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Cefalonia: martiri, eroi e resistenti
Isabella Insolvibile
Nei giorni in cui Napoli, prima
città d’Europa, combatté e vinse la sua
resistenza contro i nazifascisti, a Cefalonia, isola greca del mar
Ionio, i militari italiani della divisione Acqui combatterono contro
gli ex alleati tedeschi. La scelta di lotta fu il frutto di una
settimana – dal fatidico 8 settembre al 15 dello stesso mese –
di trattative con i tedeschi da parte del comando italiano, ma
soprattutto di dubbi, riflessioni e prese di coscienza da parte di
ognuno dei dodicimila italiani presenti sull’isola. Questo
avvenne perché, per la prima volta dopo tanti anni – per
alcuni, anzi, per la prima volta in assoluto – gli italiani
(non solo gli italiani di Cefalonia e non solo i militari, ma tutti
gli italiani) si trovarono a dover fare, autonomamente ed
individualmente, una scelta importante e “fondante” per
il proprio futuro.
Non fu l’8 settembre,
comunque, a dare questa consapevolezza ad uomini che l’armistizio
ed i suoi significati non colsero impreparati: la necessità
della scelta, e la responsabilità che tale scelta implicava,
furono le conseguenze, ovvie ed immediate ma non per questo scontate
o meno lancinanti, degli anni di una guerra, sbagliata e persa, al
fianco di un alleato superiore e superbo e, ancor prima, degli anni
di un regime nefasto che aveva portato alla rovina.
L’8 settembre, anche a
Cefalonia, fu il momento delle grandi decisioni. Gli uomini della
divisione Acqui scelsero e resero nota a tutti la propria decisione
perché, in un momento unico come quello, venne chiesta la loro
opinione. Gli italiani di Cefalonia decisero, in modo consapevole, di
schierarsi contro i tedeschi che, prepotentemente – nonostante
le loro forze ammontassero a soli 2000 uomini – pretendevano di
ottenere le loro armi, in cambio di un non meglio precisato rimpatrio
che, come sappiamo bene oggi e come intuirono allora i militari della
Acqui, avrebbe in realtà voluto dire internamento e prigionia.
Gli uomini della Acqui lottarono per
ben sette giorni, senza rinforzi, senza aiuti e, alla fine senza
speranza, contro un nemico sempre più numeroso e forte di
decine di aerei che, da mattino a sera, bombardavano e mitragliavano
il brullo terreno di Cefalonia, dove gli italiani, allo scoperto,
tentavano di difendersi con gli ormai antiquati moschetto 91 della
prima guerra mondiale. Neanche un aereo, neanche una nave, giunsero
in soccorso dall’Italia o dai nuovi alleati anglo-americani ai
quali, dopo lo sbarco in Sicilia, il fronte balcanico non interessava
più. Fu una lotta impari e sproporzionata per gli italiani,
forti solo del coraggio e della determinazione, nella consapevolezza,
sempre più profonda, di aver fatto la scelta giusta.
Quegli uomini, però, erano
ritenuti traditori dai tedeschi che avevano l’ordine,
proveniente direttamente dal Führer, di fucilare tutti gli
italiani che avessero combattuto contro di loro. E così,
migliaia e migliaia di uomini, non appena si arrendevano, venivano
spogliati delle armi e derubati degli oggetti personali, sistemati a
semicerchio sullo stesso campo di battaglia, e massacrati dal fuoco
delle mitragliatrici tedesche, spesso tra le risate degli aguzzini.
Alla fine la Acqui fu sconfitta e
sui militari superstiti ai combattimenti ed alle fucilazioni di
massa, si abbatté un’ulteriore rappresaglia. In una sola
mattina vennero uccisi quasi tutti gli ufficiali della divisione. Dei
dodicimila italiani della Acqui, 1500 erano morti durante i
combattimenti, 3000 sarebbero morti durante il trasporto nei campi
d’internamento, 5000 erano stati fucilati, per un totale di
circa 9000 morti. I loro corpi furono bruciati, fatti esplodere,
affondati o semplicemente lasciati insepolti perché, sempre
per ordine di Hitler, i “traditori badogliani” non
meritavano sepoltura.
