Il percorso della Libertà

Italia 1943 - 1945

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Il Sessantesimo della liberazione

Luciano Canfora  *


Il tema del sessantesimo anniversario della liberazione dal Fascismo, pone alla nostra attenzione, alla riflessione storiografica, la domanda: “Quando questa lotta di liberazione contro il fascismo e dal fascismo ha avuto inizio?” La risposta più sensata è che questa lotta è iniziata con l’affermarsi stesso del fascismo. Certo, al principio, sotto forma di lotta di minoranze e questo per una ragione che spesso resta in ombra, cioè per la natura inesauribilmente trasformistica del fascismo. Trasformismo mussoliniano, che è stato il culmine, per così dire, di una tradizione negativa della nostra vita politica. Esso, all’indomani della marcia su Roma, ha dato vita ad un governo nel quale erano tutti insieme, raccolti, con l’avallo del sovrano, la maggioranza liberale, i nazionalisti, parte dei popolari, i moderati di varia ispirazione; trasformismo da un lato e violenza di piazza dall’altro furono le armi e la base per diventare maggioranza. Ricordo, con pedanteria linguistica, che nella lingua italiana, maggioranza, nell’italiano del trecento naturalmente, vuol dire anche sopraffazione; c’è una pagina della cronaca di Dino Compagni in cui, uno dei capi dei Ciompi si rivolge ai Signori e dice: “La finirete con le vostre maggioranze!” così nella lingua italiana del Trecento. Violenza di piazza, violenza contro le associazioni e le organizzazioni del movimento operaio, delle Camere del Lavoro, in un clima, quello dell’immediato dopoguerra che era caratterizzato, anche se è difficile tornare oggi nella situazione di allora, da inquietudini e delusioni diffuse: centinaia e centinaia di migliaia di morti nelle trincee, grandi promesse alle classi lavoratrici coinvolte nel conflitto, furono la premessa per un’enorme scontentezza e delusione ed inquietudine che pervase ed invase il paese per mesi, in una tensione che fu spesso guerra tra oppressi, basti pensare alla tensione contro il movimento dei reduci, dalla guerra ed alla formazione di organizzazioni violente come le organizzazioni squadristiche che fiancheggiavano una ricerca di consenso. Ma per stravincere le elezioni del 1924, quando ormai il fascismo era al governo con l’avallo della monarchia e con il consenso dei partiti moderati, perché il blocco moderato, il “listone” avesse il trionfo elettorale che ebbe fu necessario cambiare la legge elettorale, abrogare il sistema proporzionale, unico veicolo per applicare il principio del suffragio universale ed introdurre un sistema maggioritario, che diede alla formazione denominata “listone” la prevalenza straripante nel Parlamento.

Il trasformismo restò fino alla fine, la caratteristica dominante e a lungo vincente del fascismo. Per ingannare un popolo e tenerlo avvinto, è il trasformismo la risorsa più efficace e trasformista fu Mussolini sin dal primo momento, della sua lunghissima carriera. Dall’estremismo rivoluzionario del 1912 insieme con Pietro Nenni egli capeggiò lo sciopero generale contro la guerra che portò alla conquista della Libia, sciopero generale a carattere eversivo, si disse, patì in carcere insieme con Pietro Nenni per quella iniziativa rivoluzionaria. Da quell’estremismo, alla scelta del 1914 in favore dell’intervento italiano nella guerra mondiale. Passaggio spettacolare da un angolo all’altro dello schieramento politico, propiziato, gli storici ben lo sanno ormai, da un intervento venale. Mussolini infatti fu arruolato dai servizi francesi, che avevano interesse a portare l’Italia su di una posizione lontana da quella tedesca e austriaca dentro l’alleanza dell’Intesa. Un passaggio che portò alla rottura con il suo partito, il partito socialista, e che rimase come spartiacque invalicabile tra lui e i suoi antichi compagni di battaglia. Trasformismo che si riprodusse, agli albori stessi del movimento fascista che passò dal repubblicanesimo radicale del ’19, dei primi fasci, alla scelta monarchica, alla scelta di arruolamento nel solco delle forze moderate, quando il re, all’indomani della manifestazione, denominata “Marcia su Roma”, gli affidò il compito di formare il governo. Ma l’inganno trasformistico a beneficio delle classi dominanti evidentemente proseguì anche dopo le leggi eccezionali del 1926 e anche dopo il concordato con la chiesa del 1929. La finta dialettica all’interno del movimento fascista, intrecciata con un fascismo di sinistra cui toccava di tenere legate le nuove generazioni, una finta dialettica all’interno dello stato totalitario, che serviva ad additare alle nuove generazioni che un vero fascismo esisteva e non era quello delle classi dominanti che costituivano invece il fondamento.

