Il percorso della Libertà

Italia 1943 - 1945

Bari, Napoli,
Catania, Roma,
Cagliari, Bologna,
Padova, Torino,
Firenze, Genova,
Trieste, Milano


Il cammino della libertà e della democrazia: 1945-2005

Francesco Paolo Casavola  *


Il 25 aprile ricordiamo nel calendario delle feste civili della Repubblica la Liberazione. Se invece di pronunziare l’espulsione di rito “festa della Liberazione” isoliamo l’epesegetico, la Liberazione rivela tutta la problematicità del suo significato. Con lo scorrere del tempo, le generazioni che non hanno potuto sperimentare il vissuto di quei giorni ormai lontani, sono prive di una intuizione globale e immediata di quanto quella parola contiene in sé. E’ perciò un dovere civile per quelli cui la vita ha consentito di unire quel tempo all’età dei nostri più giovani concittadini di oggi di spiegare che cosa significò quella parola quanto fu coniata e cominciò ad essere usata. Innanzi tutto a mano a mano che la V Armata americana e l’VIII Armata britannica risalivano la penisola rispettivamente lungo il versante tirrenico e quello adriatico il territorio che lasciavano dietro di sé era indicato come Italia liberata. Liberata dalle truppe naziste ad opera degli Alleati, ch’erano dalle popolazioni acclamati come liberatori. Un primo paradosso: Liberator si chiamava il bombardiere pesante americano che in centinaia di esemplari oscurava i cieli delle nostre città che ne restavano devastate, e pure nei rifugi antiaerei ciascuno temeva per la propria morte ma non odiava quegli aviatori che potevano da un istante all’altro determinarla. Viceversa nell’Italia occupata le popolazioni civili avevano paura dei tedeschi e dei fascisti, malgrado i tedeschi fossero stati nostri alleati fino all’armistizio dell’8 settembre 1943, e i fascisti fossero stati nella stragrande maggioranza gli italiani fino al 25 luglio di quello stesso anno, data della deposizione di Mussolini e sua sostituzione con il maresciallo Badoglio. Una profonda crisi politica passava in quei mesi dagli eventi nelle coscienze individuali e si faceva crisi psicologica e morale. Senza un’adeguata rilevazione del pathos con cui le esistenze delle generazioni italiane attraversarono le drammatiche vicende degli ultimi anni della guerra, ch’era iniziata nel 1940, non si ha una piena comprensione della esplosione catartica, davvero una liberazione, che salutò la fine delle operazioni di guerra in Italia. Gli storici che non hanno convissuto con i fatti che rimettono razionalmente in ordine, ma che dispongano solo delle loro tracce documentali, da diari privati ad atti ufficiali, per indicare solo le tipologie che racchiudono una estesa gamma di fonti, non riusciranno a restituire la realtà emotiva e cioè compiutamente umana di accadimenti che la crescente lontananza nel tempo irrigidisce in fredde e parziali tesi interpretative. La Liberazione non è soltanto il punto di conclusione della guerra in Italia. Se fosse solo questo ne sarebbero protagonisti soprattutto gli anglo-americani. Nel nord-Italia la resistenza contro i tedeschi e il governo della Repubblica fascista era guidata da un Comitato di Liberazione. La Liberazione era stata dunque, prima del 25 aprile del 1945, una meta da raggiungere attraverso una dura lotta non solo contro lo straniero ma