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Firenze, agosto 1944: la liberazione e l’autogoverno
Ivano Tognarini
Il 12 agosto 1944, 24
ore dopo che il Comitato Toscano di Liberazione Nazionale aveva dato
il segnale, con il suono della martinella, dell’insurrezione
della città e dell’assunzione dei poteri civili e
militari, giungeva un messaggio particolarmente significativo dal CLN
di Grosseto, la prima città toscana liberata:
“Apprendiamo in questo momento la
liberazione della città cara a tutti gli italiani ed in
particolare a noi Toscani. Abbiamo trepidato per Voi e per Essa
stretti nell’ansia per le ignote rovine e le ignote vittime.
Tuttavia siamo con Voi nella gioia della liberazione. A mezzo Vostro
salutiamo tutti i Vostri concittadini e con lo stesso Vostro orgoglio
esaltiamo il valore ammirabile dei Patriotti che hanno combattuto per
difendere la loro Città con la passione di figli e la
dedizione di chi sa di lottare per un’idea che non può
morire. Che il Vostro lavoro, nella collaborazione di tutti i Partiti
democratici, sia largamente fecondo per il popolo italiano”.
In effetti la
consapevolezza della unicità, della eccezionalità di
ciò che era accaduto o che addirittura stava ancora accadendo
a Firenze, era abbastanza diffusa e generalmente condivisa.
Gli effetti di questo
stupore e di questa ammirazione si diffusero rapidamente e rimasero
intensi anche nelle settimane successive nel clima, molto
particolare, di quei giorni. Come riferiva un verbale del CTLN,
redatto poco più tardi, il 29 agosto, tornando da Roma, il
Prof. Calamandrei portava la notizia che nella città c’era
stata “un’ondata di letizia, di entusiasmo e di grande
ammirazione per l’operato dei Patrioti che sono riusciti a
liberare Firenze dalla tirannia tedesca”. Aggiungeva ancora:
“Le
condizioni dell’Italia andranno mano a mano migliorando se
verranno portati dei mutamenti alle deliberazioni di Teheran [che]
consideravano l’Italia un paese nemico da occupare. Il Governo
Italiano dovrà prendere atto della nuova situazione creatasi
in Firenze e che da qui sarà simile per tutta l’Alta
Italia. Con questo l’Italia ha dimostrato di aver fatto un gran
passo verso la libertà e il progresso”.
Non erano dunque
campate in aria, né retoriche le parole di Carlo Levi che un
anno dopo avrebbe scritto:
“Firenze aveva dovuto inventare la
guerra partigiana, la guerra di città, i Comitati di
Liberazione come organi di governo. [...] Firenze mostrava la
strada della guerra popolare italiana, della rivoluzione popolare
italiana. Non vi erano precedenti. [...] La battaglia di Firenze
fu la prima battaglia cittadina; il governo del CTLN fu il primo
autogoverno popolare italiano. L’aver agito, nella lotta armata
e nell’amministrazione, con il senso sempre presente di un
compito nazionale da attuarsi attraverso tutte le particolari
manifestazioni di libertà, è il valore storico della
liberazione di Firenze”.
E mentre
le parole di un grande spirito come Umberto Saba, seppure consapevole
della liberazione finalmente conquistata (“Da una burrasca
ignobile approdato / a questa casa ospitale, m’affaccio / -
liberamente alfine – alla finestra”
), mostravano una Firenze che “taceva assorta nelle sue
rovine”,
il corrispondente del “Times” sosteneva che questa città
era stata “teatro di uno spontaneo esperimento di autogoverno,
che può avere una considerevole influenza nel determinare
quale sistema politico dovrà succedere al fascismo”.
I primi ad essere
consapevoli del rilievo degli eventi che si vivevano e delle scelte
che si operavano, erano proprio i protagonisti della lotta di
liberazione, i membri stessi del CTLN.
Alle ore 8
dell’11 agosto, evacuata la città dalle truppe tedesche,
i membri del Comitato si insediavano in Palazzo Medici Riccardi
unitamente al Comando militare.
Immediatamente deliberavano di invitare la popolazione a ritirarsi
entro le case per ragioni di prudenza e davano disposizioni perché
le forze volontarie fossero dislocate alla periferia. Si delibera
anche la diffusione di un manifesto alla popolazione. Quindi preso
atto che il Governo militare alleato (AMG) stava provvedendo ad un
invio di viveri e di acqua nella città, si predisponevano le
misure necessarie per il trasporto e la destinazione delle forniture.
Infione venivano deliberati provvedimenti per la caccia ai franchi
tiratori.
Nel corso
della stessa riunione il Comandante affermava che senza ritorni in
forze considerevoli da parte del nemico la nostra linea sarebbe stata
in grado di reggere; tuttavia era necessario economizzare le
munizioni, per cui erano state date istruzioni di sparare soltanto
quando si fosse sicuri del bersaglio. In quel momento le linee erano
tenute da 600 uomini. Il Commissario politico osservava, per fare sì
che ci si rendesse conto della problematicità della
situazione, che i Tedeschi avessero potuto fare una spedizione in
città, tanto di sera che di giorno, solo che lo volessero. Per
parte sua il presidente Ragghianti informava che gli Alleati erano
rimasti sorpresi molto favorevolmente per il lavoro tecnico eseguito
dal Comitato ed avevano perfino dichiarato che a Firenze si erano
trovati di fronte ad un fatto nuovo. Nonostante tutto però,
aggiungeva, restava necessario che il Comitato ottenesse un
riconoscimento giuridico e non solo di fatto, tanto più che
per alcuni giorni aveva operato come governo ed al suo interno i
partiti politici si erano comportati di conseguenza.
A riprova di quanto la situazione stesse rapidamente cambiando e le
novità si inseguissero, il Comando militare comunicava che gli
Alleati avevano richiesto che la parte centrale di Firenze, compresa
tra Piazza Stazione, Via dei Pucci, Via dei Benci, Ponte alle Grazie,
fosse immediatamente presidiata dai patrioti ed epurata dai franchi
tiratori per rendere possibile l’ingresso in città,
durante la notte ad alcune pattuglie indiane.
Ma in un
primo tempo il Ctln non intendeva enfatizzare l’eccezionalità
del caso di Firenze e soprattutto non voleva che si ipotizzassero
contrapposizioni con quanto era accaduto a Roma e già il 7
giugno 1944, immediatamente dopo la liberazione, si era affermato che
la capitale era stata liberata ed era uscita quasi incolume dalla
guerra anche perché i nazisti non avevano osato fare di una
città piena di Patrioti decisi a combatterli, un baluardo per
la loro ultima difesa.
Da qui scaturiva l’appello rivolto ai cittadini toscani a
difendere “con tutti i mezzi e tutte le forze il proprio paese,
la propria casa, il proprio lavoro, la famiglia, la vita. Tutti hanno
il dovere di trovarsi al loro posto di combattimento. Tutti devono
meritarsi la libertà, tutti devono operare per la resurrezione
e l'avvenire della Patria”. Invece si ribadiva con forza il
ruolo del Comitato toscano di liberazione nazionale, come
rappresentante del popolo, unica autorità politica dell'Italia
occupata, in grado di “proclamare la mobilitazione generale
di tutti i cittadini per la resistenza e la lotta contro
l’invasore” e di assumere sotto il proprio comando e
controllo politico tutte le formazioni partigiane della regione e
tutti i capoluoghi di provincia e i centri minori.
Una riflessione a
distanza di sessanta anni su questi eventi, implica lo scioglimento o
quanto meno la ripresa in considerazione di una serie di nodi su
questioni rilevanti connesse sia al contesto locale, sia agli
sviluppi complessivi della situazione nazionale e della guerra in
Italia ed in Europa.
Il ruolo di guida che
il CTLN seppe assumere e mantenere soprattutto in ambito cittadino e
provinciale e, successivo anche su gran parte della regione
La capacità di
proclamare e di dare un seguito concreto alla parola d’ordine
della mobilitazione generale che ebbe due effetti diretti e
tangibili: la manovra di avvicinamento alla città delle
formazioni partigiane in montagna e alla macchia, l’intensificazione
delle azioni di sabotaggio, di propaganda e di vera e propria
guerriglia in città. Il tutto come preparazione della
battaglia finale, quella che portò alla liberazione di
Firenze. Una domanda da porsi, a questo proposito, deriva dalle
parole stesse di chi ha scritto per primo ricordando o ricostruendo
quegli eventi, come Carlo Levi, o un inviato di uno dei più
prestigiosi giornali del mondo in quel momento, il Times, o la
redazione de “Il Ponte”: quella di Firenze fu una
insurrezione popolare, una battaglia cittadina, una rivoluzione? Per
rispondere occorre prendere in considerazione alcuni dati di fatto,
oltre che questioni di carattere concettuale. In primo luogo il
numero delle persone coinvolte o partecipi dell’evento ed il
loro comportamento, le loro scelte, il loro livello di consapevolezza
e di convinzione. Una prima considerazione ci assicura che, tra
cittadini armati e volontari che erano perfino privi di armi anche
minime, i partecipanti agli eventi furono molte migliaia. Nessuna di
queste persone agiva perché costretto o precettato. Era solo
l’autorevolezza, il prestigio del CTLN e le opzioni ideali e
politiche individuali che erano riuscite a mobilitare le persone.
Si trattò di
guerra civile? A giudicare dai dati finora disponibili, l’uso
di questa categoria storiografica non aiuta molto ad approfondire il
senso di ciò che accadde a Firenze, non solo nel periodo più
incandescente della battaglia di agosto, o del periodo preparatorio
del mese di luglio, ma neppure in tutti i mesi della lotta
clandestina, dopo l’8 settembre 1943 fino alla liberazione.
