Il percorso della Libertà

Italia 1943 - 1945

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Il 1° Congresso dei Comitati di Liberazione Nazionale e le nuove culture politiche

Luigi Masella  *


Non è infrequente, oggi, incontrare docenti che constatano con amarezza una caduta di interesse delle più giovani generazioni verso la storia e in particolar modo verso le vicende drammatiche del proprio paese nel corso del ‘900, che pure continuano ad essere fondamento del nostro vivere democratico. Per questo, oggi, non può essere intento nostro solo quello di celebrare eventi che per molti giovani rischiano di risultare lontani non solo nel tempo, ma anche nel cuore; deve essere nostro proposito quello di riflettere insieme su avvenimenti che forse, al di là di ogni retorica, possono significare ancora qualcosa. Il primo Congresso dei Comitati di liberazione nazionale, che si svolse a Bari il 28 e il 29 gennaio 1944 ,costituì la prima voce libera che in maniera ufficiale si levasse nell’Italia occupata e anzi fu la prima manifestazione democratica che avesse luogo in Europa ,in un paese fino a poco tempo prima schiacciato dal fascismo. In quell’inverno ‘43-‘44 l’Italia come stato nazionale di fatto non esisteva più, e non solo perché tutto il paese da Roma in su era ancora nelle mani dei tedeschi, ma anche perché la parte liberata, quella meridionale, non godeva di una sua effettiva indipendenza; qui a decidere della vita civile e politica erano ancora le truppe anglo americane, che stabilivano autonomamente il percorso che gli Italiani avrebbero dovuto seguire per giungere a un nuovo sistema politico. Se allora il punto di vista americano risultava più disponibile a soluzioni più avanzate, quello inglese , al quale era riconosciuto un più incisivo diritto di controllo nell’area mediterranea, era nettamente più favorevole ad una permanenza della monarchia e ad un governo fortemente moderato, affidato al generale Badoglio. La storiografia sul quel periodo della nostra storia nazionale è concorde nel rilevare sia l’isolamento delle nascenti forze politiche nel Mezzogiorno, sia la loro difficoltà a contrastare i disegni fortemente conservatori di Badoglio e di una classe dirigente legata ancora a Vittorio Emanuele III e decisa ad ostacolare uno sviluppo in senso pienamente democratico del sistema politico italiano. Proprio alla luce di questo contesto si può formulare una prima valutazione del Congresso di Bari. Progettato come un primo momento di confronto fra tutti i comitati di liberazione per definire una linea comune in ordine alla questione istituzionale e al ruolo che la parte libera dell’Italia, riconosciuta cobelligerante dopo l’armistizio del 8 settembre, avrebbe dovuto svolgere nel proseguo della guerra, il congresso avrebbe dovuto essere celebrato a Napoli. Contro ogni ipotesi di convegno di forze politiche nuove e fortemente critiche dell’operato di Badoglio, però, si levò l’opposizione alleata ,inglese in particolare, e insieme ad essa la forte resistenza del governo badogliano, che vedeva nell’iniziativa un pericolo per l’ipotesi di gestione moderata del dopoguerra. Fu anzi proprio il governo Badoglio, appena si diffuse la notizia, a cercare subito di dissuadere innanzi tutto le personalità più note del fronte antifascista, da Croce, al democristiano Rodinò, al più irrequieto repubblicano conte Sforza, al vecchio De Nicola, dal partecipare all’incontro. Non avendo ottenuto alcun risultato da quel versante, si rivolse quindi alle autorità alleate ,perché non concedessero l’assenso; e l’obiettivo fu infatti inizialmente raggiunto perché la sera del 5 dicembre un ufficiale americano comunicò ad Arangio Ruiz, presidente del CLN napoletano che la celebrazione del congresso veniva proibita per ragioni di ordine pubblico, per essere Napoli troppo vicina al fronte. Per di più, quasi contestualmente al divieto di un Congresso dei CLN veniva impedita anche una commemorazione