nello scontro tra italiani. La storiografia cosiddetta revisionista sembra scoprire nella Resistenza la guerra civile. Chi ha vissuto tra infanzia e adolescenza a nord della linea Gustav e poi a nord della linea Gotica dall’inverno 1943-1944 alla primavera del 1945 non ha avuto bisogno di leggere dai libri che fu guerra civile. Non si dia alcuna valutazione negativa a questa espressione. Gli Stati Uniti d’America, negli stessi anni 1860-1865 in cui nell’Italia meridionale si combatteva contro il brigantaggio, ebbero la guerra di secessione tra nordisti e sudisti. Ogni guerra tra connazionali è guerra civile. Ma il bilancio del giudizio storico va fatto con le poste giuste. La Resistenza si batteva per un ideale di liberazione da un regime che aveva fatto precipitare il Paese nel baratro del secondo conflitto mondiale. La Repubblica dei fascisti, ostaggio della Germania nazista, continuava il massacro inutile di una guerra già, nella convinzione finanche dei tedeschi, del tutto perduta. Come dire chi si batteva consapevolmente e volontariamente, in condizioni impari per numero e per armamento, per un avvenire di libertà fortemente voluto, e chi si batteva con la copertura delle forze germaniche e per obbligo di Stato per andare verso il disastro. Nelle guerre civili potranno contarsi eroi e martiri da una parte e dall’altra, ma non si potranno considerare equivalenti le scelte giuste e le scelte sbagliate. Ci furono nelle stesse famiglie fratelli che andarono nella resistenza e fratelli che si arruolavano nell’esercito fascista. Divisione drammatica, che basta da sola a simboleggiare il contributo italiano e perciò non solo anglo-americano alla Liberazione. Perché lo strazio degli affetti familiari sacrificati nella divisione dell’odio politico è il prezzo più pesante in ogni lotta tra uomini, che si aggiunge al numero dei morti in combattimento, dei fucilati e torturati, degli innocenti civili vecchi, donne, bambini, preti uccisi in massa in azioni di rappresaglia. Certo, si può e anzi si deve analizzare le tante cause di scelte sbagliate, da una concezione tragica dell’onore militare che spinse molti a restare a fianco dell’alleato germanico alla paura delle sanzioni per diserzioni o resistenza alla leva, da una ostinata fedeltà agli ideali politici del fascismo alla incomprensione altrettanto cieca nelle opposte ragioni di un antifascismo condiviso da cattolici, comunisti, liberali, o semplicemente monarchici. Le scelte personali sono rievocabili più nell’arte di un’opera narrativa o di un film (a questo proposito non va dimenticato “Roma, città aperta” di Rossellini, girato proprio nel 1945, dopo la liberazione della capitale) che non nei libri degli storici. Ma a decidere tra scelte giuste e scelte sbagliate non vale, non deve valere, il criterio estrinseco di chi ha vinto e di chi ha perduto. Il revisionismo, che dovrebbe essere alimento di ogni progresso storiografico, diventa esperimento polemico se si dedica a difendere le cause dei vinti. Non l’esito, ma il fine porta a distinguere tra le scelte. E accanto al protagonismo delle persone occorre saper ascoltare quello del popolo, nell’accezione tolstoiana impiegata nella meditazione conclusiva di Guerra e Pace. Il popolo seppe distinguere tra Liberazione e il suo contrario.