Comunque, ravvicinando l’analisi sui giorni dello scontro
aperto e diretto con i nazifascisti, non sembra che le due parti
possano essere presentate come contrapposte, ma con pari dignità
e con equivalenti riferimenti ideali. Coloro con cui si scontrarono i
partigiani, i patriotti di città, i volontari, perfino i
cittadini, furono, oltre ai tedeschi, reparti di SS italiane e gruppi
di franchi tiratori o cecchini che sparavano non solo su civili ma
anche su donne, crocerossine, medici, cappellani, soccorritori di
feriti e portantini. Lo scontro, di cui erano protagonisti tanti
civili e che vedeva compiere atti efferati, aveva come suoi
obbiettivi, ed ebbe come suoi risultati la liberazione della città
dall’occupante straniero e nemico, e la riconquista della
dignità nazionale da parte degli italiani. La svolta di
Firenze fu anche il punto culminante della lotta contro l’attendismo,
che avrebbe rischiato di togliere agli italiani qualsiasi possibilità
di riscatto dell’onore nazionale e di proseguire nella
ricostruzione di quel sentimento patriottico, che era stato
profondamente corrotto dal fascismo e che sembrava essere naufragato
definitivamente con l’armistizio dell’8 settembre 1943.
Su un versante più
caratterizzato dalla dimensione locale, si potrebbe tentare un
bilancio dei risultati, o meglio dei successi e dei fallimenti degli
obbiettivi che l’azione del CTLN si era prefissi. Ma anche in
questo caso sarà necessario tenere conto dei molti fattori che
influirono sugli sviluppi e sugli esiti dell’impresa, ad
esempio le carenze che i patrioti dovettero registrare sul piano
degli armamenti e dei rifornimenti, lo squilibrio pesante tra le due
parti nella dotazione di artiglierie e di mezzi blindati, la stessa
preparazione militare, non sempre adeguata, di molti volontari che
vollero partecipare alla battaglia. Tra i dati negativi occorre
annoverare il mancato salvataggio dei ponti, soprattutto di quelli
sull’Arno, per i quali furono fatti generosi tentativi di
impedire la distruzione con il pagamento di un prezzo in vite umane,
ma senza raggiungere l’obbiettivo. Anche l’attacco alle
truppe nemiche, che avrebbe dovuto svilupparsi mentre erano in
ritirata, fu fortemente ridimensionato dalla tattica prescelta dai
tedeschi e dai ritardi e dalle esitazioni degli alleati.
Resta il fatto, da
annoverare tra i dati positivi, che la città, resa libera
dalla ritirata decisa dai nazifascisti, fu difesa dai patrioti e dai
partigiani, pur con enormi difficoltà e con la consapevolezza
degli enormi rischi che ogni giorno si correvano, mettendo il CTLN in
condizioni di governare e creando una situazione idonea alla ripresa
della vita civile. La battaglia di Firenze non fu né una
marcia trionfale, né uno “sbandieramento”, come
qualcuno credeva, illudendosi ingenuamente. Fu uno scontro duro,
costoso in termini di vite umane, rischioso ma difficilmente
evitabile, i cui risultati però divennero punto di
riferimento per il successivo svolgimento della campagna d’Italia,
fino alla liberazione del Nord, dove le nuove basi nel rapporto tra
resistenza e alleati, divennero elemento chiave. In questo contesto
il ruolo del CTLN fu al tempo stesso rivoluzionario e legittimo dal
punto di vista istituzionale, capace di aprire strade nuove senza
incrinare il senso di appartenenza dei cittadini ma anzi rafforzando
la coscienza che si stava costruendo la nuova Italia.
1. il CTLN e la
svolta di Firenze
L’insurrezione
e l’assunzione dei poteri fu una scelta consapevole e ponderata
ed al tempo stesso fu la conseguenza del fallimento di ogni altra
ipotesi di transizione di regime, dall’occupazione nazifascista
all’arrivo degli alleati, dalla guerra alla fine della guerra.
Già
il 2 novembre 1943
il CTLN si era dichiarato pronto ad assumere le responsabilità
nell'organizzazione della lotta antifascista e antinazista, perché
“la guerra di liberazione non poteva intendersi semplicemente
come fatto militare, come schieramento di alcune forze sul fronte
antitedesco”, riducendosi in questo caso ad un “opportunistico
cambiamento di fronte di un paese battuto”, ma avrebbe invece
dovuto interpretare e guidare “la rivolta del popolo italiano
contro fascismo e nazismo per il trionfo delle idealità civili
da questi negate”. Il CTLN perciò si preparava fin da
ora ad assumere, appena possibile, l'intero controllo politico e
amministrativo locale non riconoscendo, al di sopra di sé,
altra autorità se non quella del Comitato di liberazione
nazionale (CLN) o del governo emanazione dello stesso CLN. Il 3
gennaio
procedeva alla costituzione di un Comando regionale, composto di un
Comandante, un Ufficiale di stato maggiore ed un Commissario
politico, che avrebbe assunto l’effettiva direzione di tutte le
forze armate operanti nella regione. Ma soprattutto si decideva di
costituirsi in governo provvisorio della città e della
provincia di Firenze, formato da tre delegati per ognuno dei partiti
rappresentati nel CLN, con pieni poteri. Non appena la situazione
militare lo avesse reso possibile, tale governo si sarebbe insediato
in permanenza o in Comune o in altra sede che sarà ritenuta
opportuna in base alla situazione del momento. Primo provvedimento
che il governo provvisorio avrebbe dovuto adottare, sarebbe stata “la
proclamazione del diritto del popolo italiano di darsi, attraverso
una Costituente, forme istituzionali scelte liberamente” e
della decadenza di “tutte le istituzioni responsabili della
rovina del popolo italiano”.
Il 15
giugno, essendo stati riconosciuti dal Governo nazionale
d'intesa col Comando alleato i CLN che così avrebbero dovuto
assumere l'esercizio dei poteri esecutivi ed il comando delle
forze armate, il CTLN si autoattribuiva tale delega quale solo
rappresentante legittimo del popolo toscano nelle province di
Firenze, Pistoia, Pisa, Livorno, Lucca, Arezzo, Siena e Grosseto, ed
istituiva nelle singole province i rispettivi Comitati
provinciali come propri organi locali. Intanto si era aperta la
discussione ed avviata la procedura per giungere alla designazione
delle personalità cui attribuire gli incarichi di governo
locale, dal sindaco al presidente della provincia e nelle sedute del
4 e 6 luglio, si stabiliva che i criteri di scelta delle persone
dovevano tener conto della parte effettivamente presa nella
lotta contro il fascismo e per la liberazione. L’8 luglio si
ribadiva che nel momento in cui i tedeschi avessero abbandonato
la città, il Comitato si doveva costituire in Governo
provvisorio assumendo tutti i poteri ed estendendo la sua
giurisdizione possibilmente a tutta la regione. Subito dopo si
procedeva alla nomina di personalità tra cui figuravano uomini
come Calamandrei, Raffaello Ramat, Attilio Mariotti, Ranuccio
Bianchi Bandinelli, Alberto Bertolino, Attilio Momigliano, Eugenio
Montale e tanti altri di rango intellettuale e civile analogamente
elevato. Nell’esaminare la situazione militare, e più
specificatamente i piani militari, il comandante informava che, a
parte le colonne in ritirata, si riteneva che sarebbero stati
riservati al mantenimento dell’ordine ed ai servizi di polizia,
400 gendarmi e 2 compagnie di paracadutisti. Le forze della
liberazione, nelle condizioni in cui erano costrette ad operare,
avrebbero potuto essere ammassate al massimo con non più di 12
ore di anticipo rispetto all’attacco e sarebbero state in grado
di sostenere solo un brevissimo combattimento di 3 o 4 ore al
massimo. Lo spirito combattivo delle squadre inizialmente non era del
tutto adeguato poiché, una parte almeno dei volontari aveva in
mente la convinzione di doversi preparare “ad una sbandierata”,
più che ad un vero e proprio combattimento. Però molto
era stato fatto per sradicare questo sentimento ed ora si era
finalmente in condizione di affrontare “la prova con buon
spirito”. Nel caso che i tedeschi fossero entrati in città
dandosi al saccheggio ed il popolo avesse reagito con una
insurrezione, il Comando sarebbe stato in grado di mettersi alla
testa della lotta perché nel piano era già stato
previsto l’inquadramento delle nuove forze. Tuttavia si sarebbe
avuto il massimo riguardo per la popolazione, ed ove fosse stato
necessario svolgere operazioni belliche, le si sarebbe dato modo di
mettersi al sicuro.
Prendendo atto della
situazione che si era creata a Siena, ci si rendeva conto che sarebbe
occorso condurre accorte trattative con gli alleati, facendo loro
trovare, al momento dell’arrivo, situazioni di fatto
rispondenti sia alle loro esigenze sia alle necessità della
vita cittadina. Prioritariamente si sarebbe dovuto evitare che gli
alleati al loro arrivo disconoscessero il Comitato e prendessero
contatti diretti con persone di loro scelta o con determinati partiti
escludendone altri. Il Comitato avrebbe dovuto essere riconosciuto
come l’unico rappresentante delle forze politiche cittadine.
Il 21 luglio definendo con ancora più
precisione e decisione la propria posizione, tenuto conto
dell’evolversi, sempre più rapido degli eventi, il CTLN
aveva affermato la volontà di rendersi padrone di fatto della
città prima dell’arrivo degli alleati ,
rifiutando al contempo qualsiasi dichiarazione, o avviso, o promessa,
o minaccia, od offerta di trattativa da parte dei tedeschi e dei
fascisti che dovevano essere attaccati in ogni modo e prima
possibile. Era importantissimo non lasciarsi prendere alla
sprovvista, come era avvenuto a Roma ed a Siena dove l’entrata
delle truppe alleate era stata anticipata dal Comando di circa 10 ore
rispetto a quanto preannunciato.
Il 1 agosto 1944 si
approvava il testo di un manifesto per l’assunzione dei poteri.
Il 9 agosto, giunta una
dichiarazione alleata che si riserva di indicare il momento utile per
far entrare in azione le forze patriottiche, il CTLN decideva di dare
mandato al Comandante di passare all’azione non appena lo
avesse ritenuto possibile, perché perdere un solo momento
avrebbe significato “prolungare l’agonia della città”,
mentre la volontà dei fiorentini era che l’azione contro
i nazisti fosse sviluppata ad ogni costo. Intanto il prof.
