ma anche
dalla possibilità di saltare una serie di passaggi puramente
fisici, quali ad esempio la trascrizione del documento in
archivio, la sua riscrittura nel momento in cui lo si voleva citare
nel testo: oggi, la sua versione digitalizzata è già pronta per
essere inserita direttamente nella narrazione storica.
I
rischi - che in questo momento appaiono immensi- sono legati
allazzardo filologico che lutilizzazione di questa
documentazione comporta.
Gli
aspetti più complessi di una metodologia della ricerca storica che si
riveli efficace per studiare queste fonti si riferiscono proprio
allidentificazione dei soggetti che producono i documenti. Siamo
infatti di fronte ad un mezzo tecnologico potenzialmente capace di
annullare lidentità personale, o confonderla: che senso ha
definirsi uomo o donna, nero o bianco all'interno di una conferenza
telematica in cui questi dati, se falsi, sono di fatto non
verificabili? Cè un gioco di comunicazione in cui, tra laltro,
ciascun interlocutore utilizza uno pseudonimo, lutente non cerca
solo di darsi una nuova identità, ma di approfittare della sua
maschera per tenere un altro comportamento sociale. Questa
consapevolezza della estrema volatilità dei files digitali e
del modo in cui il mondo piatto della rete, avulso dalla dimensione
spazio temporale, tende a opacizzare il contesto di origine e di
riferimento dellinformazione, riducendolo in genere a una sorta di
rumore di fondo, diventa così il prius di ogni
filologia del documento elettronico che intenda
identificarlo, verificarlo, citarlo e, soprattutto, inserirlo
adeguatamente nella concretezza degli uomini o delle istituzioni che
lo hanno prodotto.
In
questa direzione diventa così importantissimo il ruolo delle singole
istituzioni che mettono in rete i documenti dei propri archivi.
Devono
assumersi la responsabilità di dichiarare lautenticità di quei
documenti; è una certificazione che prima veniva attribuita allo
storico. Ora, lo storico è nellimpossibilità di confrontarsi con
la struttura materiale del documento così che quel compito rimbalza
direttamente sullistituzione che lo mette in rete. Cera già
prima il rischio dellarbitrarietà nella scelta di quali documenti
conservare e quali distruggere; ora questo rischio viene raddoppiato
ma certamente non cambia la natura qualitativa di una delle componenti
tradizionali del mestiere dello storico: sempre abbiamo saputo di
essere costretti a lavorare sulle tracce che il passato ha deciso di
farci conoscere e della
necessità di assumere questa arbitrarietà tra le dimensioni
permanenti delle proprie ricerche.
Quanto
ai documenti che non appartengono a archivi di istituzioni pubbliche e
ufficiali, privati, spontanei, diffusi, il rischio ulteriore è quello
della loro volatilità; si cita un documento che pochi mesi dopo
scompare dalla rete rendendo così impossibilie per il lettore la
verifica dellapparato critico utilizzato nella propria ricerca. In
questo caso lo storico deve assumersi unulteriore responsabilità
che prima non aveva; non
basta citare il documento e il sito da cui è preso ma occorre
copiarlo integralmente, preservandolo per il futuro così da rendere
sempre possibile il controllo delle proprie enunciazioni.
D.:
Se i media classici
(fotografia, radio, cinema, televisione) costituiscono una risorsa
importante in ordine ai temi della quotidianità, della storia della
mentalità, rispetto a che cosa possono essere considerati una fonte i
media nuovi (Internet, il Web), soprattutto quando essi veicolano
contenuti storici? A questo interrogativo se ne potrebbero aggiungere
altri sulla nuova configurazione che tende ad assumere luso
pubblico della storia, se consideriamo lipotesi che in Internet
stia emergendo una nuova sfera pubblica dalle caratteristiche
inedite.
R.:
Certo. Le manifestazioni del 20-21 luglio 2001 a Genova ne sono un
esempio straordinario: la rete è stata una formidabile agente di
storia, capace quindi di alimentare un corpus straordinario di
fonti per il futuro. Limportanza della documentazione che si
raccoglie intorno ai vari media è direttamente proporzionale alla
loro importanza nello strutturare identità, appartenenze,
comportamenti. Bene, la rete è stata decisiva prima per organizzare
le manifestazioni, poi per documentare lo svolgimento. La comunità
telematica che si è raccolta intorno a Genova è una delle più
efficaci anticipazioni di quello che in futuro sarà il ruolo della
rete come agente di storia. Piuttosto, cé da chiedersi fin da ora
quali metodi occorreranno per fronteggiarne la straripante dimensione
quantitativa.