La mia generazione ricorda ancora come si estraniarono italiani e tedeschi nel settembre del 1943. Tolte le eccezioni legate al mondo interpersonale, i sentimenti collettivi furono netti. I tedeschi riconobbero nell’armistizio italiano la vocazione storica degli italiani al tradimento. Esistono nella tradizione dei popoli esiti di psicologia collettiva nati da eventi che pur avrebbero dovuto essere cancellati nella loro contingenza. Il ricordo del passaggio dell’Italia dalla Triplice Alleanza alla Intesa, con la dichiarazione di neutralità dell’agosto 1914, era ancora tenace nell’anima tedesca. Così come per converso la prima guerra mondiale combattuta dagli italiani contro gli austro-tedeschi a completamento dell’indipendenza nazionale nella liberazione delle terre irredente al confine nord-orientale, fece subito rivivere alla vista delle divise e bandiere delle truppe germaniche che scendevano dal Brennero ad occupare l’Italia l’immagine del nemico storico. Gl’italiani malgrado la propaganda fascista (tra le canzoni del tempo di guerra trasmesse dall’EIAR ricorderò Camerata Richard benvenuto), non avevano mai fino in fondo accettato l’alleanza con la Germania nazista.

Se non ostilità, il distacco manifestato coralmente dalle popolazioni rivelò finalmente con spontaneità e sincerità (anche questo era liberazione) un sentimento represso dal regime, di cui taluni esponenti, come Galeazzo Ciano, erano peraltro anch’essi partecipi. Di fronte a questo popolare sentimento antitedesco, i fascisti apparvero, schierati accanto ai germanici, come non più integrati nella nostra comune nazionalità Dei fascisti si cominciò a temere come e più dei tedeschi. La percezione della nazione divisa non solo nel territorio e nell’ordinamento dello Stato, il Regno d’Italia nel sud, la Repubblica Sociale nel nord, ma anche tra concittadini, fascisti e antifascisti, attraversò tutti i ceti sociali dalla borghesia al proletariato, nelle città e nelle campagne. Ma non era la morte della Patria, come pure oggi si teorizza a distanza. La frustrazione della sconfitta verrà dopo. Altrimenti non si sarebbe potuto combattere nella Resistenza e non si sarebbe potuto dare un contenuto ideale alla Liberazione. La Patria, ciascuno sperava di rivederla, insieme con la propria sopravvivenza, di nuovo unita da nord a sud, e magari rinnovata come Repubblica, in luogo della monarchia risorgimentale, con un Parlamento democratico, con libertà di opinioni politiche nella stampa e nei partiti, con gli stranieri fuori dai nostri confini, non solo i tedeschi, ma anche gli alleati. La Liberazione fu anche questo, sogno di una Patria pacifica e non bellicosa, cittadini non oppressi dalla censura, da delatori della polizia politica, da Tribunali speciali, da discriminazioni razziali, da imposizioni culturali xenofobe, da deliranti esaltazioni nazionalistiche. Liberazione significa fine dell’incubo totalitario «tutto nello Stato, nulla fuori o contro lo Stato». La Liberazione apriva la via ad una costituzione democratica in cui i valori fondamentali fossero quelli della persona umana e della società in cui la persona si realizza, mentre lo Stato è lo strumento ordinato a riconoscerli, proteggerli e promuoverli. Il cammino della Liberazione a partire dal 1945 ha queste tappe: 1946 la Repubblica e la Costituente; 1948 la Costituzione; il decennio 1950 la Ricostruzione; il decennio ’60 il miracolo economico; il decennio ’70 gli anni di piombo; il decennio ’80 la crisi della partitocrazia; il decennio ’90 la transizione costituzionale. Perché intitolare tante e diverse fasi della storia repubblicana alla Liberazione? Non certo soltanto per la banale considerazione che senza l’uscita dell’Italia dal fascismo e dalla guerra la sequenza storica successiva non sarebbe stata possibile. Piuttosto perché quei decenni in cui abbiamo schematizzato la distanza dei nostri giorni da quelli della Liberazione si caratterizzano per un diverso rapporto dialettico con lo spirito della Liberazione. Costituzione, ricostituzione e sviluppo del Paese sono inveramento dei sogni e progetti di quanti vissero la lotta e la vittoria della Liberazione per una società più libera e prospera e moderna. Gli anni della contestazione studentesca e poi del terrorismo stragista a destra e brigatista a sinistra sono il segno di una eclissi dello spirito della Liberazione nell’animare una nuova politica di collaborazione tra le classi e i partiti che fino ad allora le avevano rappresentate. Freni derivanti dalle tensioni internazionali tra Unione Sovietica e Stati Uniti d’America, istanze di emancipazione dei gruppi sociali che andavano mutando la morfologia della società senza più confini certi tra proletariato contadino ed operaio e ceti medi, investendo le strutture della famiglia e del matrimonio, e sollecitando rivendicazioni femministiche e giovanili, non trovavano risposte in un establishment che paventando il collasso delle istituzioni cercava protezione in solidarietà occulte di lobbies o di legge massoniche mentre in parallelo si organizzavano e operavano i gruppi clandestini dell’eversione. Lo spirito della Liberazione ebbe ragione alla fine di quel decennio tragico che ebbe le centinaia di assassinati dai terroristi tra i quali Moro e Bachelet, per l’isolamento in cui i cittadini e i lavoratori abbandonarono stragisti e brigatisti senza farsene né suggestionare né intimorire e per la fermezza con cui i partiti di governo e di opposizione reagirono dinanzi ai ricatti estremi dei terroristi. A guardar bene anche quella fu, con modalità inedite, una cruenta lotta di liberazione.