Ragghianti, inviato in missione in Oltrarno per trattare col Comando
alleato, il 10 agosto pone il problema di una eventuale azione di
carattere militare e chiede che il CTLN sia riconosciuto come
Rappresentante del Governo nazionale.
L’insediamento
del CTLN in Palazzo Medici Riccardi al mattino dell’11 agosto,
e i rintocchi della Martinella che danno alla popolazione il segnale
dell’insurrezione, sono atti che segnano una profonda rottura
in senso rivoluzionario e pongono le premesse per l’avvio
dell’esperimento di Firenze, per quella svolta che diventerà
punto di riferimento per la Resistenza italiana. I primi
provvedimenti adottati, vasnno tutti in direzione dell’affermazione
del ruolo del CTLN sia sul piano politico e amministrativo
(l’insediamento del governo della città e della
provincia), sia sul piano militare (assunzione di compiti ben precisi
nella lotta per la liberazione dai nazifascisti in accordo con gli
alleati: il Comando militare deve adottare tutte le misure necessarie
per l’attuazione del piano alleato e deve ingaggiare una
battaglia senza quartiere contro i franchi tiratori, che debbono
essere subito passati per le armi se trovati in azione, così
come tutti i responsabili di atti di delinquenza comune). Il
riconoscimento del Comitato da parte degli Alleati era dunque un
nodo essenziale, per cui occorreva impegnarsi (dopo quello di fatto,
doveva essere ottenuto quello “de jure”). Il cammino però
era ancora in salita, e così la decisione di pubblicare un
manifesto indirizzato alla popolazione veniva bloccata dagli alleati,
ed una manifestazione per le onoranze funebri dei patriotti caduti,
veniva ridotta ad una piccola cerimonia nel Giardino dei Semplici con
la rappresentanza del CTLN al completo e del Comando militare
scortato da 30 armati. Il 18 agosto un incaricato degli Alleati,
congratulandosi per l’opera veramente efficace svolta dal
Comitato, proponeva un accordo simile a quello in atto fra gli
Alleati ed il CLN provinciale di Grosseto, riconosciuto come Corpo
politico con funzioni consultive. Punto centrale era l’autorizzazione
della pubblicazione della “Nazione del Popolo” come
organo diretto dal CTLN.
Proposte e compromessi
sulla via dell’insurrezione
Numerosi tentativi di
compromesso, o di accordo per il passaggio dei poteri, avanzati da
personaggi di vario profilo, fallirono subito dopo essere stati
concepiti o poco dopo. Sull’argomento ci si era già
soffermati più volte nel corso delle riunioni del CTLN e, ben
presto si era assunta una posizione netta ed inequivocabile
respingendo all'unanimità ogni trattativa con le autorità
repubblicane, ma accettando di esaminare eventuali offerte di singoli
individui appartenenti al Partito fascista repubblicano che potessero
servire alla causa della Liberazione. Gli argomenti ed il
terreno su cui queste trattative potevano svilupparsi erano ben
definiti e delimitati e potevano comprendere solo la liberazione dei
detenuti, la cattura del magg. Carità, la consegna di armi, la
comunicazione di dati sulla situazione degli approvvigionamenti.
Più
complessa fu la vicenda del generale Somma, che affermava di essere
delegato dal Governo nazionale sin dal gennaio come comandante delle
forze armate della Toscana. Il 22 giugno si stabiliva di sottoporre a
verifica le intenzioni e le possibilità di questo generale.
In un colloquio svoltosi in S. Lorenzo a Firenze con un emissario
autorizzato dal CTLN il Somma dichiarò che proprio da pochi
giorni aveva ricevuto la conferma dell’incarico da parte di un
colonnello venuto dal sud, che lo aveva fatto incontrare con il
generale comandante dei carabinieri della Toscana. Affermava di avere
a disposizione tre generali di divisione, un generale di brigata,
vari colonnelli ed ufficiali, mentre già sarebbero state alle
sue dipendenze le guardie di finanza, i carabinieri, il reparto di
PS. Concludeva infine che gli Alleati avrebbero riconosciuto in ogni
modo lui solo.
In quegli stessi giorni
di fine giugno si prendeva in esame anche l’eventuale opera di
mediazione del Cardinale, della cui opera umanitaria si ha il massimo
rispetto, e nei cui confronti non si affacciano preconcetti
politico-religiosi, “assolutamente estranei alla
nostra azione democratica perfettamente autonoma”, ma che
suscita non poche perplessità e riserve. Rompendo indugi ed
esitazioni, il 27 giugno si doveva prendere posizione ancora più
nettamente e con maggiore chiarezza per chiudere drasticamente le
trattative
con elementi fascisti:
“il CTLN dichiara non esserci più luogo a trattative
dopo che è risultata la continuazione degli assassini e
delle violenze, dopo che gli elementi fascisti con cui veniva
trattato hanno scoperto chiaramente di agire per incarico di
Pavolini e cioè per l'autorità repubblicana come tale e
non come individui e gruppi locali desiderosi di diminuire la propria
responsabilità”. Quando era emerso con chiarezza che gli
intermediari avrebbero dovuto trattare direttamente con
Pavolini”, e mentre gli arresti dei patrioti continuavano, ci
si rese conto che continuare con le trattative sarebbe stato
contrario sia alla lettera che allo spirito di tutte le
deliberazioni prese dal CTLN e si considerò definitivamente
chiuso il capitolo trattative. Anzi, venuto a sapere che in
alcuni comuni della Provincia, i CLN avevano accettato “il
trapasso dei poteri pubblici da parte delle autorità fasciste”
ed agivano in tacita intesa con le truppe di occupazione, dopo aver
ricordato che era compito dei CLN guidare il popolo nella lotta
contro il nazifascismo per la liberazione dell'Italia, il CTLN
sconfessava duramente tale operato e invitava i CLN a rientrare
immediatamente nei limiti dei loro compiti.
Quando,
poco tempo dopo affiorò di nuovo una “questione Somma”,
dopo una esauriente discussione seguita all’ampia
relazione del Comandante, nella quale interloquiscono tutti,
si concluse che era necessario far comprendere al Gen. Somma che
l'unico “mezzo di redimersi delle colpe precedenti”,
sarebbe stato quello di unirsi ad una formazione in campagna. In
caso diverso, poiché non era affatto probabile che il Gen.
Somma aderisse a tale invito, si assegnava al Comando "Marte"
il compito di immobilizzarlo con tutti i mezzi di cui potesse
disporre. Alcuni mesi dopo, a liberazione avvenuta, il 16 gennaio
1945, era Eugenio Artom che ricostruiva i passaggi principali della
vicenda ed esplicitava i motivi per cui le cose si erano concluse
negativamente. Infatti, assunte informazioni su questo generale
Somma, risultò che era stato fascista, di famiglia
fascistissima, che aveva comandato in Etiopia una divisione di
Camicie nere, e che dopo la campagna era stato chiamato dal fascismo
in Senato. Non era possibile considerare il Somma senza una certa
diffidenza, anche perché continuava a frequentare esponenti
repubblichini, con cui dimostrava dimestichezza e, richiesto di
fornire una prova convincente delle sue credenziali e delle sue
intenzioni, non poté ottemperare. Insomma per questo suo
carattere di ambiguità, suscitava una diffidenza non
facilmente superabile. Infine i punti che maggiormente allontanavano
il Somma dal CTLN erano essenzialmente due: mentre il CTLN pensava di
svolgere un ruolo consistente in una vera e propria azione di guerra,
il Somma pensava ad una azione di polizia come compito principale del
momento; poi qualsiasi soluzione si fosse trovata per il passaggio
dei poteri, non si poteva consentire ai fascisti di avvicinarsi ai
loro scopi che consistevano nell’assicurare impunità ai
gerarchi, nel favorire la ritirata dei tedeschi, nel coprire i
franchi tiratori.
Intanto si
prendeva atto del fallimento delle trattative per fare dichiarare
Firenze città aperta
e si stabiliva di pubblicare e affiggere un manifesto relativo alla
dichiarazione di Firenze Città aperta.
Le trattative erano state condotte dal Capo consolare, dal Cardinale,
dal Vice Podestà e dal Vice Prefetto con le autorità
tedesche,
ma il Col. Fuch aveva dichiarato che l’ordine di Kesselring di
rispettare Firenze, non avrebbe potuto essere messo in pratica se gli
inglesi avessero inseguito le truppe tedesche, che si sarebbero
difese non potendo di conseguenza garantire nulla, così come
se fossero state attaccate dalle forze partigiane.
2. insurrezione o
battaglia cittadina (C. Levi) guerra popolare / rivoluzione
popolare italiana
Come si può definire la vicenda
vissuta da Firenze e dai fiorentini nel mese di agosto del 1944?
Carlo Levi ha proposto alcune definizioni ed alcuni concetti
Il
Ponte
esattamente un anno dopo scriveva che Firenze aveva dato “il
primo esempio in Italia di un’insurrezione cittadina e di un
governo insurrezionale antifascista: quello del CTLN”.
Un’insurrezione presuppone una
larga partecipazione di popolo, che può assumere forme varie e
diverse: il volantinaggio,
cartelli stradali, chiodi e il sabotaggio delle comunicazioni.
Per tutto
il mese di luglio vengono effettuate decine di lanci di volantini, di
affissioni di manifesti, talvolta anche in pieno giorno. Il 2 a S.
Frediano, il 3 nella prima zona, il 5 a Brozzi, il 6 a Bagno a
Ripoli, Antella e Osteria Nuova. E così accade ogni giorno. Si
hanno lanci mirati, come quello del 7 a S.
Martino alla Palma sopra Scandicci, destinato ai coloni. Ma si
hanno anche nel cuore della città: il 12 a Costa
S. Giorgio dove, nella medesima azione venivano anche recuperate
armi. O in pieno centro dove il 13 venivano anche lanciati chiodi.
In luoghi particolarmente connotati dalla presenza popolare come
Monticelli, il 14 venivano lanciati manifestini in pieno giorno e nel
rione del Pignone addirittura venivano affissi manifestini murali.