pubblica ad iniziativa dei partiti antifascisti di Giovanni Amendola, il deputato e ministro nel governo Facta ,aggredito dai fascisti e morto in Francia nel ’25 per i postumi dell’aggressione. Al di là di una valutazione di merito dei contenuti del congresso, lo stesso svolgimento successivo di quella vicenda è un esempio molto significativo del modo in cui una classe dirigente, sia pure in una difficile fase di iniziale formazione, ricerca e rivendica in una situazione di totale occupazione militare un proprio spazio di autonomia decisionale. Fu Croce stesso, chiamato d’urgenza a Napoli, nella sede del CLN, a sollecitare la firma di una lettera di protesta indirizzata direttamente a Churchill, Stalin e Roosevelt, per richiamarli ai deliberati della precedente Conferenza di Mosca dell’ottobre ‘43,nella quale era stato riconosciuto il diritto di parola e di riunione alle rappresentanze politiche italiane. Con la sua fermezza riuscì anzi a convincere ad apporre la propria firma alla lettera di protesta anche i rappresentanti cattolici, all’inizio più incerti e restii ad esporsi ad un rischio di rottura con le truppe alleate. Nel successivo incontro con le rappresentanze militari alleate si ottenne così che il congresso si svolgesse, se non a Napoli, appunto troppo vicina alle linee militari, a Bari. Già lo svolgimento di tutta questa vicenda segnale dunque un primo punto importante.Le forze politiche che all’indomani della caduta del fascismo operano in un contesto militare internazionale sfavorevole e in regime di occupazione militare, intendono trarre la loro legittimazione non dalla totale consonanza e condiscendenza con gli eserciti occupanti, che pure considerano liberatori, ma dalla convinzione di esprimere nella loro unità di intenti una ritrovata diversa unità nazionale. «Si tratta – è stata detto giustamente – di un aspetto che non va sottovalutato e che caratterizza in modo profondamente “diverso”l’affacciarsi dei partiti antifascisti alla direzione del sistema politico italiano.Esso esprimeva una spinta di liberazione dai vincoli di subordinazione al nazismo che Mussolini aveva posto in essere, ma conglobava in questo medesimo atteggiamento una sorta di ritrovato spirito d’unità nazionale che proclamava l’esigenza d’autoidentificarsi al di fuori delle imposizioni esterne: così come, del resto, la propaganda alleata aveva promesso che gli italiani sarebbero stati liberi di fare. E proprio mentre le forze conservatrici tentavano di ritrovare loro specifici vincoli di interdipendenza sui quali ricostruire la propria capacità di controllo sociale» (Di Nolfo 1979). Questa stessa capacità di recuperare spazi di autonomia in un contesto di occupazione militare dovrà poi cercare un altro concreto terreno di verifica nel confronto di opinioni il 28 e il 29 gennaio 44 a Bari, evento sul quale la disputa storiografica ha manifestato pareri non uniformi. Il Congresso, come è noto, fu introdotto da un denso e importante discorso di Benedetto Croce. Il filosofo napoletano è rimasto un grande liberale e un grande moderato, vuole anzi conservare la monarchia e ripristinare quell’Italia liberal giolittiana , che guerra e fascismo hanno dissolto, e, proprio per mettere fra parentesi il regime ed evitare cambiamenti radicali, rivendica l’allontanamento definitivo di quel re, complice di Mussolini in una politica che ha trascinato il paese nella rovina. Ma Croce è anche un grande storico e nel suo discorso la richiesta agli anglo americani di abbandonare la loro politica, “unilaterale” e “angusta”, così la definisce, che ritarda l’estirpazione del fascismo per evitare una eventuale anarchia che ritarderebbe le operazioni militari contro i tedeschi, è legata strettamente alla convinzione che la rifondazione di una patria e di un’unità nazionale deve trovare nuove basi. La fedeltà all’Italia è infatti passata egli dice attraverso la dolorosa convinzione che del proprio paese, dominato dal fascismo, era