L’inganno fu messo in crisi dall’avventura rovinosa della guerra, alla quale ci avvicinammo impreparati da ogni punto di vista e ci avvicinammo con il cinismo del capo del governo, il quale dichiarò ai suoi collaboratori che alcune migliaia di morti erano indispensabili per potersi sedere al tavolo della pace dopo una guerra velocissima, che fu invece una guerra di sei anni e che distrusse l’Europa. Nonostante il disastro militare e le macerie, fu ritentato ancora una volta il ritrovato trasformismo, nell’ultima avventura del fascismo, quella della repubblica sociale italiana, sotto tutela tedesca. Il crepuscolo del fascismo costò lutti infiniti ma fu anche il momento del massimo dispiegamento del trasformismo ormai impotente, forse non più creduto ma assassino. Si pensi allo scatenamento propagandistico di quei diciotto mesi: la carta del lavoro, la socializzazione delle imprese, e sul piano dei simboli, cosa oscena, la appropriazione di Mazzini, come simbolo del repubblicanesimo italiano e quindi, della neonata repubblica sociale italiana da parte di coloro che, in complicità con la monarchia, degli eredi di quella tradizione, avevano fatto delle vittime. E’ l’arruolamento dei traditori, come Bombacci, è il tentativo in extremis, di adescare il partito socialista, quando ormai la repubblica sociale moriva, il lancio di un’ipotesi di passaggio dei poteri al partito socialista da parte della repubblica sociale, tentativo che fu stroncato dall’intelligenza politica di Sandro Pertini, con la durezza che gli era caratteristica.

Furono queste le tappe di una prodigata ed estrema convulsione trasformistica, cui nella pratica corrisposero il terrore, la tortura, le stragi e le rappresaglie. Non fu più credibile e non fu creduto, l’equivoco, ora ricorrente, che ritorna ciclicamente, con la formula che io detesto perché è paternalistica e falsa dei “ragazzi di Salò”, l’equivoco è insano, perché quei giovani furono costretti ad arruolarsi sotto il ricatto di essere internati in Germania perché renitenti alla leva. Se di storia si deve parlare, se ne deve parlare con fondatezza; se c’è stata una spinta alla ribellione, al rifiuto, alla non collaborazione, che ha fatto della guerra di liberazione un movimento di massa, questo è un altro punto sul quale ritornare, non un movimento di minoranza, ma un movimento di massa, élite combattenti che avevano alle spalle la maggioranza del paese.

Se tutto questo c’è stato e segnò la fine del fascismo nell’animo degli italiani, questo poté accadere perché alla fine la maggioranza disse non ti crediamo più, non sei più credibile, la lotta di liberazione, la ribellione al fascismo nasce, da questo rifiuto, non crediamo più ad un trasformismo che è durato 22-23 anni. A lungo, troppo a lungo, gli oppositori al fascismo monarchico, al fascismo protetto e in simbiosi con la monarchia furono pochi.