Ma
un po’ tutte le zone sono investite, via dei Leoni, piazza San
Firenze, via Senese, via San Felice a Ema, S. Giusto di Scandicci e
Soffiano, via dei Serragli e in decine di altri punti. Il 29 nel
rione San Frediano si giunge perfino a distribuire volantini in pieno
giorno e ad effettuare contemporaneamente una manifestazione
antitedesca.
L’azione
per ostacolare e sabotare i collegamenti e le comunicazioni dei
nazifascisti si indirizzò verso il danneggiamento della
cartellonistica stradale, che interessò un po’ tutte le
zone della città e del suo territorio.
Il 5
luglio furono distrutti cartelli indicatori ad Arcetri, ed asportati
quelli di ponte all'Asse, il 7 fu la volta di via Tornabuoni, il 9
del Bandino. L’11 in viale Petrarca venivano tolti i cartelli
che segnalavano una buca scavata da operai dell'acquedotto e
nottetempo un camion tedesco vi andava a finire dentro. Anche in un
altro punto della prima zona, il 14, essendo stati rimossi segnali
indicatori di interruzione stradale, veniva provocata la fuoruscita
di strada di un camion. Talvolta i cartelli indicatori stradali,
anziché asportati venivano invertiti, come accadeva il 15
ancora nella prima zona.
Poteva
accadere talora che l’azione fosse ancora più incisiva,
come quando venivano forate le gomme a due automezzi tedeschi in via
del Boschetto oppure venivano catturate due vetture e un camioncino.
Con
i primi di agosto le azioni assumono segno opposto: a Diacceto di
Bagno a Ripoli e al Bandino, le interruzioni stradali sono eliminate
prima dell'arrivo degli alleati, e analogamente il ponte sull'Ema
viene riattivato prima dell'arrivo delle avanguardie alleate.
Anche
il lancio di chiodi avveniva pressoché
giornalmente un po’ in tutte le zone della città: il 2
luglio in via Senese, a Porta Romana, in via delle Due Strade. Poi,
l’8 ancora in via Senese a San Felice a Ema, il 9 in via della
Colonna e in via del Ponte alle Mosse, il 10 al Bandino e così
via. Si trattava di chiodi tricuspidali che squarciavano le gomme e
costringevano le auto a fermarsi come accade a due auto tedesche a
Porta Romana. Il 18 nei viali di circonvallazione veniva effettuato
il lancio di un nuovo tipo di chiodi tricuspidali che fecero sentire
subito la loro efficacia.
Il
sabotaggio dei collegamenti telefonici, il taglio e
l’asportazione dei cavi era un altro tipo di azione che vide
dispiegarsi un largo e diffuso impegno da parte dei patrioti. Le
comunicazioni telefoniche furono interrotte ripetutamente in varie
zone della città. Perfino in zone centrali e ben controllate,
come accadde il 10 luglio in viale Mazzini, venivano tagliati
cavi telefonici. Qualche giorno prima, il 6 era stata la volta dei
collegamenti telefonici dei comandi tedeschi dislocati nella 1a zona.
Il 20, nella zona del piazzale Michelangelo, si riusciva a tagliare
in nove punti diversi due cavi telefonici e ad asportarne alcuni
metri. Il 3 agosto, in via del Paradiso, una partigiana interrompeva
una linea telefonica tedesca che passava nei pressi della sua
abitazione.
La
liberazione dei prigionieri
Il
mese di luglio fu contrassegnato anche da altri episodi di grande
rilevanza, la liberazione di prigionieri caduti in mano ai
nazifascisti. Il 9 con un audace colpo di mano
venivano liberate dal carcere 17 prigioniere politiche, il 14 era la
volta di alcune persone rastrellate dai tedeschi, il 25 venivano
fatti fuggire sette patrioti dalle scuole Leopoldine, adibite a luogo
di raccolta per i deportandi. Ai primi di agosto, infine venivano
liberati 4 partigiani arrestati e rinchiusi nei locali della questura
in via San Gallo.
Sempre
in questo lasso di tempo, che preludeva all’inizio della
battaglia di Firenze, si susseguivano azioni di disarmo di fascisti,
di eliminazione di spie, di recupero di armi nelle sedi fasciste o in
varie caserme.
Il 2
luglio venivano asportate armi dalla sede locale del PFR di
Mantignano, il 3 in via Mannelli veniva disarmato un repubblichino,
un altro in via Calzaioli. Dalla caserma di via Santa Reparata
venivano asportate armi e munizioni, così come a Marciola di
Scandicci o a Fiesole, prelevate da automezzi tedeschi. A Poggio
Sereno il 5, veniva disarmato il locale presidio della GNR. Il giorno
successivo venivano asportate armi e munizioni dalla caserma
"Baldissera", ed il 7 dalla Fortezza da Basso. Lo stesso
giorno veniva giustiziato un milite GNR. Venivano recuperate armi
anche alla Caserma dell'84o fanteria. Il 10 in viale principe
Eugenio veniva disarmato un fascista, mentre in piazza Santa Maria
Novella era giustiziata una spia fascista. Il giorno dopo, con un
audace colpo di mano, venivano recuperate armi anche dal comando
tedesco di viale Machiavelli. In uno scontro avvenuto il 12 in viale
dei Colli, un ufficiale della milizia feriva un gappista. Scontri,
ferimenti, prelievi di armi si susseguono per tutto il mese di luglio
con una fitta cadenza quotidiana, tale da creare grossi problemi agli
occupanti nazifascisti.
Verso
la fine del mese il ritmo si intensificava e le azioni colpivano
direttamente i tedeschi, come accadde ad esempio il 25 alle Cinque
Vie dove l'intervento di una donna impediva a
un tedesco di sparare su un partigiano, che riusciva a salvarsi, ma
la reazione di altri componenti della SAP metteva in fuga i tedeschi.
Oppure in piazza Piave dove veniva assalita e disarmata una
sentinella tedesca posta a guardia di una passerella. Il 30 veniva
fatta irruzione nel Commissariato di PS di piazza Santa Maria Novella
e vengono asportate armi e munizioni.
L’azione
dei GAP ha occupato un largo spazio in tutto questo drammatico
capitolo. Sono i gappisti infatti che il 7 luglio alle Cascine
giustiziano un milite GNR, ma sono ancora loro che il 9 con grande
audacia liberano dal carcere 17 prigioniere politiche. Numerose sono
le spie giustiziate, ma assai di frequente anche i gappisti cadono
nelle maglie della repressione. Il 12 da parte della banda Carità
sono arrestati alcuni gappisti e viene ferito mortalmente il
comandante dei Gap di Firenze.
Il
14 uno dei comandanti dei Gap di Firenze, arrestato, viene ferito
mortalmente mentre tenta di fuggire. Il 23 alle Cascine vengono
fucilate 17 persone, fra cui tutti i gappisti arrestati.
Gli
scontri con i tedeschi
Il
2 luglio, in via Aretina, la SAP PCI della 4a zona distruggeva due
automezzi tedeschi con bombe incendiarie mentre a Tavarnuzze
(Impruneta) la SAP del Galluzzo attaccava automezzi tedeschi. Al
ponte del Pino, il giorno successivo la SAP PSI, confluita poi nella
Brigata “B. Buozzi”, Divisione Garibaldi “Potente”,
disarmava tre tedeschi ma li lasciava poi liberi. L’8 in viale
dei Colli elementi del Fronte della Gioventù disarmavano un
tedesco ed alla Fortezza da Basso alcuni partigiani della SAP PCI
della 1a zona, nel tentativo di sottrarre armi, erano fatti segno a
colpi di arma da fuoco da parte delle sentinelle tedesche.
Il
10, in via Massaia, la SAP PCI 4a zona sosteneva uno scontro a fuoco
con pattuglie tedesche e fasciste e
l’11,
in viale Machiavelli, la SAP PCI della 1a zona con audace colpo di
mano recuperava armi dal comando tedesco. Il 14 la SAP PCI della 1a
zona riusciva a liberare alcune persone rastrellate dai tedeschi ed
il 15, in via Veracini, la SAP PCI della 2a zona vuotava un
magazzino tedesco asportando vari generi. Il 17 elementi del Fronte
della Gioventù recuperavano 8 bombe a mano da un camion
tedesco. Il 20 presso casa Salvini a Fiesole, staffette della SAP di
Compiobbi si scontravano con dei tedeschi ed a Firenze, tra il
Mugnone e la Fortezza da Basso, la SAP PCI della 4a zona sosteneva
uno scontro a fuoco con una pattuglia tedesca. Elementi poi confluiti
nella Div. GL, catturavano ai tedeschi due vetture e un camioncino.
In via Magliabechi, elementi del Fronte della Gioventù
Firenze disarmavano un tedesco. Il 24 a S.
Vincenzo a Torri (Scandicci), elementi della 1a compagnia della 3a
Brigata "F.lli Rosselli", confluita nella Divisione GL
Firenze, ingaggiava uno scontro con pattuglia tedesca di guardia ad
un ponte. In piazza Piave la SAP PCI della 1a zona, assaliva e
disarmava una sentinella tedesca a guardia di una passerella. Il 26 a
Ponte a Ema, la SAP PCI della 1a zona asportava farina e grano da un
mulino minato dai tedeschi che reagivano dando fuoco al mulino e
sparando sulla popolazione. A Ginestra Fiorentina (Lastra a Signa)
militari tedeschi violentavano e uccidevano una
donna. Il 27 in piazza S. Marco, elementi della SAS, squadra
d’assalto confluita nella Divisione GL Firenze sabotavano un
autocarro dei VV.FF. catturato dai tedeschi. Il 29 in via IX
Febbraio, la SAP PCI della 4a zona asportava armi dalla locale
scuola, adibita a caserma; durante l'azione si aveva uno scontro con
i tedeschi. La SAP PCI della 1a zona sottraeva un'automobile tedesca.
A Ginestra Fiorentina (Lastra a Signa) due mezzadri venivano
trucidati dai tedeschi. Il 31 in via Aretina, la SAP PCI della 4a
zona aveva uno scontro a fuoco con pattuglia tedesca, mentre a Ponte
a Greve la SAP PCI della 1a zona sottraeva armi e munizioni da
un'auto tedesca.