Difficile fu la sorte di chi
sopravvisse. Molti vennero avviati ai campi d’internamento,
dove ribadirono il loro no alla collaborazione con i nazifascisti.
Tra i circa 1000 trattenuti sull’isola, la maggior parte
organizzò e portò avanti, fino al settembre del 1944,
una forma di resistenza clandestina in collaborazione con la
Resistenza greca e con il comando alleato del Medio Oriente.
L’Italia, l’Italia del
re in fuga, l’Italia dei postfascisti non antifascisti, che in
gran parte si travasò nella nuova Italia repubblicana,
quell’Italia che durante i giorni di lotta a Cefalonia aveva
immolato i dodicimila della Acqui ad un sempre più
disonorevole tavolo della pace, aveva promesso ai militari di
Cefalonia che ogni loro sacrificio sarebbe stato ricompensato. E
invece non fu così, perché neanche la ricompensa della
memoria spettò ai resistenti di Cefalonia, condannati, insieme
ad altre migliaia di persone, a sessant’anni di oblio, voluto e
colpevole, nell’Armadio della vergogna.
Un ministro della Repubblica, che
negli anni cinquanta contribuì all’insabbiamento delle
indagini sui crimini nazifascisti, ha parlato di Cefalonia come di
“una coda della guerra, un qualcosa che era avvenuto tra
militari”, non capendo, o non volendo capire, che Cefalonia fu
invece l’inizio della Resistenza, il primo atto – come ha
detto il Presidente Ciampi – di un’Italia libera dal
fascismo.
Quella di Cefalonia è una
strage “unica” nel suo genere in quanto solo in questo
caso i tedeschi massacrarono, in modo sistematico, tutti gli
italiani, indifferentemente dal loro grado, dal generale di divisione
al cuoco di reggimento. Altrove, infatti, come nelle isole dell’Egeo,
solo gli ufficiali vennero fucilati per rappresaglia.
La strage degli italiani, inermi e
sconfitti, che i nazisti compirono a Cefalonia, in un territorio in
fin dei conti ristretto ed in un lasso di tempo estremamente breve,
ha dimensioni così sproporzionate e caratteristiche così
efferate da essere diventata nel tempo il principale, se non il solo,
motivo di ricordo degli eventi di Cefalonia.
Ma oggi noi siamo qui per ricordare
la Resistenza di Cefalonia, la scelta di libertà dei militari
della Acqui, scelta fatta in modo democratico come ogni scelta di
Resistenza. Non si può, per questo, parlare della decisione
dei soldati della Acqui nei termini di “sacrificio”:
quegli uomini non si sacrificarono ma scelsero, furono massacrati ma
non si immolarono. La loro fu una scelta consapevole, una consapevole
scelta di Resistenza.
Chi a Cefalonia, a Napoli e altrove,
negli stessi giorni o in un secondo, ma immediatamente successivo
momento, scelse la Resistenza diede all’8 settembre il
significato di data fondante di un nuovo concetto di patria: si lottò
per un’Italia diversa, un’Italia di cui quelle scelte
rappresentano, ancora oggi, anche per la mia generazione, le
fondamenta.
A proposito della Resistenza
militare, Roberto Battaglia ha scritto che si trattò di una
“splendida resistenza, condotta secondo gli schemi della
‘guerra regolare’, con il vecchio inquadramento, ma con
questo spirito nuovo. Lo spirito nascente del partigiano che sa che
occorre difendere la ‘patria’, ma che per riconquistarla
occorre innanzi tutto battersi con energia nella lotta contro i suoi
vecchi e nuovi padroni.”
Combattere i tedeschi volle dire anche, per quegli
uomini, condannare la guerra che fino ad allora gli stessi italiani
avevano portato avanti. Combattere finalmente dalla parte giusta: fu,
allora, un sentimento comune e spontaneo, ed allo stesso tempo
meditato e politico. È, oggi, monito e movente di scelte di
pace.
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