Dopo la caduta del Muro di Berlino (1989) gli Usa hanno
operato una svolta della loro politica estera: da posizioni passive di contenimento
del comunismo all'esportazione del modello della democrazia americana, con l'espansione
della Nato in Europa. La strategia è quella di
garantire la stabilità dell'Europa
coincide con la sicurezza degli Usa. Viene applicata una politica di stampo neo-wilsoniano
(Wilson è il presidente americano che interviene in Europa durante la prima guerra
mondiale a salvaguardia dei principi democratici). Questa è la motivazione del primo attacco Nato, a 50 anni dall'esistenza
dell'Alleanza.
Dopo la guerra fredda, gli Usa perseguono, infatti, un nuovo ordine mondiale,
basato sulla dottrina dell'egemonia e del consenso, che punta alla diffusione di
democrazia e economia di mercato per garantire la pace e la prosperità mondiale. Si vuole
istituire un sistema nuovo per la gestione degli affari globali. L'incognita
per questo modello americano è rappresentata dalle dittature, dalla corruzione, dalle
rigidità strutturali, dalle economia centralizzate e pianificate, che limitano la
flessibilità e la libertà d'azione.
In merito alla crisi nell'ex-Jugoslavia, nel 1991, è prevalso il paradigma
storico del Vietnam con la sconfitta americana, che opera un forte condizionamento
sulla politica estera degli Usa. Si è valutato che i Balcani non avessero
interesse strategico primario. Nel 1995 la Bosnia scuote l'opinione americana e si
assume il principio di non fare alcuna concessione al dittatore. Gli accordi di Dayton
(Ohio, 21.11.1995) sanciscono la validità dell'intervento diretto statunitense sul piano
militare e sul piano diplomatico e la presa d'atto di inefficacia operativa dell'Onu.
Nel Kosovo Clinton tende ad aumentare notevolmente l'egemonia mondiale degli Usa,
come in occasione del trattato di Rambouillet
(Parigi, 15.3.1999).
L'opposizione all'intervento in Kosovo è stata sostenuta all'interno dai conservatori,
che hanno sottolineato il pericolo di deteriorare gli equilibri internazionali, in
particolare i rapporti con la Russia e la Cina e che criticano la politica wilsoniana.
Hanno escluso tassativamente nel Congresso la possibilità dell'intervento di terra, che
si sarebbe risolto come quello in Vietnam.
Clinton esprime una valenza geopolitica diversa
da quella tradizionale per la politica estera, utilizzando la metafora del domino,
cioè il disciplinamento degli spazi attraverso l'interrelazione tra centro e
periferie. Le modalità di intervento sono basate sulla strategia degli ultimatum in
vista dell'accordo. Scaduto il tempo, per evitare la delegittimazione della Nato, gli Usa
possono sostenere politicamente, con il consenso della maggioranza dell'opinione
pubblica, la guerra, anche se nella forma di guerra limitata. Clinton dichiara,
dopo la conclusione degli accordi di pace, che la comunità internazionale non erogherà
alcun aiuto al regime di Milosevic.
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