Il
giorno successivo a Bagnolo (Impruneta), banda locale della
Formazione "Teseo", effettuava un rastrellamento contro
retroguardie tedesche. Un partigiano rimaneva ucciso.
Il 1
agosto a S. Ilario a Colombaia (Scandicci), la SAP di Scandicci,
Squadra autonoma di Capannuccia si scontrava con due tedeschi che
restavano uccisi. Il 2 in via del Fico, la 6a compagnia della 2a
Brigata “F.lli Rosselli” di città, catturava una
spia fascista ed aveva uno scontro a fuoco con pattuglia tedesca. In
via Masaccio la 5a compagnia della 2a Brigata "F.lli Rosselli"
di città, attaccava tre autoblinde delle SS.
Il
3 a Scandicci venivano fucilati per rappresaglia 5 uomini e 1 donna.
Il 4 all’Isolotto, la SAP PCI della 1a zona si scontrava
con i tedeschi sul guado dell'Arno a monte dell'Isolotto. Al ponte
alla Vittoria due squadre di arditi della SAP PCI della 1a zona,
munite di armi automatiche, tentavano di tagliare i fili che univano
le mine alla stazione di brillamento. Avvistate dai tedeschi erano
sottoposte a violento fuoco e costrette a ritirarsi con perdite. Al
ponte alla Carraia una compagnia di patrioti della SAP PCI della 1a
zona, tentava di impedire il brillamento del ponte ma non vi
riusciva. I tedeschi di guardia venivano uccisi.
In
località Olmo, la SAP di Scandicci ingaggiava un combattimento
a fianco degli alleati contro le retroguardie tedesche.
A
Sesto Fiorentino i tedeschi distruggevano gli stabilimenti: Arrigoni,
Del Vivo, Magazzini Farmaceutici e la stazione ferroviaria.
Il
5 presso il fosso delle Grazie, a Fiesole, la 2a Brigata "F.lli
Rosselli", aveva uno scontro con due tedeschi che venivano
eliminati mentre un partigiano di questa stessa formazione uccideva
un tedesco al Poggio alle Tortore. Presso l’Istituto Chimico
Farmaceutico Militare i tedeschi fucilavano 12 civili.
Il
gruppo Comando della 10a brigata Garibaldi “Caiani”,
Divisione Arno, il 7, in località Rovezzano, attaccava una
pattuglia tedesca, mentre presso villa "La Massa" a
Pontassieve, il comandante della 2a Brigata "Rosselli", nel
corso di uno scontro con una pattuglia tedesca, veniva catturato. A
Firenze, nel corso di un rastrellamento venivano catturati 15 uomini,
in seguito impiegati nei lavori di fortificazione della "Linea
Gotica".
L’avvicinamento
delle brigate di montagna e l’inizio della battaglia di agosto
Durante
il mese di luglio le formazioni partigiane iniziavano un movimento
per avvicinarsi a Firenze e per prepararsi alla battaglia per la
liberazione della città. A Firenze, l’8 luglio il CTLN
delibera di rimanere in funzione fino alla fine della guerra.
Intanto
le forze britanniche del 15th Allied Army Group, 8th UK Army, XIII
Corps si schieravano a cavallo della parte meridionale del territorio
provinciale mentre il primo Corpo d'Armata tedesco si schierava lungo
una linea che aveva come limite sul fianco sinistro Lucolena, Pian
d'Albero, Troghi e Rosano e sul fianco destro Castelfiorentino,
Montelupo, Prato.
Il
15 luglio il fronte passava per il Massiccio del S. Michele e qui,
nei pressi di Monte Scalari, gli alleati
stabiliscono la nuova linea del fronte.
Il
21 il CTLN delibera di conquistare la città prima dell'arrivo
degli Alleati, attaccando i nazifascisti. Lo stesso giorno iniziava
lo spostamento della Brigata Sinigaglia verso Fonte Santa di Bagno a
Ripoli. Il 22 si ricongiungevano anche la "Lanciotto" e il
comando della Divisione. Poi il comando della Divisione si spostava
mentre la brigata rimaneva sul posto. Il 23 la 2 compagnia della
"Lanciotto" raggiungeva Compiobbi, la 2a compagnia della
3.a brigata Rosselli si attestava in Firenze, mentre la 1a compagnia
restava dietro le linee tedesche e la 3a operava nella zona di
Montespertoli.
All’inizio
di agosto le forze partigiane presenti sulla riva sinistra dell'Arno,
inquadrate nella I zona, disponevano di 780 uomini, 280 fucili e
moschetti, 10 fucili mitragliatori, 2 mitra pesanti, 191 pistole, 490
bombe a mano. La 2a compagnia della 3a Rosselli si riuniva nella
caserma di via Pier Luigi da Palestrina.
Il
3 agosto alle ore 15 il Comando tedesco proclama lo stato di
emergenza nella città, vietando alla popolazione di uscire
dalle proprie abitazioni.
Nei
giorni successivi si avevano scontri con i tedeschi sul guado
dell'Arno a monte dell'Isolotto e contemporaneamente la Brigata
Sinigaglia lasciava la sua postazione di Bagno a Ripoli e si metteva
in marcia per Firenze. Anche la 4 compagnia della Caiani si
avvicinava a Firenze stabilendosi a Compiobbi.
La
Sinigaglia si riuniva con la 5 compagnia della SAP PCI della 1a zona,
mentre la 4a Brigata "Rosselli" entrava in Firenze,
provenendo dalla zona Impruneta - Grassina in cui aveva operato.
Altri reparti dislocati nel borro di Rimaggio e spostatisi verso
ovest per sfuggire ai tedeschi, muovevano verso Firenze. A Villamagna
la 5 e 6 compagnia della SAP PCI della 1a zona, accerchiava 150
tedeschi.
A
Pozzolatico la banda locale appartenente alla Formazione "Teseo"
entrava in contatto con i reparti alleati avanzanti e forniva utili
informazioni sui campi minati della zona.
Il
4 le forze della Divisione Arno stabilivano contatti con i comandi
delle avanguardie inglesi.
Il
6 il comandante del Comando Militare Toscano, Corpo Volontari della
Libertà, prendeva contatto con il maggiore capo dell'Ufficio
Informazioni e con il capo di Stato Maggiore della Divisione inglese
schierata a sud della città.
L’8
la brigata “Caiani” attraversava l'Arno a Rovezzano
e stabiliva contatti con le forze alleate e con
la 1a e 2a Compagnia della Brigata "Lanciotto".
Il
giorno stesso cadeva colpito a morte Aligi Barducci (Potente),
comandante della Divisione. La Divisione ne prendeva il nome.
L’11
una squadra della banda di Pozzolatico della Formazione "Teseo",
dopo essere stata disarmata dagli Alleati, riusciva ad attraversare
l'Arno e ad unirsi ai patrioti che combattevano a nord della città.
Al
mattino del giorno stesso il CTLN si insediava in Palazzo Medici
Riccardi, così come il Comando Militare che lascia la sua sede
clandestina di Piazza Strozzi. Palazzo Vecchio era occupato e
presidiato da forze partigiane. In via Cavour, via San Gallo, via
Capponi si schieravano squadre d’azione del PCI, di GL, del
PLI. Sulla riva sinistra del Mugnone prendeva posizione la 3a
compagnia della “Caiani”. Anche la “Fanciullacci”
iniziava lo spostamento da Monte Morello verso Firenze, mentre la
“Caiani” entrava in città dalla parte nord. I
comandi della “Sinigaglia” e della “Lanciotto”
attraversavano l’Arno con 135 uomini. Numerosi altri erano i
tentativi, alcuni riusciti, altri falliti, di attraversamento
dell’Arno, a nord e a sud, a Rovezzano o alle Cascine.
Le
forze partigiane dislocate nella II zona sembra che ammontassero a
420 uomini con 170 fucili, 8 fucili mitragliatori, 2 mitra pesanti,
160 pistole, 275 bombe; quelle della III zona a 940 uomini con 371
fucili, 17 fucili mitragliatori, 402 pistole, 364 bombe; quelle della
IV zona a 706 uomini con 230 fucili, 13 fucili mitragliatori, 2 mitra
pesanti, 187 pistole, 316 bombe.
Alle
ore 6 di quel giorno, 11 agosto, su ordine del Comando Militare
veniva dato il segnale dell'insurrezione mediante il suono a martello
della campana di Palazzo Vecchio.
Il
giorno stesso, l’11 agosto, in via dello Statuto, uomini della
SAP PCI della 3a zona, superato di slancio il Mugnone, attaccavano
retroguardie tedesche, ma venivano arrestati e respinti, subendo 1
morto e 7 feriti. Iniziavano anche azioni di fuoco e tentativi di
assalto contro i tedeschi che occupavano la Manifattura tabacchi.
II
12 la brigata “Buozzi”, che era rimasta tagliata fuori,
riusciva a superare la linea di fuoco nella zona della ferrovia di
Campo di Marte e si univa al grosso delle forze partigiane. Nei
giorni successivi gli scontri si susseguivano frenetici, la battaglia
infuriava ed investiva numerosi punti della città. Alcuni
giorni dopo, il 18, la 3a Brigata "Rosselli" e la
"Sinigaglia", stabiliti i contatti tra loro, impegnavano
combattimento contro i tedeschi nella zona di piazza Dalmazia, sulla
destra del Mugnone nella zona del Villino Boccaccio. Il 28 la 2a
compagnia della Brigata "Buozzi" si sposta in piazza delle
Cure.
La battaglia contro i
franchi tiratori
L’azione
dei patrioti e dei partigiani durante questo periodo, dovette fare i
conti con l’enorme pericolo costituito dai franchi tiratori che
imperversavano soprattutto contro la popolazione civile, uccidendo
indiscriminatamente e con intento terroristico. Combattimenti
venivano ingaggiati sin dai primi di agosto in varie parti della
città, ovunque si presentasse la minaccia.
Così
episodi si verificavano il 4 presso il ponte alla Vittoria, in
piazzale Poggi, in piazza Tasso, al Conventino. Se sulla riva
sinistra veniva effettuato un rastrellamento delle case prospicienti
l'Arno, dopo l’11 analoghe operazioni si sarebbero svolte in
via Calzaioli, in piazza San Firenze, in via del Corso, in via
Ghibellina. Ed ancora in zone che si presentavano più
difficili, come presso l’Ospedale Mayer, in via Masaccio, in
via Fra' Bartolomeo, o in piazza Madonna, in via Nazionale, in via
Faenza, in Santa Maria Novella.