Sul
controllo di quellenorme giacimento di immagini si giocherà
infatti una importantissima partita politica, giudiziaria, civile e
storica.
Accanto
a quella tra verità e menzogna cè infatti unaltra partita più
complicata che si gioca tra realtà e rappresentazione della realtà.
In
questo caso, il problema non è più se le immagini mentono, ma se
-con un paradosso tipico della tarda modernità che abbiamo già
sperimentato, ad esempio, per la guerra del Golfo- nonostante la loro
impressionante quantità riescano effettivamente a rappresentare tutta
la realtà. Nella diretta televisiva di sabato mancavano le immagini
interne al corteo dei 200.000 che tentavano di sfilare
pacificamente. Ebbene, dallinterno di quel corteo la percezione
degli eventi cambiava, le priorità diventavano altre: la possibilità
di contarsi, i rapporti di forza tra le componenti del movimento, la
curiosità di scoprire altri spezzoni di realtà, percorsi eterogenei,
storie politiche e personali diversissime. Niente a che spartire,
dunque, con lomogeneità ideologica e generazionale dei cortei
degli anni 70. Rispetto al movimento, questa è stata la realtà
della manifestazione, una realtà in cui cé stato spazio anche per
un confronto duro con i black bloc.
E
questa realtà non è stata rappresentata. Con delle conseguenze
politiche significative come quella che ha permesso al governo di
mettere tutti i manifestanti sullo stesso piano.
D.:
Lei insiste molto sul concetto di mediazione del passato, intesa
come «passaggio da un mondo allaltro» (pag. 217) di materiali
prelevati dal passato con la garanzia che lo storico dà che in tale
passaggio le informazioni non vengano alterate o manomesse. Nel caso
dellinsegnante di storia ci troveremmo quindi di fronte alla
mediazione di una mediazione, se è vero che loperazione più
delicata che linsegnante di storia deve fare per rendere efficace
il suo lavoro è quella di operare unattenta mediazione culturale e
didattica tra i bisogni formativi degli studenti e il patrimonio di
conoscenze, concettualizzazioni, procedure di ricerca, elaborato dagli
storici. Su questo terreno si pone il problema del rapporto tra ricerca storica e didattica della
storia, e quindi di canali di comunicazione e strumenti di confronto
tra storici e insegnanti di storia. Quali limiti e quali opportunità
a questo proposito lei vede nella situazione attuale?
R.:
Il
termine mediazione è decisivo, concettualmente strategico.
Soprattutto per la storia contemporanea che orienta gran parte dei
propri apparati metodologici verso i media come fonti. In questa folla
in cui tutti (le fonti, gli storici, gli insegnanti) sono a vario
titolo mediatori, non ha senso stabilire delle gerarchie sulla base
del numero di mediazioni che si è chiamati a operare. Si tratta di
confrontarsi direttamente con le specificità dei diversi ambiti
professionali. Rispetto al confronto tra i media da un lato e la
didattica e la ricerca dallaltro si tratta, ad esempio, non più
soltanto di favorire la comprensione e la spiegazione storica, quanto
di perseguire un obbiettivo educativo più ampio, che trascende le
stesse le finalità didattiche proprie della storia (luso delle
fonti e dei documenti nella metodologia della ricerca), segnato dal
tentativo di indurre consapevolezza critica nei confronti della
fruizione dei media, consentire lacquisizione di strumenti
critici e di capacità cognitive in grado di spezzare i modelli di
passività e di subalternità che segnano il rapporto tra il pubblico
e i media audiovisivi. Per i giovani, la storia mediatica
é diventata un consumo culturale; il problema é di non appiattirla
sul livello delle altre informazioni. Ed é in questa direzione
che la trasmissione del sapere storico attraverso la didattica e la
scuola acquista un suo spessore, un suo insostituibile ruolo
educativo. I media sono costretti ad inseguire troppe priorità
estrinseche allo statuto scientifico della storia per poterla
trasmettere in modo efficace: i gusti del pubblico, laudience,
il controllo politico, le regole del giornalismo sul linguaggio,
largomentazione e la spiegazione sono altrettante mediazioni che
rendono accidentata la comunicazione del fatto storico. La
didattica della storia ha il vantaggio di poter attingere più
direttamente alla ricerca: lunica cautela da adottare é, come dice
Le Goff, quella di far confrontare i ragazzi non con le scoperte
ma con quanto é già stabilmente acquisito.
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