Ezio Franceschini, un nome che faccio per molte ragioni: innanzitutto perché è uno straordinario personaggio dell’università italiana, l’università italiana che non ha brillato, durante la lotta contro il fascismo, non ha brillato: alcuni uomini, si sottrassero, con conseguenze personali gravissime, alla sopraffazione più grave, cioè quella di giurare fedeltà al regime fascista, altri divennero antifascisti per merito dei loro maestri. Ezio Franceschini fu un uomo esemplare da questo punto di vista, fu professore all’Università cattolica di Milano, allievo di un grandissimo umanista italiano Concetto Marchesi, comunista, animatore della Resistenza a Milano durante l’occupazione tedesca. Ezio Franceschini cattolico specchiato, antifascista inaffondabile, estroso organizzatore militare non soltanto intellettuale, è tornato spesso su queste vicende. Lo ricordo anche per un’altra ragione, perché esiste una fondazione Franceschini in cui sono raccolti i suoi documenti, le memorie, una fondazione scientifica “La Certosa del Galluzzo” vicino a Firenze, che fa un lavoro meritorio e credo che il Presidente Scalfaro conosca. Ebbene, Ezio Franceschini è tornato più volte sul piano memorialistico e storiografico su questi avvenimenti di cui fu così importante protagonista; inventò la Frama, la Franceschini – Marchesi, una rete della Resistenza per gli aviolanci ai partigiani militari del nord. Io l’ho conosciuto quando era molto anziano, mi ha raccontato che alcune volte le armi per i partigiani venivano nascoste dentro la cripta della cappella della Cattolica a Milano; rendo omaggio al genio inventivo di quest’uomo. Ebbene, nei suoi reiterati interventi storiografici e memorialistici su queste vicende, egli ha ricordato, più volte, che il 90 per cento dei condannati dal Tribunale speciale per la sicurezza dello Stato, inventato dal fascismo dopo le leggi eccezionali del novembre del ’26, erano comunisti, essi erano tra i pochissimi che continuavano a lottare attivamente sul suolo italiano contro il fascismo a rischio dell’arresto, della vita, delle condanne. Lo stesso Tribunale speciale per la sicurezza dello Stato era stato inventato contro il partito comunista, questo spiace che si dimentichi, nella bufera di ignoranza che sta invadendo il nostro paese sul piano giornalistico e storiografico, fu inventato per imbastire il “processone”, per mettere sulla sbarra degli imputati, Antonio Gramsci e Umberto Terracini.

Questo ritrovarsi, come ha scritto Franceschini, i comunisti quasi soli, con delle minoranze intellettuali borghesi generosissime ma ultraminoritarie, poter essere sfruttato dal regime, per ribadire l’immagine che esso costituiva il baluardo, contro il comunismo. E’ questa una volgarità intellettuale che sentiamo ripetere ancora, in questi giorni, ma l’allontanamento dal fascismo delle minoranze attive, anche dei vari ceti che erano rimasti stregati dal trasformismo fascista, si produsse in un momento che fu forse il punto di non ritorno, le leggi razziali del settembre 1938. In questa università, il primo rettore- e questa è una macchia che non sarà facile cancellare - fu uno dei due autori del Manifesto della razza, si chiamava Pende e il 31 luglio del 1938, al «Popolo d’Italia», quotidiano di proprietà della famiglia Mussolini e quindi, principale giornale italiano, ebbe a dichiarare, a sostegno del proprio lavoro come autore di quel manifesto, “anche sul terreno razziale noi tireremo dritto”.

Si aprì allora però anche, una prima seria frattura con la Chiesa cattolica. Pio XI, un papa, che forse andrebbe ristudiato da parte degli storici per la ricchezza intellettuale con cui cercò di contrastare il razzismo nazista, Pio XI, in occasione della visita del Führer in Italia nel ’38, si ritirò a Castelgandolfo, chiuse i musei vaticani e quando il Führer si spostò a Firenze, per ammirare l’arte che a Firenze trabocca, fece chiudere la chiesa di Santa Croce, la Basilica di Santa Croce e dettò all’«Osservatore Romano», una dichiarazione contro coloro che brandiscono una croce, che non è la croce di Cristo e il «Popolo d’Italia» lo aggredì; questa dichiarazione dell’«Osservatore Romano» è del 5 maggio del ’38, il «Popolo d’Italia» lo ingiuriò l’8 maggio del ’38. Morì troppo presto, Pio XI, e il suo successore fu, all’inizio del suo pontificato, posto dinnanzi all’evento che forse avrebbe desiderato che non si producesse così presto: lo scatenamento del conflitto: 1 settembre del ’39.