Spesso
i franchi tiratori venivano snidati, nonostante ricorressero ad
espedienti fantasiosi, come quei quattro che furono attaccati,
nonostante fossero travestiti da frati.
Per
coloro che venivano catturati con le armi in pugno si procedeva alla
fucilazione immediata, come accadde in piazza Puccini ilo 12 o in via
Dupré, il 16, o in via Baracca e
al ponte alle Mosse il 20.
La battaglia in città
Innumerevoli
furono gli scontri che si verificarono in città prima
dell'arrivo degli alleati, in via della Colonna, al ponte del Pino,
lungo l’Africo, in via Masaccio, piazza Savonarola, alla
Manifattura Tabacchi, in viale Belfiore, in via Paisiello, in viale
Belfiore, a Rovezzano, in via Madonna della Tosse, in piazza Cavour e
altrove un po’ dappertutto.
In
complesso furono molte decine le scaramucce e le battaglie a fuoco
con pattuglie e reparti tedeschi, ma anche di SS italiane, come
quelle attaccate il 13 al Ponte del Pino. Talvolta venivano anche
attaccati gruppi armati con mitragliatrici e cannoncini, o
addirittura carri armati e mezzi blindati.
Il
12 una compagnia della "Lanciotto", mandata a sbloccare un
nucleo di partigiani delle SAP del PSI, circondato dai tedeschi nei
pressi del Mulino Biondi, in viale dei Mille, ricacciava fino alla
ferrovia i tedeschi. Tuttavia i rinforzi ricevuti dai tedeschi
costringevano i partigiani a ripiegare.
Nei
giorni successivi i partigiani furono talora affiancati da gruppi
dell'esercito inglese e poterono perciò agire con più
efficacia. Talora si doveva rispondere al fuoco di artiglieria, che
si avvaleva anche di pezzi da 37, talaltra si dovevano respingere
tentativi di infiltrazione nemiche.
Decine
e decine, anzi centinaia furono i caduti ed i feriti tra i
partigiani, i patrioti ed i civili che si impegnarono nella dura
battaglia per liberare la città.
Nella
seconda metà di agosto i tedeschi, incalzati ora da partigiani
e alleati, intensificarono le operazioni per lo sganciamento e,
protetti da una intense azioni di artiglieria, si ritirarono verso
Nord.
Nondimeno
proseguirono cannoneggiamenti sulla città, come quello sul
Parterre e furono effettuati anche tentativi di infiltrazione, ad
esempio nelle Officine Galileo, dove il presidio partigiano fu
costretto a ripiegare, o in via Faentina, dove reparti di
paracadutisti si spinsero fino alla scuola Boccaccio.
Il
24 i tedeschi tentarono addirittura un contrattacco per raggiungere
piazza Viesseux provenendo dalla ferrovia, da via del Romito, da via
del Palazzo Bruciato, da via Montelatici. Furono respinti ma 6
partigiani rimasero uccisi negli scontri.
Intanto
partigiani della “Lanciotto”, con l'aiuto di truppe
corazzate inglesi, avanzavano sulla via Bolognese e, il giorno
successivo, sulla via Faentina e Il Lapo.
Nella
loro ritirata i tedeschi saccheggiavano le abitazioni distruggendo
ciò che non riuscivano ad asportare, come accade a Ponte a
Mensola.
Gli sminamenti
Già
prima dell’inizio della battaglia di Firenze, i patriotti si
erano impegnati in una intensa azione mirata a neutralizzare il
sabotaggio tentato dai tedeschi con il minamento di strade, ponti,
monumenti.
Il 24 luglio a S. Felice a Ema la SAP PCI
della 1a zona, disinnescava alcune mine e recuperava materiale
esplosivo. Il 29 venivano sabotate diverse mine tedesche da parte
della SAP PCI della 1a zona mentre tra il 4 e l’11 agosto
membri della SAP PCI della 1a zona riuscivano a
neutralizzare le mine destinate a far saltare gli impianti
dell'acquedotto di Mantignano.
Ritirandosi
da Settignano, il 4-5 i tedeschi riuscivano a far saltare in aria
buona parte dell'abitato, così come avevano fatto al ponte
alla Vittoria ed al ponte alla Carraia, nonostante i tentativi,
generosi ma inefficaci, dei patrioti. Alcuni partigiani della Brigata
Garibaldi "B. Buozzi", riuscivano a strappare le micce
visibili che collegavano le mine poste sotto i ponti del Mugnone ed
al momento del brillamento il Ponte Rosso restava danneggiato solo
parzialmente.
L’11
un reparto della 3a Brigata "Rosselli", attaccava alcuni
paracadutisti tedeschi intenti ai lavori di mina sulla scarpata della
ferrovia ingaggiando un duro combattimento. Al ponte alle Mosse la 3a
e 4a compagnia della "Lanciotto", tentava inutilmente di
evitare il brillamento delle mine sotto il ponte alle Mosse. In viale
Belfiore la 2a compagnia della 3a Brigata "Rosselli",
attaccava pattuglie tedesche che avevano minato il cavalcavia
ferroviario. Il 15 agosto la Federazione di Firenze del PSI
organizzava e poneva a disposizione dei comandi alleati un
distaccamento di 40 artificieri specializzati per la rimozione delle
mine. Il 25 la 3a Brigata "Rosselli" toglieva le mine
tedesche in via Casamorata, all’angolo di via Incontri, mentre
la SAP del PLI neutralizzava 15 mine a villa Bemporad, in località
La Macina.
Le fasi della battaglia di agosto in città
Per
ordine del Comando Militare Toscano “Marte”, l’11
agosto alle ore 6 veniva dato il segnale dell'insurrezione mediante
il suono a martello della campana di Palazzo Vecchio.
In
località Tre Pietre, la SAP PCI della 2a zona, si scontrava
duramente, prima dell'arrivo degli alleati, con le retroguardie
tedesche. Intanto una pattuglia della "Sinigaglia"
attraversava l'Arno a Rovezzano, mentre un’altra pattuglia
veniva bloccata dalla reazione tedesca alle Cascine.
Reparti
di patrioti della SAP PCI della 3a zona, superato di slancio il
Mugnone in via dello Statuto, attaccavano retroguardie tedesche, ma
vengono arrestati e respinti, subendo 1 morto e 7 feriti. Al ponte
alle Mosse partigiani della 3a e 4a compagnia della "Lanciotto",
tentavano inutilmente di evitare il brillamento delle mine ed in via
della Colonna, elementi della Brigata "V" riducevano al
silenzio una pattuglia tedesca. Nella zona del ponte del Pino –
Africo combattevano SAP della 4a Zona e partigiani della “Buozzi”,
mentre altri della stessa formazione e della SAS GL sostenevano il
fuoco di tedeschi appostati dietro l’angolo di Via Fra’
Bartolomeo. In via delle Cascine, in viale Belfiore e in via
Paisiello le SAP di Firenze e la 3a e 4a compagnia della "Lanciotto"
iniziavano azioni di fuoco e tentativi di assalto contro i tedeschi
che occupano la Manifattura tabacchi. In viale Belfiore la 2a
compagnia della 3a "Rosselli", attaccava alcune pattuglie
tedesche che avevano minato il cavalcavia ferroviario. Anche a Lungo
l’Africo la SAP PCI della 4a zona,
si scontrava con dei tedeschi che cercavano di far saltare un ponte.
In
via Madonna della Tosse, angolo via Pascoli, in piazza Cavour, in
via Landino angolo viale Milton e strade adiacenti, dove combattevano
elementi della Brigata "V", della "Rosselli" di
città e della "Lanciotto", un partigiano rimaneva
ucciso. In via Lamarmora angolo via principe Amedeo, e in via
Masaccio elementi della Brigata "V" e della SAP PCI della
3a zona, si scontravano con franchi tiratori e guastatori tedeschi.
Un
gruppo della SAP PLI combatteva a Ponte a Mensola.
Intanto
i tedeschi facevano saltare il ponte alle Mosse e apprestavano un
centro di fuoco in via Masaccio all’angolo con via Fra'
Bartolomeo, dove per altro erano già in corso degli scontri.
Il CVL, Comando Militare Toscano “Marte” individuava
anche due carri armati tedeschi in piazza Cosseria, una batteria di
mortai dietro ponte alle Mosse e nidi di mitragliatrici fra le
macerie e nelle case di via XX settembre e piazza Cosseria.
Nonostante la resistenza dei partigiani i tedeschi riescivano a
penetrare nel Parterre.
Tra
il 12 ed il 15 agosto la dislocazione dei tedeschi nel settore
centrale della città, andava da via del Romito a via
Bolognese, con disseminazione di pezzi di piccolo calibro,
piazzamento di fucili mitragliatori e mitragliatrici nelle case e
perfino con due carrarmati, uno in angolo di via Trento ed uno in
angolo di via del Pellegrino. Il comando si trovava in una casa
d'angolo tra via 24 maggio e viale Cadorna. La linea del fronte
tedesco proseguiva verso est da piazza Berta al ponte alle Riffe, a
via Mossotti e viale dei Mille. Anche qui erano localizzati pezzi
anticarro, e numerosi nidi di mitragliatrici, mentre il comando era
dislocato in P.za S.Gervasio angolo V. Baldesi.
Il
diario dei giorni successivi era punteggiato da innumerevoli episodi
a fuoco, con scontri distribuiti in tutta la città. Nei pressi
del Mulino Biondi la "Lanciotto" attaccava i tedeschi ma,
dopo averli ricacciati fino alla ferrovia i tedeschi, era costretta a
ripiegare dopo l’arrivo di nuovi rinforzi nemici. Al Casone
Rosso detto La Nave, invece la Lanciotto respingeva i tedeschi, che
tentavano di occupare la zona. Cinque partigiani restavano feriti.