Negli anni ’80 la Repubblica dei partiti cominciò ad accusare una crisi di rappresentanza democratica. Le si andava contrapponendo una Repubblica dei cittadini, che evidentemente non si rispecchiavano più nei partiti che avevano espresso i Comitati di Liberazione Nazionale e l’Assemblea costituente e i Governi e i Parlamenti delle legislature repubblicane. Dietro quelle rappresentanze non c’erano più le classi dirigenti che avevano avuto leader protagonisti della lotta antifascista e poi delle politiche economiche e sociali della ricostruzione del decennio ’50 e dello sviluppo del decennio ’60. Mentre si imputavano le insufficienze dei partiti alla Costituzione del 1948 e si cercavano modelli di riforma della forma dello Stato e di governo, scoppiava la questione morale sulla dilagante corruzione politico-amministrativa. Tangentopoli dava inizio alla decapitazione di un intero ceto parlamentare e di governo mentre le commissioni bicamerali della IX, XI, e, negli anni ’90, della XII legislatura concludevano senza un nulla di fatto i loro lavori di progetti di revisione costituzionale. Lo scioglimento formale di partiti di massa che avevano accompagnato l’evoluzione politica del Paese, Democrazia Cristiana, Partito Socialista Italiano, Partito Comunista Italiano, segna, secondo una convenzione ormai acquisita da storici, politologi, politici e mass-media, la fine della I Repubblica. La incerta transizione costituzionale si aggrava nella presente XIV legislatura con una revisione che appartiene alla volontà della sola maggioranza di governo. L’ora presente è la più grave che il Paese vive dopo quel giorno della Liberazione di sessanta anni fa.

In più i problemi della vita italiana non sono più prospettabili e risolvibili sulla lavagna delle questioni nazionali. Siamo nel contesto di una costituzione europea; siamo in un processo di globalizzazione dell’economia; attraversiamo una fase di grande disordine internazionale con un terrorismo fondamentalista islamico diffuso in ogni continente, con la Organizzazione delle Nazioni Unite che stenta a realizzare i suoi fini statuari a cominciare da quello di prevenire o sedare il flagello delle guerre; condividiamo con tutti i paesi della terra i pericoli derivanti dall’aggravarsi delle alterazioni climatiche e degli squilibri ecologici; siamo un territorio di sbarco e di insediamento per flussi immigratori da paesi poveri dell’Asia e dell’Africa; la vita sociale è angustiata dai dilemmi della bioetica, insidiata dalla criminalità organizzata, dalla devianza minorile, resa insicura dalla precarietà del lavoro e dalla emigrazione di capitali e imprese all’estero.

Lo spirito della Liberazione che fu sogno e progetto di futuro dopo gli odi e le lotte per vincere il passato sembra smarrirsi nella complessità dei fattori in campo in ogni parte del nostro orizzonte.

Occorre oggi dotarsi di conoscenze e di fantasia operativa per affrontare come cittadini consapevoli delle proprie libertà costituzionali e dei propri diritti le difficoltà che nei sessanta anni trascorsi erano riservate ai partiti, alla burocrazia, alla mano pubblica. Liberazione vuol forse significare nel secolo nuovo cittadinanza attiva non solo nel dare investitura alla rappresentanza democratica ma anche nell’esercitare a sussidio delle istituzioni ogni iniziativa utile al bene comune e alla pace.




* Università di Napoli.





PROLUSIONE - 4 febbraio 2005
- Oscar Luigi Scàlfaro

BARI - 11 febbraio 2005
- Luciano Canfora
- Luigi Masella
- Vito Antonio Leuzzi


  NAPOLI - 16 febbraio 05

 Francesco Paolo Casavola

  - Guido D'Agostino
  - Paolo De Marco
  - Isabella Insolvibile


CATANIA - 22 febbraio 2005
- Giuseppe Barone
- Rosario Mangiameli
- Salvatore Lupo

ROMA - 3 marzo 2005
- Claudio Pavone
- Alessandro Portelli

CAGLIARI - 7 marzo 2005
- Manlio Brigaglia
- Giangiacomo Ortu

BOLOGNA - 9 marzo 2005
- Luciano Casali
- Antonio Parisella

PADOVA - 14 marzo 2005
- Angelo Ventura
- Emilio Franzina

TORINO - 16 marzo 2005
- Gianni Oliva
- Claudio Dellavalle

FIRENZE - 17 marzo 2005
- Michele Battini
- Ivano Tognarini

GENOVA - 17 marzo 2005
- M. Elisabetta Tonizzi
- Antonio Gibelli

TRIESTE - 19 marzo 2005
- Raoul Pupo
foto d'archivio
carte storiche
- Enzo Collotti

MILANO - 22 marzo 2005
- Mariuccia Salvati
- Claudio Dellavalle
- Gianni Perona



 
 
 
Inizio pagina - Indice
Precedente - Successiva