Il laboratorio di formazione storica
di Maria Teresa Sega
Istituto Veneziano per la Storia Della
Resistenza

Per spiegare che cosa intendo per laboratorio - sia come
pratica di formazione adulta che come pratica didattica - devo fare un po di storia.
Quando ho iniziato ad insegnare nella scuola media nel
1984, dopo aver vinto un concorso, mi sono sentita improvvisamente scaraventata dentro
unaula senza alcuna preparazione didattica, con alle spalle una formazione
universitaria unicamente disciplinare, con scarsissima capacità di trasmettere ciò che
avevo imparato. Poiché dovevo sopravvivere, cominciai a guardarmi intorno per trovare un
qualche aiuto e così entrai in contatto con insegnanti che lavoravano in gruppo, facevano
ricerche con le classi, ecc... Capii che per insegnare dovevo prima imparare. Entrai così
nel Movimento di Cooperazione Educativa, associazione di insegnanti e formatori, perché
mi sembrava teorizzare e praticare una concezione dei rapporti e della cultura vicina alle
mie precedenti esperienze di movimento antagonista e femminista: pratica democratica e
antiautoritaria, cooperazione, valore dellesperienza, non separazione tra teoria e
pratica. Tutto questo si concretizzava nella ricerca didattica del laboratorio adulto,
cioè nel provare in via sperimentale tra insegnanti percorsi conoscitivi prima di
proporli alla classe. Questo significa mettersi nella posizione di apprendente, prima che
di docente, capire che cosa funziona, come ci si relaziona al gruppo, che cosa succede
nella propria testa e nei propri sentimenti.
Devo dire che fui abbastanza colpita dalle mie prime
esperienze di laboratorio: questi sono matti, pensavo! Sostengono che si apprende
divertendosi, lascolto delle emozioni, il gioco, il mettersi in gioco, la
soggettività!... Io pensavo che per imparare bisognasse soffrire e faticare - avevo
sempre sudato molto nel mio percorso di studi, avevo versato lacrime, mi ero legata alla
sedia ! - . Imparare e divertirsi (o stare bene) mi sembravano un binomio inconciliabile,
ma affascinante.
Scoprivo il piacere di apprendere, la formazione come
atteggiamento di curiosità e di ricerca permanente e non come bagaglio più o meno
pesante che una si porta appresso, larricchimento reciproco del lavoro di gruppo,
lefficacia di cooperare anziché competere. Per approdare a ciò fu necessario un
lavoro di destrutturazione dei modelli di conoscenza interiorizzati, che richiese tempo e
non poca applicazione. Soprattutto faceva resistenza al cambiamento la centralità della
mente e della razionalità, da me faticosamente guadagnate attraverso uneducazione
tutta basata sulla negazione del corpo e delle emozioni. La formazione implicava la
consapevolezza della propria biografia intellettuale e del proprio percorso educativo.
Il laboratorio come pratica didattica
I presupposti teorici di questa pratica sono la pedagogia attiva, che mette al centro il soggetto
apprendente nella sua interezza, e vede latto educativo come globalità che implica
la razionalità, il sentimento, la percezione corporea; lapprendimento come
produzione ed elaborazione culturale; la conoscenza come costruzione comune e non come
trasferimento da qualcuno che la possiede a qualcun altro che non la possiede (alcuni
riferimenti teorici: Freinet, Bion, Bruner ,Canevaro, Pontecorvo, ...). Il bravo
insegnante non è colui che sa parlare molto, ma che sa ascoltare, sa farsi da parte per
fare spazio allespressione di ogni allievo/a, sa condurre il gruppo attraverso un
percorso formativo, sa gestire le dinamiche che si creano al suo interno in modo da
consentire la convivenza e il raggiungimento delle mete. Unarte difficile ma
gratificante.
Cominciai a preparare i materiali attraverso i quali
costruire percorsi di conoscenza. Passavo giorni, e anche notti, a selezionare fonti,
ritagliare, inventare esercizi, costruire le famose "schede", cioè delle pagine
che contenessero testi e immagini, dati e esercizi, tracce e mappe per esercitare
quellapprendimento attivo, con obiettivi e tempi limitati. Una ricerca che non
svolgevo da sola, ma con altre colleghe-amiche, scambiandoci materiali , esperienze e
riflessioni.