La
“Rosselli” costringeva il nemico a retrocedere in
viale Belfiore e dintorni e in piazza S. Marco respingeva
un tentativo di infiltrazione nello schieramento partigiano. Al Ponte
del Pino combattevano elementi del Fronte della Gioventù.
Negli scontri a fuoco con retroguardie tedesche attestate alla
Manifattura Tabacchi, il Casone dei ferrovieri diveniva una
importante postazione per la "Sinigaglia" e per alcune
pattuglie della SAP DC. Mentre in piazza S. Iacopino si avevano
focolai di combattimento, protagonisti la "Rosselli" e la
"Lanciotto", alcune pattuglie tedesche riuscivano ad
arrivare fino al sottopassaggio di viale Belfiore prendendo sotto
tiro il viale e via Benedetto Marcello, ed altre due pattuglie
attraversavano il ponte all'Asse e il ponte S.Donato, spingendosi
fino a piazza S.Iacopino e via Bartolini.
I
tedeschi, attestati sulla riva destra del Mugnone, tenevano sotto
tiro con mitragliatrici e cannoncini la zona del ponte alle Mosse -
p.za Cosseria - v. XX settembre - ponte Rosso, mentre due carri
armati ed alcune mitragliatrici battevano ripetutamente e con
efficacia le vie parallele a via Lulli tra il Terzolle e la zona dei
Macelli. Ancora in S. Iacopino la “Sinigaglia” respingeva
tentativi di infiltrazione ed in viale regina Margherita la SAP PCI
della 3a zona faceva fuoco contro alcuni soldati nemici. Nella zona
di ponte alle Mosse, la "Sinigaglia", e la SAP PCI della
3a zona respingevano un attacco tedesco. A villa Demidoff la
"Rosselli", respingeva alcuni attacchi di nuclei tedeschi
attestati dentro la villa. In via Laura un partigiano della SAP PCI
della 3a zona moriva in combattimento, mentre alla Fortezza da Basso
la "Lanciotto" respingeva un reparto tedesco munito di
mitragliatrici e di mortai. Da parte dei nazifascisti intanto si
insisteva nel rafforzare la resistenza e nel contrattaccare: un
reparto di SS italiane piazzava un centro di fuoco con 2
mitragliatrici al ponte del Pino, mentre in viale dei Mille e viale
Fanti i tedeschi facevano fuoco sulle postazioni partigiane con pezzi
da 37. Lungo il Mugnone era una compagnia della “Rosselli",
che reagiva al fuoco delle armi automatiche nemiche, in viale
principessa Clotilde combatteva lo Squadrone "F" del Regio
Esercito italiano mentre in piazzale Donatello teneva il fronte la
SAP PLI.
Nei
giorni successivi, 15-16 agosto, mentre i cannoneggiamenti
tedeschi causavano danni alla chiesa di S. Michele a Monterigoldi a
Pian dei Giullari, l’attività combattiva proseguiva con
intensità in S.Iacopino, dove infiltrazioni nemiche
erano stroncate sul nascere, al Casone dei ferrovieri dove era
respinto un attacco in cui cadeva un militare germanico, alla
stazione ferroviaria di S. Maria Novella, dove il contrattacco
tedesco con armi pesanti causava 3 morti e 3 feriti della
"Lanciotto". Nei viali di circonvallazione la "Rosselli"
ed elementi della SAP PCI della 3a zona, respingevano infiltrazioni
tedesche ed in piazzale Donatello le SAP PSI attaccavano i nemici che
avevano occupato un edificio della piazza. Il giorno successivo
un'autoblinda e una ventina di tedeschi si infiltravano nelle linee
partigiane ma, presi fra due fuochi, erano costretti ad
asserragliarsi in un rifugio antiaereo quindi a ritirarsi.
Il
16 agosto la linea del fronte tedesco andava, a nord-est, da
Sant'Andrea a Rovezzano a Ponte a Mensola, via S. Domenico, Accademia
della Milizia Forestale, mentre a nord andava da viale Volta a piazza
delle Cure a via XX settembre e al Ponte allo Statuto, ed a
nord-ovest dalla riva destra del Mugnone a via delle Cascine e
Piazzale del Re.
Il
17, la "Lanciotto", mentre indirizzava alcune puntate verso
S. Domenico e l’ospedale di Camerata, dove restavano uccisi 1
partigiano e 2 tedeschi, veniva attaccata alla Fortezza da Basso
mentre alcuni partigiani della “Rosselli” attaccavano, in
cooperazione con le truppe inglesi le postazioni nemiche in piazza
Cavour.
Un
cannoneggiamento germanico sull’ospedale di S. Salvi, provocava
la morte di 6 civili (infermieri e degenti) ed un rastrellamento a S.
Vincenzo a Torri (Scandicci) so concludeva con la fucilazione di 2
giovani. In questo momento i tedeschi potevano fare affidamento su
artiglierie da 75 e 88 dislocate a Careggi, nuclei di mitragliatrici
a Villa Incontri, 50 paracadutisti a Villa Salviati, mortai a
Settignano.
Intanto
la "Lanciotto", costringeva in via delle Panche i tedeschi
al ripiegamento e pattuglie della "Sinigaglia" e delle SAP
superavano il Mugnone ed entravano in contatto con il nemico.
La
“Rosselli” e la “Sinigaglia”, stabiliti i
contatti tra loro, impegnavano combattimento contro i tedeschi in
piazza Dalmazia e si congiungevano sulla destra del Mugnone nella
zona del Villino Boccaccio. In via Vittorio Emanuele II, la Brigata
"V" e SAP PCI della 3a zona combattevano insieme e in
seguito a duri scontri riuscivano ad attestarsi lungo la linea del
Mugnone mantenendo pattuglie in piazza Viesseux.
In
viale Bassi e via Centostelle la "Lanciotto", si scontrava
con i tedeschi, mentre al Ponte di Mezzo la “Sinigaglia"
attaccava postazioni nemiche e la "Rosselli", occupava la
fabbrica delle Officine Galileo dopo aver sostenuto scontri nelle
strade adiacenti. In un conflitto a Camerata, presso villa
Palmieri, la "Lanciotto" uccideva due tedeschi e recuperava
2 mitragliatrici ma subiva il ferimento di cinque partigiani.
I
tedeschi, dopo essersi ritirati da piazza Dalmazia, portando con sé
i caduti, tentavano di nuovo, ma inutilmente, di riconquistare la
posizione, quindi, protetti da una intensa azione di artiglieria si
ritiravano a Nord di Firenze.
Il
19 agosto la "Lanciotto" individuava ed eliminava un
osservatorio tedesco sul serbatoio dell'acqua delle officine Pignone,
mentre la SAP DC subiva uno scontro a fuoco in via Baracca e Ponte
alle Mosse ed in via Massaia combattevano elementi della Brigata "V"
e della SAP PCI della 3a zona. In via Vittorio Emanuele II, una
pattuglia tedesca veniva respinta da un nucleo di partigiani della
"Lanciotto". Altri scontri avvenivano in S.Gervasio, in
piazza Dalmazia, in viale Morgagni. In via Vittorio Emanuele II, la
"Lanciotto", effettuava un rastrellamento con l'appoggio di
3 autoblinde alleate.
I
tedeschi intanto cannoneggiavano il Parterre e fucilavano 2 civili
per rappresaglia a Badia a Settimo (Scandicci).
Il
20 agosto, grazie ad un partigiano della "Rosselli", si
riusciva a scoprire le postazioni dei tedeschi all'interno
dell'Ospedale di Careggi; nello scontro a fuoco morivano 3 partigiani
della “Buozzi”. Intanto i combattimenti proseguivano alla
Manifattura Tabacchi dove le postazioni nemiche venivano occupate
dai partigiani della "Sinigaglia", che poi riducevano
al silenzio un nido di mitragliatrici nemico, dislocato in villa
Sassetto, e successivamente espugnava una postazione tedesca in via
Torre degli Agli, dopo aver sostenuto combattimenti al Ponte alle
Mosse, al Ponte di Mezzo, al cimitero ebraico e in via Baracca, dove
cadeva un partigiano. Il giorno successivo attaccavano le Officine
Galileo, che erano state riconquistate dai tedeschi, uccidendone 3 e
giustiziando 2 franchi tiratori.
La
“Lanciotto” ingaggiava battaglia in via Bolognese, in S.
Gervasio e in via Boccaccio dove restavano uccisi due tedeschi ed un
partigiano. Un altro partigiano, della "Sinigaglia",
restava ucciso al Ponte di Mezzo.
Un
attacco tedesco proveniente da Maiano, veniva respinto al
Salviatino dalla "Lanciotto", mentre a S.
Domenico (Fiesole) toccava alla "B. Buozzi" contrastare
alcune pattuglie nemiche.
Intanto
da parte tedesca l’intenso fuoco di artiglieria provocava
numerose vittime fra la popolazione civile della seconda zona, e
puntate offensive si avevano in via Faentina, dove gruppi di
paracadutisti si spingevano fino alla scuola Boccaccio, in via
Bolognese e al Pellegrino dove venivano respinti dalla Brigata
"V", in via Montughi e villa Fabbricotti, dove si trovava
la "Rosselli".
In
via Cento Stelle e al Salviatino la "Lanciotto" costringeva
il nemico, che aveva attaccato, al ripiegamento ed il 24 agosto, dopo
un temporaneo ripiegamento del fronte, causato da un attacco nemico,
riconquistava le precedenti posizioni in via Trieste.
A
villa Ignesti, ex sede delle SS tedesche, la Brigata "V",
sosteneva un violento scontro a fuoco ed i partigiani della
"Sinigaglia" erano costretti a ripiegare sulla linea del
Mugnone, ponte di Mezzo. Il tentativo nemico di raggiungere piazza
Viesseux provenendo dalla ferrovia, da via del Romito, da via del
Palazzo Bruciato, da via Montelatici veniva respinto ma 6 partigiani
restavano uccisi negli scontri. Anche nella zona di piazza Dalmazia,
una pattuglia tedesca, infiltratasi nello schieramento partigiano,
veniva respinta dalla “Rosselli”, così come alle
Cascine faceva la "Sinigaglia" ed al ponte del Pino la
"Lanciotto", che aveva attaccato per prima.
