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Il Sessantesimo della liberazione
Luciano Canfora
Il tema del sessantesimo
anniversario della liberazione dal Fascismo, pone alla nostra
attenzione, alla riflessione storiografica, la domanda: “Quando
questa lotta di liberazione contro il fascismo e dal fascismo ha
avuto inizio?” La risposta più sensata è che
questa lotta è iniziata con l’affermarsi stesso del
fascismo. Certo, al principio, sotto forma di lotta di minoranze e
questo per una ragione che spesso resta in ombra, cioè per la
natura inesauribilmente trasformistica del fascismo. Trasformismo
mussoliniano, che è stato il culmine, per così dire, di
una tradizione negativa della nostra vita politica. Esso,
all’indomani della marcia su Roma, ha dato vita ad un governo
nel quale erano tutti insieme, raccolti, con l’avallo del
sovrano, la maggioranza liberale, i nazionalisti, parte dei popolari,
i moderati di varia ispirazione; trasformismo da un lato e violenza
di piazza dall’altro furono le armi e la base per diventare
maggioranza. Ricordo, con pedanteria linguistica, che nella lingua
italiana, maggioranza, nell’italiano del trecento naturalmente,
vuol dire anche sopraffazione; c’è una pagina della
cronaca di Dino Compagni in cui, uno dei capi dei Ciompi si rivolge
ai Signori e dice: “La finirete con le vostre maggioranze!”
così nella lingua italiana del Trecento. Violenza di piazza,
violenza contro le associazioni e le organizzazioni del movimento
operaio, delle Camere del Lavoro, in un clima, quello dell’immediato
dopoguerra che era caratterizzato, anche se è difficile
tornare oggi nella situazione di allora, da inquietudini e delusioni
diffuse: centinaia e centinaia di migliaia di morti nelle trincee,
grandi promesse alle classi lavoratrici coinvolte nel conflitto,
furono la premessa per un’enorme scontentezza e delusione ed
inquietudine che pervase ed invase il paese per mesi, in una tensione
che fu spesso guerra tra oppressi, basti pensare alla tensione contro
il movimento dei reduci, dalla guerra ed alla formazione di
organizzazioni violente come le organizzazioni squadristiche che
fiancheggiavano una ricerca di consenso. Ma per stravincere le
elezioni del 1924, quando ormai il fascismo era al governo con
l’avallo della monarchia e con il consenso dei partiti
moderati, perché il blocco moderato, il “listone”
avesse il trionfo elettorale che ebbe fu necessario cambiare la legge
elettorale, abrogare il sistema proporzionale, unico veicolo per
applicare il principio del suffragio universale ed introdurre un
sistema maggioritario, che diede alla formazione denominata “listone”
la prevalenza straripante nel Parlamento.
Il trasformismo restò fino
alla fine, la caratteristica dominante e a lungo vincente del
fascismo. Per ingannare un popolo e tenerlo avvinto, è il
trasformismo la risorsa più efficace e trasformista fu
Mussolini sin dal primo momento, della sua lunghissima carriera.
Dall’estremismo rivoluzionario del 1912 insieme con Pietro
Nenni egli capeggiò lo sciopero generale contro la guerra che
portò alla conquista della Libia, sciopero generale a
carattere eversivo, si disse, patì in carcere insieme con
Pietro Nenni per quella iniziativa rivoluzionaria. Da
quell’estremismo, alla scelta del 1914 in favore
dell’intervento italiano nella guerra mondiale. Passaggio
spettacolare da un angolo all’altro dello schieramento
politico, propiziato, gli storici ben lo sanno ormai, da un
intervento venale. Mussolini infatti fu arruolato dai servizi
francesi, che avevano interesse a portare l’Italia su di una
posizione lontana da quella tedesca e austriaca dentro l’alleanza
dell’Intesa. Un passaggio che portò alla rottura con il
suo partito, il partito socialista, e che rimase come spartiacque
invalicabile tra lui e i suoi antichi compagni di battaglia.
Trasformismo che si riprodusse, agli albori stessi del movimento
fascista che passò dal repubblicanesimo radicale del ’19,
dei primi fasci, alla scelta monarchica, alla scelta di arruolamento
nel solco delle forze moderate, quando il re, all’indomani
della manifestazione, denominata “Marcia su Roma”, gli
affidò il compito di formare il governo. Ma l’inganno
trasformistico a beneficio delle classi dominanti evidentemente
proseguì anche dopo le leggi eccezionali del 1926 e anche dopo
il concordato con la chiesa del 1929. La finta dialettica all’interno
del movimento fascista, intrecciata con un fascismo di sinistra cui
toccava di tenere legate le nuove generazioni, una finta dialettica
all’interno dello stato totalitario, che serviva ad additare
alle nuove generazioni che un vero fascismo esisteva e non era quello
delle classi dominanti che costituivano invece il fondamento.