La classe reagiva spesso con entusiasmo a queste
sollecitazioni, ma anche con indisciplina, come sempre succede quando si rompono i codici
rigidi di lavoro scolastico, basati su autorità-obbedienza, cosegna-esecuzione,
prestazione-verifica. Si produceva una difformità marcata tra il tempo di laboratorio e
le lezioni più tradizionali, che evidenziava anche le differenze tra il mio modo di
gestire il rapporto con la classe e quello di altri colleghi e colleghe; questo era motivo
di incomprensioni, diffidenze reciproche, conflitti latenti o aperti. Col tempo ha
imparato a smussare le differenze, cercando di evidenziare ciò che potevamo mettere in
comune, piuttosto che ciò che ci differenziava. Vi erano però anche altri problemi ed
errori che richiedevano aggiustamenti continui: tendevo, nel mio entusiasmo, a ingolfare
con uneccesso di materiali e di stimoli, a spronare alunni ed alunne al fare, senza
lasciare loro tempo sufficiente per elaborare. Il problema del tempo, che non basta mai, e
quello della selezione sono problemi centrali del laboratorio.
Il laboratorio di formazione adulta
Si basa sugli stessi presupposti teorici. Il formatore/la
formatrice, piuttosto che raccontare o mostrare ciò che sa e sa fare, crea una situazione
nella quale i/le partecipanti problematizzano le proprie pratiche e convinzioni,
partecipano attivamente a unesperienza che produca cambiamento.
Il laboratorio è prima di tutto unesperienza di
gruppo - che implica il piano affettivo-emotivo, relazionale, cognitivo - nella quale si
apprende scambievolmente gli uni dagli altri. La soggettività quindi non viene rimossa,
ma esplicitata. Si mettono a confronto i diversi significati che ognuno attribuisce a
parole, concetti, fatti, fino a negoziare, attraverso la discussione, un significato
condiviso dal gruppo. Inoltre il produrre insieme porta a conoscere gli altri/e, a
relazionarsi, ad esporsi, ma questo richiede che il gruppo non sia numeroso (massimo 20
persone) altrimenti diventa impossibile che ognuno/a abbia una spazio adeguato.
Durante il percorso viene prestata attenzione al rapporto
tra soggetto conoscente e contenuti, rendendo espliciti i processi mentali che portano
alla costruzione della conoscenza, vengono osservati gli intoppi, i problemi, la
formazione dei concetti, il rapporto tra pre-conoscenze (stereotipi, immagini,
giudizi,...) e nuove conoscenze. Alla fine è importante osservare e riflettere sul
percorso compiuto.
Frequentemente mi capita di vedere come si confonda
laboratorio con altre esperienze: un gruppo di discussione è semplicemente un
gruppo, non troppo esteso, allinterno del quale ognuno può intervenire per
discutere una relazione o approfondire problemi; un moderatore/trice dà la parola, ma la
conduzione è piuttosto informale. Un seminario è un gruppo in cui si
approfondisce lo studio di un contenuto attraverso le fonti o confrontando diversi testi
storiografici.
Un laboratorio si differenzia da questi per
lattenzione posta al processo della conoscenza, che implica attenzione al contesto
che la rende possibile e significativa (setting, ruoli, tempi). I partecipanti hanno un
ruolo attivo: agiscono, operano, manipolano materiali, elaborano un prodotto.
Problemi
Partire dalla soggettività può produrre un eccesso di
soggettivazione, nel senso che può risultare che alcuni soggetti prendano troppo spazio o
che una parte prenda il sopravvento. Il conduttore/la conduttrice deve saper contenere,
dare il senso dei limiti, far rispettare le regole (patto formativo).
Lefficacia formativa di un laboratorio non sta nella
quantità di sollecitazioni e materiali che si forniscono, ma nel proporre
unesperienza sensata, necessariamente parziale e frammentaria, come stimolo a
mettersi in ricerca. Mi ci è voluto molto per imparare a trattenere limpulso a
sommergere i docenti di testi, materiali, bibliografie, ecc. Il problema è mettere in
contatto, attraverso un frammento, con un contenuto e una procedura, in modo problematico
e significativo, aprendo prospettive di senso nuove. Il laboratorio va pensato come
porzione di un percorso che può continuare, ma nello stesso tempo come esperienza
conclusa, irriproducibile altrove con altre persone.
I tempi vanno ben cancolati e calibrati, ma senza
rigidità: insegnare vuol dire anche saper accogliere e gestire limprevisto.
Proposte
- gli insegnanti progettano un
laboratorio di storia
- l'insegnante e gli studenti progettano
un laboratorio di storia
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