Quella guerra fu la tomba del fascismo, disonorò il nostro paese, noi non siamo amati molto in Francia, ancora oggi, per la pugnalata alle spalle inferta ad un paese già in ginocchio. E abbiamo compartecipato all’aggressione contro l’Unione Sovietica l’“operazione Barbarossa”, mandando a morire decine di migliaia di italiani, per una guerra senza alcuna ragione.. L’inadeguatezza militare del regime si vide già subito con lo sbarco in Sicilia e a quel momento la miseria di tutto il paese divenne incalcolabile. Allora, anche le persone miti, appresero l’arte dolorosa del combattimento. Voglio ricordarlo anche questa volta, con le parole di Ezio Franceschini, in un suo bellissimo scritto del 1975, intitolato: Il mio no al fascismo. “Un altro grande insegnamento, dice Franceschini, mi è venuto dalla resistenza”, alla quale, come ho detto, partecipò in prima persona, “i cattolici, all’inizio assai timidi, finalmente superarono l’istintivo orrore delle armi, hanno imparato a combattere, non più inermi, l’illegalità e l’ingiustizia, a battersi senza odiare, ad amare pur uccidendolo per ristabilire la giustizia, l’avversario ingiusto” e conclude, “ormai la mia parte quale che sia stata l’ho fatta, vorrei soltanto che i giovani leggendo le pagine di questo mio fascicolo, che parla di rovina e di morte ma anche di eroismi e di sacrifici, potessero dire: “ecco degli uomini che hanno amato, più che la vita, la libertà e la giustizia”. Non è separabile, da quella lunga lotta, della quale l’insurrezione del 25 aprile fu soltanto l’epilogo, soltanto gli sciocchi e i cinici amano la formula montanelliana “si insorse”, quando non c’era nulla contro cui insorgere, solo un cinico può dire questa sciocchezza. La lotta contro il fascismo era cominciata molto prima l’insurrezione culminò il 25 aprile. Non è separabile, questa lotta culminata il 25 aprile, dal suo risultato più duraturo e positivo: la scrittura della Costituzione della Repubblica, un monumento giuridico, un monumento propositivo, come scrisse una volta Calamandrei, un atto rivoluzionario, perché nega lo stato delle cose e vuole modificarlo, chi oggi aggredisce la Costituzione, ferisce la Repubblica, offende la lotta di liberazione.




* Università di Bari.





PROLUSIONE - 4 febbraio 2005
- Oscar Luigi Scàlfaro


  BARI - 11 febbraio 05

 Luciano Canfora

  - Luigi Masella
  - Vito Antonio Leuzzi


NAPOLI - 16 febbraio 2005
- Francesco Paolo Casavola
- Guido D'Agostino
- Paolo De Marco
- Isabella Insolvibile

CATANIA - 22 febbraio 2005
- Giuseppe Barone
- Rosario Mangiameli
- Salvatore Lupo

ROMA - 3 marzo 2005
- Claudio Pavone
- Alessandro Portelli

CAGLIARI - 7 marzo 2005
- Manlio Brigaglia
- Giangiacomo Ortu

BOLOGNA - 9 marzo 2005
- Luciano Casali
- Antonio Parisella

PADOVA - 14 marzo 2005
- Angelo Ventura
- Emilio Franzina

TORINO - 16 marzo 2005
- Gianni Oliva
- Claudio Dellavalle

FIRENZE - 17 marzo 2005
- Michele Battini
- Ivano Tognarini

GENOVA - 17 marzo 2005
- M. Elisabetta Tonizzi
- Antonio Gibelli

TRIESTE - 19 marzo 2005
- Raoul Pupo
foto d'archivio
carte storiche
- Enzo Collotti

MILANO - 22 marzo 2005
- Mariuccia Salvati
- Claudio Dellavalle
- Gianni Perona



 
 
 
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