L’inganno fu messo in crisi
dall’avventura rovinosa della guerra, alla quale ci avvicinammo
impreparati da ogni punto di vista e ci avvicinammo con il cinismo
del capo del governo, il quale dichiarò ai suoi collaboratori
che alcune migliaia di morti erano indispensabili per potersi sedere
al tavolo della pace dopo una guerra velocissima, che fu invece una
guerra di sei anni e che distrusse l’Europa. Nonostante il
disastro militare e le macerie, fu ritentato ancora una volta il
ritrovato trasformismo, nell’ultima avventura del fascismo,
quella della repubblica sociale italiana, sotto tutela tedesca. Il
crepuscolo del fascismo costò lutti infiniti ma fu anche il
momento del massimo dispiegamento del trasformismo ormai impotente,
forse non più creduto ma assassino. Si pensi allo scatenamento
propagandistico di quei diciotto mesi: la carta del lavoro, la
socializzazione delle imprese, e sul piano dei simboli, cosa oscena,
la appropriazione di Mazzini, come simbolo del repubblicanesimo
italiano e quindi, della neonata repubblica sociale italiana da parte
di coloro che, in complicità con la monarchia, degli eredi di
quella tradizione, avevano fatto delle vittime. E’
l’arruolamento dei traditori, come Bombacci, è il
tentativo in extremis, di adescare il partito socialista, quando
ormai la repubblica sociale moriva, il lancio di un’ipotesi di
passaggio dei poteri al partito socialista da parte della repubblica
sociale, tentativo che fu stroncato dall’intelligenza politica
di Sandro Pertini, con la durezza che gli era caratteristica.
Furono queste le tappe di una
prodigata ed estrema convulsione trasformistica, cui nella pratica
corrisposero il terrore, la tortura, le stragi e le rappresaglie. Non
fu più credibile e non fu creduto, l’equivoco, ora
ricorrente, che ritorna ciclicamente, con la formula che io detesto
perché è paternalistica e falsa dei “ragazzi di
Salò”, l’equivoco è insano, perché
quei giovani furono costretti ad arruolarsi sotto il ricatto di
essere internati in Germania perché renitenti alla leva. Se di
storia si deve parlare, se ne deve parlare con fondatezza; se c’è
stata una spinta alla ribellione, al rifiuto, alla non
collaborazione, che ha fatto della guerra di liberazione un movimento
di massa, questo è un altro punto sul quale ritornare, non un
movimento di minoranza, ma un movimento di massa, élite
combattenti che avevano alle spalle la maggioranza del paese.
Se tutto questo c’è
stato e segnò la fine del fascismo nell’animo degli
italiani, questo poté accadere perché alla fine la
maggioranza disse non ti crediamo più, non sei più
credibile, la lotta di liberazione, la ribellione al fascismo nasce,
da questo rifiuto, non crediamo più ad un trasformismo che è
durato 22-23 anni. A lungo, troppo a lungo, gli oppositori al
fascismo monarchico, al fascismo protetto e in simbiosi con la
monarchia furono pochi.
Ezio Franceschini, un nome che
faccio per molte ragioni: innanzitutto perché è uno
straordinario personaggio dell’università italiana,
l’università italiana che non ha brillato, durante la
lotta contro il fascismo, non ha brillato: alcuni uomini, si
sottrassero, con conseguenze personali gravissime, alla sopraffazione
più grave, cioè quella di giurare fedeltà al
regime fascista, altri divennero antifascisti per merito dei loro
maestri. Ezio Franceschini fu un uomo esemplare da questo punto di
vista, fu professore all’Università cattolica di
Milano, allievo di un grandissimo umanista italiano Concetto
Marchesi, comunista, animatore della Resistenza a Milano durante
l’occupazione tedesca. Ezio Franceschini cattolico specchiato,
antifascista inaffondabile, estroso organizzatore militare non
soltanto intellettuale, è tornato spesso su queste vicende. Lo
ricordo anche per un’altra ragione, perché esiste una
fondazione Franceschini in cui sono raccolti i suoi documenti, le
memorie, una fondazione scientifica “La Certosa del Galluzzo”
vicino a Firenze, che fa un lavoro meritorio e credo che il
Presidente Scalfaro conosca. Ebbene, Ezio Franceschini è
tornato più volte sul piano memorialistico e storiografico su
questi avvenimenti di cui fu così importante protagonista;
inventò la Frama, la Franceschini – Marchesi, una rete
della Resistenza per gli aviolanci ai partigiani militari del nord.
Io l’ho conosciuto quando era molto anziano, mi ha raccontato
che alcune volte le armi per i partigiani venivano nascoste dentro la
cripta della cappella della Cattolica a Milano; rendo omaggio al
genio inventivo di quest’uomo. Ebbene, nei suoi reiterati
interventi storiografici e memorialistici su queste vicende, egli ha
ricordato, più volte, che il 90 per cento dei condannati dal
Tribunale speciale per la sicurezza dello Stato, inventato dal
fascismo dopo le leggi eccezionali del novembre del ’26, erano
comunisti, essi erano tra i pochissimi che continuavano a lottare
attivamente sul suolo italiano contro il fascismo a rischio
dell’arresto, della vita, delle condanne. Lo stesso Tribunale
speciale per la sicurezza dello Stato era stato inventato contro il
partito comunista, questo spiace che si dimentichi, nella bufera di
ignoranza che sta invadendo il nostro paese sul piano giornalistico e
storiografico, fu inventato per imbastire il “processone”,
per mettere sulla sbarra degli imputati, Antonio Gramsci e Umberto
Terracini.