La
collaborazione tra partigiani ed alleati dava risultati molto
positivi, ad esempio a villa Carobbi sulla riva destra del torrente
Terzolle, o a La Pietra in via Bolognese, dove intervenivano anche
truppe corazzate.
Mentre
i partigiani della “Buozzi” si preparavano ad attaccare
Fiesole, e per questo avevano effettuano il rilevamento delle
posizioni tedesche, e la “Lanciotto” effettuava alcune
puntate alle cave di Maiano, a Fontelucente erano arrestati e
fucilati alcuni partigiani e gruppi di
civili, rastrellati nel paese, venivano adibiti allo scavo di
trincee.
Il
25 la SAP PCI della 3a zona riconquistava le posizioni perdute il
giorno precedente, attestandosi sulla via Montemaggi - via di
Rifredi, dove la "Lanciotto", attaccava il presidio
tedesco.
La
"Rosselli", appoggiata dagli inglesi, giungeva nelle
immediate vicinanze dell'ospedale di Careggi e la "Lanciotto",
anch’essa appoggiata da mezzi corazzati inglesi, avanzava sulla
via Faentina.
Una
puntata offensiva tedesca veniva respinta il 26 al ponte del Pino
dalla "Buozzi", che ingaggiava combattimento anche in via
Boccaccio, al Salviatino, villa Palmieri e in via Faentina dove
eliminava 2 nemici.
Due
partigiani della SAP che stavano scortando un militare americano in
perlustrazione, restavano uccisi in via dei Cappuccini nei pressi
della chiesa, mentre nella zona del ponte di Mezzo, la "
Sinigaglia" effettuava rastrellamenti contro franchi tiratori.
Il
27 due squadre di patrioti della SAP attaccavano di sorpresa in via
Borghini un reparto tedesco di 20 uomini costringendolo a ritirarsi
mentre presso la Chiesa dei Cappuccini una pattuglia partigiana
della "Rosselli" eliminare il centro di resistenza nemico;
contemporaneamente però le posizioni partigiane della zona di
via Vittorio Emanuele II piazza Dalmazia venivano cannoneggiate.
Durante
la loro ritirata i tedeschi saccheggiavano le abitazioni distruggendo
ciò che non riuscivano ad asportare, come accadde a Ponte a
Mensola.
Durante
uno scontro sulla riva destra del torrente Terzolle, una squadra
della "Rosselli", respingeva 20 paracadutisti tedeschi che
tentavano di annidarsi nelle case lungo il torrente, prendendone due
prigionieri. Due partigiani della “Sinigaglia” cadevano
in combattimento in via Celso e scontri furiosi si svolgevano in via
del Barco e in via del Pergolino, presidiata dalla "Buozzi".
Tre partigiani della "Lanciotto" restavano feriti da un
violento fuoco di mortai in località La Pietra, mentre a
villa Palmieri una squadra della "Buozzi", con reparti
angloamericani snidavano un nucleo tedesco. Nel respingere un attacco
tedesco in viale Corsica, il 29 un partigiano della "Sinigaglia"
restava gravemente ferito e tre tedeschi venivano uccisi.
Intanto
i duelli delle opposte artiglierie causavano la distruzione della
chiesa di Settignano, mentre nella zona di Careggi, i tedeschi
facevano saltare l'ultimo tratto di fognone, attraverso il quale i
civili internati all'ospedale raggiungevano la città. Il 30
nel I e II settore della città un intenso fuoco di
artiglieria e mortai si rovesciava sulle posizioni partigiane.
A
Ponte a Mensola i nazifascisti compivano rappresaglie contro civili.
Il
31 dopo 20 giorni di combattimenti i tedeschi ripiegano da
Careggi (Firenze) verso nord.
3. I CLN come
organi di governo
La situazione alimentare ed
igienico sanitaria di Firenze si presentava in termini drammatici
soprattutto nei giorni dell’emergenza, subito dopo il 3 agosto.
L’8 vi era stato un incontro
tra alcuni notabili cittadini ed il comandante tedesco presso
l’Albergo Baglioni. Era stato fatto presente che l’impianto
dell’acqua potabile non poteva funzionare per mancanza di
corrente elettrica. La cittadinanza assetata disponeva di una minima
quantità di acqua che veniva attinta a pozzi, talora
inquinati. La distribuzione del pane era sospesa da tre giorni, e
solo il giorno 7 erano state messe in circolazione quantità
minime di grano e farina. Non esistevano scorte di altri generi
alimentari e non era possibile rifornirsi. Le condizioni igienico
sanitarie erano gravissime. Case e strade erano piene di immondizie,
le latrine erano ostruite per mancanza di acqua, le abitazioni
sovraffollate e mancanti anche di aria e di luce per la chiusura
obbligatoria delle finestre. Lo stato di salute della popolazione
allarmante: c’era tifo endemico e dissenteria ed altre
infezioni. La mortalità dei bambini per mancanza di latte
elevata.
Le risposte del
comandante tedesco furono largamente insufficienti e prefiguravano
una situazione che avrebbe potuto precipitare a brevissima scadenza.
Di questa gravità
era consapevole il CTLN che, l’11 agosto iniziava subito a
lavorare per alleviare le condizioni dei fiorentini. Già per
il pomeriggio di quel giorno, alle ore 15, venivano adunati in
Palazzo Vecchio cento uomini robusti per impiegarli nel trasporto di
viveri destinati dagli Alleati alla città. Il trasporto
avveniva attraverso il Corridoio vasariano.
Già nei due
giorni precedenti erano arrivati 1.200 quintali di farina, ammassati
nel garage della prefettura e della Misericordia, ed erano stati
distribuiti in ragione di 82 grammi equivalenti a 100 di pane al
giorno a testa.
Intanto si
mettevano in pratica le misure già deliberate alcuni giorni
prima:
propaganda per incoraggiare il conferimento agli ammassi,
censimento di tutti i molini di ogni tipo, censimento di tutti i
mezzi di lavoro animali ad agricoli, incremento dell’importazione
del bestiame da macello dalla Maremma e dall’Agro Romano, dove
si riteneva che i tedeschi non avessero potuto compiere requisizioni
su larga scala; immediato assoluto divieto della macellazione,
soprattutto della macellazione clandestina. Abolizione del blocco per
la circolazione del vino per la Provincia e fuori Provincia.
4. CTLN e Firenze
come “laboratorio politico e culturale” (The Times:
teatro di uno spontaneo esperimento di autogoverno) le idee per
l’Italia liberata
CTLN ottobre 1943: “assumere l’intero
controllo politico e amministrativo locale” (Ballini, NA, 7)
“governo
provvisorio della città e della provincia”
il manifesto del 7 giugno, proposto dal PdA: ISRT, fondo Berti, b.1,
f.2, Verbali del CTLN, verbale del 7 giugno 1944, pubblicato
da Ragghianti 155-7
...tutte le
formazioni partigiane della regione… devono seguire gli ordini
che verranno emanati dal CTLN...
verbale 22 luglio:
attacco alle
retroguardie tedesche, escludendo a priori le formazioni compatte, e
cioè attaccare quando i rapporti di forza lo consentono
l’occupazione
della città
3 il servizio di
ordine pubblico
cambiamento della
situazione con l’emergenza e la mancata città aperta
La seduta del 10 agosto
1 la liberazione come
sviluppo e coronamento della guerra partigiana
le azioni del mese di
luglio
la battaglia
dell’agosto
2 la liberazione come
autogoverno
3 il laboratorio
politico e culturale del dopoliberazione
Il conflitto con il
prefetto Paternò
E i rapporti CTLN
governo
3 gennaio 1944 (del.
Ctln)
governo provvisorio
della città e della provincia di Firenze
decadenza di tutte
le istituzioni
7 giugno 1944
(manifesto PdA appr. ctln)
il Comitato Toscano
di Liberazione Nazionale, come rappresentante del popoloi, unica
autorità politica dell’Italia occupata
Tutte le formazioni
partigiane....
Tutti i poteri di
governo....
Comitati...
17 giugno 1944 e
10-11 luglio (del. ctln)
Nomina giunta
comunale
26 luglio (del.
Ctln)
ottenere dagli
alleati il riconoscimento come unico rappresentante del popolo
toscano
riconoscimento di
tutte le nomine e disposizioni assunte
2 - 16 agosto
il ctln assume i
poteri di governo (Ragghianti)
(perché il 2
agosto???)
(perché il 16
agosto???)
10 agosto
il Ctln chiede di
essere riconosciuto come rappresentante del Governo Nazionale
ante 10 agosto
elenchi
componenti giunta ecc e attività fino al 10 agosto (isrt,
carte berti, fasc. Miscellanea.... 9 agosto 1944)
11 agosto
tutte
le amministrazioni si insediano nelle diverse sedi “per
assicurare la continuità dei pubblici servizi” (isrt,
carte berti, fasc. Miscellanea.... 9 agosto 1944)
Nel 1947, quando
ormai si cominciavano a sentire i primi affetti della guerra fredda,
sarà ancora
una rivista prestigiosa fiorentina, quella diretta da Piero
Calamandrei, che vorrà suggellare quella che viene consdierata
come la conclusione di un ciclo, epico e travolgente e
titolerà un proprio numero speciale La crisi della
Resistenza.
I convegni
provinciali e regionali dei CLN aprile 1945 20-21 maggio
1945
Emerge il
significato profondamente regionalistico della liberazione di Firenze
e della Resistenza ma è un regionalismo che guarda alla
nazione, al patrimonio dell’Italia unita
Non c’è
traccia di egoismo
Anzi affiora la
solidarietà con le altre realtà regionali italiane
Firenze e la Toscana
per 8 lunghi mesi viene ad essere
un laboratorio per
l’Italia da ricostruire
Il punto più
avanzato dove la Resistenza è un soggetto vivo e
identificabile
Protagonista degli
eventi
Ed è anche un
territorio dove si vive un rinascimento di energie e risorse
intellettuali...
Calamandrei,
Montale, Saba
Artisti storici e
critici dell’arte intellettuali
Le vicende
successive prenderanno altre pieghe
Note:
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