necessario augurarsi la sconfitta. Perché «la presente guerra non era una guerra tra popoli ma una guerra civile, e più esattamente ancora, che non era una semplice guerra di interessi politici ed economici,ma una guerra di religione, e per la nostra religione , che aveva il diritto di comandarci, ci rassegnammo al penoso distacco dalla brama di una vittoria italiana ,di una vittoria che sarebbe stata non solo la rovina del restante mondo ma quella dell’Italia resa schiava della Germania ». Proprio in ragione di questa posizione egli si sente legittimato a chiedere agli alleati il riconoscimento del diritto della nuova Italia che stava nascendo di contribuire con un contingente di militari italiani alla guerra contro l’esercito tedesco e soprattutto di dar vita a un governo non corresponsabile della continuità di azione del re Vittorio Emanuele III, che avrebbe dovuto essere rimosso dalla sua funzione di guida del paese. Soprattutto la risoluzione della questione istituzionale, infatti, fu al centro della discussione fra i partiti; essa era individuata come condizione indispensabile alla successiva partecipazione dei partiti antifascisti al governo nazionale e costituiva la richiesta principale di tutti gli ordini del giorno presentati alla Presidenza del Congresso. Le sinistre, dal canto loro ,partito comunista, partito socialista e partito d’azione, proposero unitariamente un ordine del giorno che prevedeva l’immediata abdicazione del re e la trasformazione del congresso in “Assemblea rappresentativa dell’Italia liberata”, una specie di Assemblea Costituente alla quale sarebbero spettati i poteri necessari per la formazione di un nuovo governo. Era una scelta politica, che pur potendo far registrare la maggioranza dei consensi fra quanti partecipavano al congresso, rischiava di dividere l’assemblea e soprattutto richiedeva un livello di consenso e di mobilitazione della popolazione, che presupponeva una sua maturazione rapida in senso antifascista e rivoluzionario e una diffusione alta e radicata dei partiti nei territori liberati, tutti aspetti ancora da verificare. Ciò peraltro sarebbe avvenuto in un contesto politico militare più complesso e in fondo più ostile al riconoscimento di un ruolo centrale dei partiti politici nella transizione italiana ad una fase postfascista. Infatti la decisione presa Teheran nel dicembre ’43, poco più di un mese prima del congresso, da Churchill, Stalin e Roosevelt di aprire finalmente un secondo fronte di guerra in Europa Occidentale nella primavera del ’44 , rendeva temporaneamente meno importante il fronte sud, il mediterraneo. Di conseguenza il generale Eisenhower, nominato comandante dell’esercito alleato destinato a quello che sarebbe diventato lo sbarco in Normandia, lasciava il comando del Mediterraneo all’inglese Maitland Wilson; e gli inglesi erano meno favorevoli ai partiti del comitato di liberazione nazionale e appoggiavano con maggiore impegno il governo Badoglio e la monarchia. Se in prospettiva il disegno di una egemonia inglese nel Mediterraneo e in Italia avrebbe dovuto fare i conti con la nuova potenza americana, nell’immediato il mutamento della situazione militare costituiva un ulteriore pesante impedimento all’effettivo dispiegarsi della proposta dei partiti di sinistra al congresso di Bari. Pur collocando la posizione di Croce in un contesto di moderato liberalismo costituzionale e di persistente fiducia nel ruolo dell’istituto monarchico, è tuttavia difficile non riconoscere il fondamento delle sue reazione durissime all’ordine del giorno presentato dai tre partiti, che tra l’altro avevano già registrato anche l’opposizione cattolica. Alle rimostranze per un’operazione che non aveva coinvolto sin dall’inizio le componenti moderate e liberali, Croce univa una valutazione fortemente negativa dell’ordine del giorno, perché esercitava poteri che non aveva e soprattutto non era in grado di assumere, in quella condizione di