Questo ritrovarsi, come ha scritto
Franceschini, i comunisti quasi soli, con delle minoranze
intellettuali borghesi generosissime ma ultraminoritarie, poter
essere sfruttato dal regime, per ribadire l’immagine che esso
costituiva il baluardo, contro il comunismo. E’ questa una
volgarità intellettuale che sentiamo ripetere ancora, in
questi giorni, ma l’allontanamento dal fascismo delle minoranze
attive, anche dei vari ceti che erano rimasti stregati dal
trasformismo fascista, si produsse in un momento che fu forse il
punto di non ritorno, le leggi razziali del settembre 1938. In questa
università, il primo rettore- e questa è una macchia
che non sarà facile cancellare - fu uno dei due autori del
Manifesto della razza, si chiamava Pende e il 31 luglio del 1938, al
«Popolo d’Italia», quotidiano di proprietà
della famiglia Mussolini e quindi, principale giornale italiano, ebbe
a dichiarare, a sostegno del proprio lavoro come autore di quel
manifesto, “anche sul terreno razziale noi tireremo dritto”.
Si aprì allora però
anche, una prima seria frattura con la Chiesa cattolica. Pio XI, un
papa, che forse andrebbe ristudiato da parte degli storici per la
ricchezza intellettuale con cui cercò di contrastare il
razzismo nazista, Pio XI, in occasione della visita del Führer
in Italia nel ’38, si ritirò a Castelgandolfo, chiuse i
musei vaticani e quando il Führer si spostò a Firenze,
per ammirare l’arte che a Firenze trabocca, fece chiudere la
chiesa di Santa Croce, la Basilica di Santa Croce e dettò
all’«Osservatore Romano», una dichiarazione contro
coloro che brandiscono una croce, che non è la croce di Cristo
e il «Popolo d’Italia» lo aggredì; questa
dichiarazione dell’«Osservatore Romano» è
del 5 maggio del ’38, il «Popolo d’Italia» lo
ingiuriò l’8 maggio del ’38. Morì troppo
presto, Pio XI, e il suo successore fu, all’inizio del suo
pontificato, posto dinnanzi all’evento che forse avrebbe
desiderato che non si producesse così presto: lo scatenamento
del conflitto: 1 settembre del ’39.
Quella guerra fu la tomba del fascismo, disonorò
il nostro paese, noi non siamo amati molto in Francia, ancora oggi,
per la pugnalata alle spalle inferta ad un paese già in
ginocchio. E abbiamo compartecipato all’aggressione contro
l’Unione Sovietica l’“operazione Barbarossa”,
mandando a morire decine di migliaia di italiani, per una guerra
senza alcuna ragione.. L’inadeguatezza militare del regime si
vide già subito con lo sbarco in Sicilia e a quel momento la
miseria di tutto il paese divenne incalcolabile. Allora, anche le
persone miti, appresero l’arte dolorosa del combattimento.
Voglio ricordarlo anche questa volta, con le parole di Ezio
Franceschini, in un suo bellissimo scritto del 1975, intitolato: Il
mio no al fascismo. “Un altro grande insegnamento, dice
Franceschini, mi è venuto dalla resistenza”, alla quale,
come ho detto, partecipò in prima persona, “i cattolici,
all’inizio assai timidi, finalmente superarono l’istintivo
orrore delle armi, hanno imparato a combattere, non più
inermi, l’illegalità e l’ingiustizia, a battersi
senza odiare, ad amare pur uccidendolo per ristabilire la giustizia,
l’avversario ingiusto” e conclude, “ormai la mia
parte quale che sia stata l’ho fatta, vorrei soltanto che i
giovani leggendo le pagine di questo mio fascicolo, che parla di
rovina e di morte ma anche di eroismi e di sacrifici, potessero dire:
“ecco degli uomini che hanno amato, più che la vita, la
libertà e la giustizia”. Non è separabile, da
quella lunga lotta, della quale l’insurrezione del 25 aprile fu
soltanto l’epilogo, soltanto gli sciocchi e i cinici amano la
formula montanelliana “si insorse”, quando non c’era
nulla contro cui insorgere, solo un cinico può dire questa
sciocchezza. La lotta contro il fascismo era cominciata molto prima
l’insurrezione culminò il 25 aprile. Non è
separabile, questa lotta culminata il 25 aprile, dal suo risultato
più duraturo e positivo: la scrittura della Costituzione della
Repubblica, un monumento giuridico, un monumento propositivo, come
scrisse una volta Calamandrei, un atto rivoluzionario, perché
nega lo stato delle cose e vuole modificarlo, chi oggi aggredisce la
Costituzione, ferisce la Repubblica, offende la lotta di liberazione.
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