isolamento e di presunzione di un consenso di massa nelle zone liberate, che, appunto, era ancora tutto da verificare. L’irritazione, certo, era dettata anche dal timore che certe prese di posizione potessero creare ostacoli seri ad una trattativa segreta che, tramite De Nicola, lo stesso Croce aveva promosso per convincere il re a cedere i propri poteri ad un altro esponente della Casa Reale , o abdicando a favore del figlio Umberto o nominando suo luogotenente un altro esponente di Casa Savoia, in modo da salvare la dinastia, sacrificandone il rappresentante più esposto e ormai malvisto.Tuttavia le sua posizione fortemente critica non risultava infondata. Il compromesso raggiunto con la mozione finale , come è noto, denunciava la figura del re, “responsabile delle sciagure del paese” e affidava non all’Assemblea congressuale, trasformata quasi in Assemblea Costituente, ma ad una “Giunta Esecutiva permanente” il compito di predisporre le condizioni necessarie alla composizione di un nuovo governo legittimato dalla presenza di tutti i partiti. La Giunta non produsse tuttavia significativi risultati e la stessa mozione di compromesso non produsse chiare valutazioni da parte di Croce, che nei suoi Taccuini di guerra, prende atto soltanto della notizia che gli viene riferita, senza aggiungere alcuna valutazione personale, e passa senz’altro a scrivere del suo incontro con la giovane scrittrice Alba de Cespedes, nel pomeriggio dello stesso 29 gennaio, in casa Laterza. Un’accusa di astrattezza e di estremismo radicale, da parte moderata, dunque, che, sia pure con motivazione diverse (il tentativo di mantenere in piedi nel paese una monarchia costituzionale), tuttavia sembra anticipare analoghe valutazioni, che emergeranno in seguito, soprattutto da parte comunista, dopo il ritorno di Togliatti e con la cosiddetta svolta di Salerno. La pregiudiziale istituzionale, che legava l’ingresso nel governo dei partiti del Comitato di Liberazione, alle dimissioni di Badoglio e all’abdicazione del re, si faceva rilevare da quella parte, non solo divideva il fronte antifascista e gli impediva di assumere decisioni importanti in materia militare, oltre che politica, ma soprattutto rischiava di far passare in secondo piano la lotta nazionale contro i tedeschi . E questi avevano già lasciato una scia di sangue ritirandosi dalla Puglia, dove la Wermacht insieme alle SS tra il settembre e il novembre del 1943, poco prima dunque del congresso di Bari, aveva ucciso ben 234 abitanti di comunità pugliesi e lucane. Già allora, anzi, era apparso chiaro che un legame forte tra gli forzi dei primi nuclei antifascisti meridionali, prevalentemente intellettuali e urbani e i primi significativi momenti di resistenza patriottica nel Mezzogiorno era per il momento estremamente complicato, tanto che risultò agevole agli apparati locali, monarchici e badogliani ridimensionare subito la portata di quegli avvenimenti e annegare il ricordo di essi nella lunghezza inconcludente dei processi postbellici o nella eclisse degli stessi fascicoli processuali. E ora, mentre si stava svolgendo il congresso a Bari i tedeschi da Roma in su si stavano predisponendo ad un’occupazione feroce del territorio e ad una strategia di repressioni e rappresaglie più violente e radicali. La polemica politica divenne più tardi polemica storiografica e il giudizio sulla mancata soluzione della questione monarchica già a Bari si intrecciò con le perplessità suscitate dalla decisione comunista e poi delle sinistre di entrare nel governo per comporre in funzione antitedesca l’unità nazionale; una decisione,quella del PCI, sulla quale le scelte diplomatiche della Unione Sovietica avrebbero influito in maniera molto pesante. Sarebbero state queste ,ormai interessate ad un rapporto diverso con il governo Badoglio, al quale era giunto, prima ancora che dagli Stati Uniti e dall’Inghilterra, il riconoscimento diplomatico dell’URSS, a indurre il segretario del PCI a modificare un orientamento, inizialmente molto simile a quello dei rappresentanti degli altri partiti, e testimoniato da iniziali manifestazioni di incertezza e spesso di ostilità da parte dei comunisti meridionali nei riguardi di un possibile ingresso di loro rappresentanti nel governo. Non è questa la sede per riproporre la discussione di un tema sul quale nuovi documenti, da quelli sul PCI e l’Italia conservati a Mosca al diario di Dimitrov , hanno gettato nuova luce sul modo in cui venne elaborata una politica estera dell’URSS tra il ‘43 e il ‘44 e sul ruolo non passivo di Togliatti, allora dirigente del Comintern oltre che segretario del PCI, alla definizione di essa, in una logica, che pur entro i vincoli del sistema staliniano, intrecciava questioni internazionali e problemi italiani. Del resto dei limiti per così dire “illuministici” del Congresso di Bari furono ben presto consapevoli anche autorevoli protagonisti di quella vicenda e Tommaso Fiore, uno dei relatori al Congresso, nella prefazione alla ristampa degli atti del Congresso, nel 1964, riconobbe che non di più di quel che fecero avrebbero potuto fare «i partiti appena rinascenti, quando la loro forza era bambina...Noi – continuava Fiore – preparavamo il terreno per una società diversa,ma questa sarebbe diventata diversa soltanto se avessero preso coscienza le forze popolari, di sé e del proprio diritto». Il Congresso era cioè il primo passo di un cammino più lungo e difficile, che avrebbe dovuto comprendere la guerra patriottica e civile nel resto dell’Italia , una guerra dura e vera, parte non ultima della campagna d’Italia, aperta dagli angloamericani con lo sbarco in Sicilia e conclusa con la resa di Kesserling nel ’45, un fronte di guerra diventato certo secondario rispetto a quello aperto in Normandia, ma non per questo meno insanguinato dagli scontri armati, come talvolta sembra invece voler intendere certa produzione storiografica. Il Congresso fu comunque un primo passo, si diceva, e se svincoliamo quella vicenda da discussioni sostanzialmente superate e dalle altre polemiche suscitate spesso da forme non sempre corrette di uso pubblico della storia, e ne verifichiamo l’eco non solo all’interno dell’Italia divisa in due, ma in ambito internazionale, la sua rilevanza risulta notevolmente accresciuta. Negli Stati Uniti l’avvenimento verrà considerato dal «Times» la prima importante testimonianza di un processo di ricostituzione di un sistema democratico e alimentò le spinte all’interno dell’establishment rooseveltiano ad agevolare il processo di rinnovamento della società italiano, contestando la piega sostanzialmente reazionaria che l’amministrazione badogliana stava prendendo nel Mezzogiorno. Eco minore ebbe inizialmente,invece in Inghilterra nei giorni immediatamente successivi al congresso, secondo la relazione del Psychological Warfare Branch del 31 gennaio del 1944. Ma anche in questo caso i commenti di Radio Londra, e l’iniziativa propagandistica di italiani residenti in Inghilterra, dal Treves a Colosso, contribuirono ad offrire all’opposizione laburista motivi di nuovi interventi e pressioni sulla maggioranza tory e sul governo di Churchill, più diffidente verso i nuovi partiti democratici , e certamente più favorevole ad una soluzione moderata e filomonarchica della questione italiana. Un ultimo punto va infine sottolineato. Non si può sottovalutare il fatto che il Congresso di Bari costituì la prima manifestazione pubblica dei nuovi partiti politici, l’occasione in cui vennero a confronto davanti all’opinione pubblica, sia pur limitata, le culture politiche che avrebbero poi costruito l’Italia repubblicana. E’ certamente vera la fotografia di una popolazione sconfitta e affamata che circonda e applaude i carri armati alleati che entrano nelle città, di scugnizzi che chiedono sigarette e cioccolata al robusto marine, magari italo americano; ma quella fotografia va affiancata ad un’altra. E’ meno diffusa in quei primi mesi di dopoguerra nel Mezzogiorno, ma non per questo meno significativa. E’ l’immagine di vecchi antifascisti e di nuovi e più giovani dirigenti che si riuniscono al teatro Piccinni, ma soprattutto testimoniano la maturazione della consapevolezza che partecipazione e politica non devono più avere i significati dispregiativi che avevano avuto fino allora e che il coinvolgimento di settori ampi di società civile, ancora disgregata, era possibile sotto attraverso l’azione dei partiti politici, che bisognava mettere o rimettere in piedi e far crescere. E questo è l’altro dato che va sottolineato. Il Congresso di Bari è in fondo il primo momento di confronto pubblico fra le diverse culture politiche che stanno emergendo dopo la caduto del fascismo. Molti dei protagonisti di quell’avvenimento, certo, negli anni successivi, non compariranno più in prima fila nella vita politica nazionale, la stessa configurazione dei partiti risulterà in seguito ridefinita dai nuovi contesti internazionali e dalla necessità di adeguare linee e programmi ai risultati di nuove e più approfondite analisi del quadro politico e sociale del paese. Il vento del nord da un lato, il ruolo preminente svolto dalla resistenza armata al di là della linea gotica, la più forte ipoteca moderata nella vita politica meridionale, con una presenza della destra monarchica, che tarderà molto a tramontare, e soprattutto molto contribuirà a indebolire la memoria di un antifascismo e di una resistenza anche nelle regioni meridionali, contribuiranno a lasciare su uno sfondo lontano quel primo avvenimento democratico dell’Europa liberata . Resta il fatto che se il Congresso di Bari non si trasformò, né avrebbe potuto, trasformarsi in assemblea rivoluzionaria, in quel contesto di autonomia attentamente vigilata dalle truppe di occupazione, di fatto operò come qualcosa che si avvicinava tuttavia ad un assemblea parlamentare, nella quale erano rappresentati i partiti di un possibile nuovo sistema politico. E per questi l’elemento di unificazione era dato non solo dalla negazione del fascismo, una forma di antifascismo che perciò stesso si concluderebbe con la fine del regime, ma dal raccordo che essi instauravano, e in maniera stretta e consequenziale, al di là delle specifiche differenze, fra antifascismo e progetto di nuovi e diversi equilibri fra tutte le componenti della società , fra antifascismo e un percorso politico volto alla costruzione e al progressivo consolidamento di una moderna democrazia. Checché ne pensino gli storici cliometrici, e a maggior ragione nella storia politica, l’analisi controfattuale non funziona, ma certo non ci si può esimere dal riflettere su quanto avrebbe potuto incidere l’assenza di quegli avvenimenti, con l’eco che suscitarono, su una eventuale crescita di consensi al blocco monarchico conservatore nelle successive competizioni elettorali, a partire in primo luogo dal referendum istituzionale del 2 giugno ’46.



Riferimenti bibliografici essenziali

B. Croce, Taccuini di guerra, Adelphi, Milano 2004

A. Degli Espinosa , Il Regno del Sud. 8 settembre 1943-4giugno 1944, Miglioresi, Roma 1946, poi Editori Riuniti, Roma 1973

E. Di Nolfo, Sistema internazionale e sistema politico italiano: interazione e compatibilità, in La crisi italiana, a cura di L. Graziano e S. Tarrow, Einaudi, Torino 1979

N. Gallerano, La lotta politica nell’Italia del Sud dall’armistizio al Congresso di Bari, <<Rivista Storica del Socialismo>>, n.28 (maggio-agosto 1966) , anno IX

V.A.Leuzzi , L. Cioffi , Alleati,monarchia, partiti nel Regno del Sud, Schena Editore, Fasano ,1988



* Università di Bari.





PROLUSIONE - 4 febbraio 2005
- Oscar Luigi Scàlfaro


  BARI - 11 febbraio 05
  - Luciano Canfora

 Luigi Masella

  - Vito Antonio Leuzzi


NAPOLI - 16 febbraio 2005
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GENOVA - 17 marzo 2005
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